18 novembre 2009

Vietato ammalarsi a Catanzaro. L'incubo della famiglia Borelli

Il nosocomio di Catanzaro

Ventinove anni lei. Trentacinque lui. Una coppia giovane. Felice. Con tanti sogni. Uno di questi è avere un bambino. È in arrivo. È di sette settimane. Ma bastano due giorni di Pugliese Ciaccio per cancellarlo per sempre. Mentre lei si è salvata per miracolo. Una parola lasciata intendere dagli stessi medici quando scoprono che i suoi polmoni si stavano finalmente “asciugando” a causa della sepsi, un’infezione batterica che, partita dalle vie urinarie, le aveva colpito i polmoni. A loro sarebbero bastate solo competenza e professionalità. Non c’era bisogno di scomodare i santi. Una storia assurda. Dove la soddisfazione del diritto alla salute, garantito dall’articolo 32 della Carta costituzionale, non riesce proprio a trovare posto nel nosocomio di Catanzaro. Troppo impegnato nei piani alti della direzione a passarsi le poltrone in vista delle elezioni regionali. Vincenzo Ciconte lascia per partecipare alle prossime consultazioni insieme al governatore della Calabria. Troppo impegnato ad assunzioni facili per favorire l’amico di turno. Sempre Ciconte che assume la moglie del primario del Reparto di dermatologia. Ad onor di cronaca la storia di Eleonora Ruggero e di Raffaele Borelli inizia dopo. Durante l’alta stagione. Il 16 agosto. Ciconte aveva già lasciato la dirigenza generale il 3 agosto. Ma il clima dei reparti del Pugliese sembra sempre in vacanza, figuriamoci a ferragosto! Il vero lavoro sembra altrove, per intascarsi lo stipendio e i soldi degli appalti pubblici, non nei corridoi sanitari. Medici che non parlano fra di loro. Medici che per scrivere una diagnosi aspettano di timbrare il cartellino per non scriverla affatto e non prendersi le loro responsabilità. E con il montante che dice che è appena arrivato per non scriverla a sua volta. Di medici bravi sicuramente ce ne saranno anche lì. Il miracolo sarebbe, allora, per essere più realisti del re, incappare in quello giusto. Quello giusto Eleonora e Raffaele non l’hanno incontrato. E quindi il miracolo, se c’è stato, è stato solo il fatto che le si sono “asciugati” i polmoni. Per il resto è una storia “pazzesca”. Un “incubo”. Parole loro.
Il 16 agosto scorso, alle ore 15, Eleonora avverte dei forti dolori sul fianco destro, tanto da non riuscire nemmeno a muovere la gamba. Raffaele l’accompagna in ospedale. Dopo un’ecografia, che evidenzia una modesta dilatazione del rene destro, viene portata nel reparto di Urologia. Le somministrano dei calmanti. Alle 19 e 40 il medico informa il marito che la colica renale “è passata”. Possono tornare a casa a godersi le ferie. “Basta una visita di controllo fra qualche giorno”, lo rassicura. Ritorna da lei contento per la bella notizia. Ma la sofferenza di Eleonora aumenta. Il suo corpo si gonfia. Il suo addome cambia colore, diventa giallo. Raffaele si ripresenta dal medico, è un altro. Quello di prima aveva appena timbrato il cartellino. Il sostituto si giustifica dicendo “che non conosceva il caso”. Raffaele non si dà per vinto. E scappa nel tentativo di raggiungere il medico smontante. Lo trova nello spogliatoio e lo informa dei continui dolori, per nulla diminuiti. Questi si convince e scrive sulla cartella: “ricovero”. L’infermiere gli consegna il foglio di via. Ma si era sbagliato. Eleonora resta, quindi, in ospedale nel reparto di urologia. Il personale medico dibatte, mentre lei si contorce per il dolore e per la febbre settica, sull’opportunità di ricoverarla nel reparto di ginecologia, forse più adatto. Il giorno dopo le sue condizioni non migliorano, ma i medici sono ottimisti. “È normale, con la tachipirina passa tutto”, ribadiscono. Gli fanno gli esami del sangue e dell’urina. Ma i risultati nessuno li esamina. La preoccupazione maggiore della coppia è il loro bambino. Anche in questo i medici tranquillizzano: “l’unica a stare male è lei, non il feto”. Ancora tachipirina. Neanche Harmon Norhtrop Morse (il chimico che per la prima volta sintetizzò il paracetamolo, sostanza presente in questo farmaco) avrebbe auspicato tanta capacità di guarigione in queste pasticche. Passa un’altra giornata di dolori, febbri e spasmi muscolari. Nella notte si reca in bagno, ma non ritorna subito, la compagna di stanza, anche lei degente, si preoccupa, e la va a cercare. La trova in corridoio incapace di muoversi. Degli infermieri neanche l’ombra, fino all’allarme. Arriva, finalmente, ma l’accompagna solo a letto, non preoccupandosi di farle controlli ulteriori, come la misurazione della pressione del sangue. Il 18 agosto è il giorno fatidico. È ancora in urologia che si contorce dal dolore. Nel pomeriggio non regge più. Collassa. Pressione arteriosa che misura solo 30 e 70. Si gonfia. Stavolta è tutta la pelle del suo corpo a diventare gialla. Si crea il panico nell’ospedale. Intorno a lei si forma un cerchio umano di urologi, ginecologi, e medici di ogni specializzazione. Forse non volevano finire sui giornali per l’ennesimo caso di malasanità in Calabria. Adrenalina, fiale di ogni tipo, e un respiratore artificiale la tengono in vita. Intanto comunicano al marito che il “bambino non ha più attività cardiaca”. Annota Raffaele: “Ma come? Per due giorni hanno evitato di fare tante visite e tanti esami su di lei per evitare la tragedia, e ora rischio di perdere tutto in pochi attimi? Figlio e moglie?” Da rilevare che nessun medico sa ancora il vero motivo del malessere di Eleonora. Ciononostante decidono di fare una laparoscopia per capirne di più. Un ginecologo inveisce contro alcuni colleghi. Forse aveva capito tutto. Che la malattia della signora non dipendeva da un problema ginecologico. E che, comunque, per salvarle la vita era necessario intervenire nell’utero. Ormai il bambino è perso. Alle 4 del mattino successivo esce dalla sala operatoria. Le hanno esportato la colecisti, e ripulito gli organi dai liquidi fuoriusciti per un’infezione che le aveva compromesso anche i polmoni. Finalmente la malattia di Eleonora ha un nome: sepsi, un’infezione. Viene portata in rianimazione per una forte crisi respiratoria. La preoccupazione di tutti, adesso, è “asciugare” i polmoni, riempiti dai liquidi infetti. Piano piano prende forma anche il nome del batterio che ha causato tutto questo: l’enterococcus faecalis. Si ripetono le tac per vedere lo stato dei polmoni. Dopo cinque giorni finalmente un miglioramento. Qui l’esclamazione del medico: “mai vista una cosa del genere in poco tempo”. Sembra un miracolo. La svegliano dal coma farmacologico. Ha perso 11 chili di peso. È ancora indolenzita. Provata dalle atroci sofferenze che ha subito, ma si alza con le sue gambe. I familiari gioiscono. Viene trasportata in chirurgia. Scoprono un altro batterio, provocato da un catetere utilizzato durante la rianimazione. Continua ad avvertire quei dolori, che non l’hanno mai abbandonata fin dal ricovero, sul fianco destro. Fanno una semplice uro-tac e scoprono che è un calcolo nell’uretere. Sente dolori anche sul cuoio capelluto. Ha una forte alopecia (perdita dei capelli). Le danno finalmente da mangiare. Ma non riesce a digerire. Vomita tutto. Anche la bile. Sembra che neanche la pietà sia riuscita a trovare posto nell’ospedale in quelle settimane, a parte la “buona sanità”. Il primario del reparto decide di operarla d’urgenza. Il suo stomaco, nel periodo che aveva smesso la funzione fisiologica, si era imbrigliato. Dopo qualche giorno si riprende. E trova il coraggio di guardarsi il ventre. Ha perso il bambino e due vistose cicatrici a testimonianza della sofferenza che ha passato.
Nelle parole di Eleonora e Raffaele tutta la rabbia che hanno accumulato in questi mesi. Una rabbia civile. “Perché giustizia sia fatta”, sperano. “I responsabili devono pagare per il dolore che ci hanno provocato. Crediamo che il nostro caso, il caso di mia moglie, si poteva evitare. Siamo certi che tutto questo pandemonio ci sia stata dell’imperizia, dell’imprudenza e della negligenza”. Pronto un esposto alla Procura della Repubblica di Catanzaro.

7 commenti:

domenico. ha detto...

mi chiamo domenico dragone..sono stato in questo ospedale nel mese di settembre..tutte le notti x vegliare mio padre...più che un ospedale lo reputo un "manicomio" ho visto di tutto...mi viene ancora il vomito solo a pensarci..che dire a questa coppia...non sò propio cosa dirgli.
.troppa rabbia ho nel cuore.troppi morti in questi ospedali..tanta malasanità accompa questa maledetta regione chiamata calabria.

rosalba ha detto...

Io vi dico...
la malasanità esiste in tutta Italia, io stavo morendo di parto alla Clinica San Anna di Torino, sempre per negligenza dei medici assassini;
nonostante siano passati 10 anni li odio con tutta me stessa, per il male psicologico che mi hanno creato.

Anonimo ha detto...

ho ancora i brividi!
una storia vera e assurda!
certo, si, la malasanità esiste ovunque e che ancora oggi accadano certe cose è a dir poco pazzesco!
sono vicina a quella donna, mamma, a quell'uomo, papà e mi auguro che la giustizia faccia il suo corso...anche se non li soddisferà entrambe, perchè il dolore e la perdita sono stati sicuramente più grandi di qualunque "punizione"!!
@Raffy

Antonya ha detto...

Conosco personalmente Eleonora e mi rammarca molto ciò che le è successo.

I nostri ospedali lasciano molto a desiderare....

Più di un anno fa avevo perso la vita sotto le loro mani per un attacco cardiaco provocato da un esame che a tutti i costi hanno voluto fare (TILT TEST), non avevano neanche i defibrillatori nella stanza in cui mi stavano facendo l'esame e mi hanno ripreso con il massaggio cardiaco per fortuna, nessuno di loro si è chiesto il danno psicologico che mi hanno fatto, ho ancora le crisi di panico al minimo spavento.... Non siamo cavie e dovrebbero saperlo meglio di noi...si chiamano "MEDICI" e devono curarci come Dio comanda...non devono procedere ad ipotesi giocando con le nostre vite!!!!!

sabrina ha detto...

lavoro in ospedale e sono "spero" una cara amica di Eleonora..vorrei dire a tutti che di persone professionali ce ne stanno tanto,purtroppo moltissime volte ci si trova a dover fronteggiare situazioni esasperanti e oserei dire terrificanti..inoltre una buona parte della "buona sanità" dipende dall'essere di una persona oltre che dalla competenza...vi assicuro inoltre che varcare il limite dell'imprudenza,negligenza ed imperizia è estremaente semplice...un abbraccio affettuoso ad eleonora e raffaele

francesca ha detto...

a napoli sono tutti dottori, basta andare a parcheggiare la macchina e ti dicono " vieni avanti dottò!". mi sembra che tutta l'Italia sia un paecheggio.francesca

Anonimo ha detto...

Il problema non è solo la sanità; essa è un servizio che come tutti i servizi ( scuola, pubblica amministrazione , polizia etc.)esprime livello culturale della società. Non è possibile una sanità di eccellenza in un contesto sociale mediocre. E' proprio così, tutte le professionalità sono livellate in basso. Man mano che si va verso il nord Europa cresce il livello medio culturale dei cittadini, aumentano le esigenze e i servizi si adeguano. In poche parole ognuno ha ciò che si merità. I diritti non vengono regalati, si conquistano .... e questa purtroppo è storia. Premesso ciò, un commento alla sig.ra Antonia traumatizzata psicologica del TILT TEST !!!!!!. Il tilt test non è un test invasivo o provocativo, non ha effetti collaterali, indice di complicanze e mortalità zero. Consiste nell'osservare il paziente per 40' in posizione eretta. Tanto meno può stimolare attacchi cardiaci... ed inoltre assolutamente non serve il defibrillatore. Ancora una volta la classica sindrome da vittimismo con scarsa informazione.Il tilt test serve a determinare se la sincope del paziente è su base neuromediata cioè benigna. Come la sincope dei soldati che prestano giuramento: dopo prolungata stazione eretta crollano. Quindi la signora secondo me è stata positiva al test quindi può ritenersi fortunata in quanto è sana. L'utilità del test è stata di aver impedito l'esecuzione di altri costosi esami invasivi alcune volte dannosi è questa mi pare a mio avviso buona sanità in quanto senza mettere a rischio minimo la paziente, con spesa zero si è evitato un inutile calvario diagnostico . Se poi per questo motivo la sig.ra si è traumatizzata il problema è di ben altra natura...... figuriamoci se nella vita reale di tutti giorni , per caso,nel traffico cittadino viene tamponata , posso immaginare la reazione !!!!!!
Ciò per giusta informazione e ricordiamoci i servizi sono l'espressione della nostrà società. Siamo noi che determiniamo le scelte politiche !!!! La colpa non è mai degli altri !!!!
Saliti cordiali