18 settembre 2011

Saverio Rotundo, genio e sregolatezza

Saverio Rotundo, U' Ciaciu

Quando si presentò alla Mostra delle Arti visive di Venezia nel 2001 gli agenti del commissariato di San Marco lo tennero sotto torchio dalle ore 9 fino alle 14. “Elmetto da guerra, brache da Arlecchino, scarpe con fiocchi da Alice nel paese delle meraviglie”, riferì la stampa dell’epoca. Ma sottobraccio teneva “una bombola del gas con due cannelli. Una sorta di lanciafiamme artigianale”. Credevano volesse incendiare i quadri esposti. “E’ mai stato in carcere?” Gli chiesero gli zelanti poliziotti. E lui: “Lo sono stato negli anni ‘40, ma questo è un segreto di guerra!” Con le Istituzioni non ha mai avuto dei buoni rapporti. A Catanzaro lo denunciarono finanche per “aver gestito una discarica” con le sue opere. Create con i rifiuti in metallo, con le carcasse d’auto e gli elettrodomestici. Il 20 aprile 1994 l’allora pretore del capoluogo calabrese, Vittoria di Sario, vinse l’imbarazzo dell’ordinanza di sgombero emessa dal sindaco con un proverbiale “il fatto non costituisce reato”. Voleva abbellire l’area di via Lucrezia della Valle “caduta in degrado”, si giustificò. E non ha mai legato nemmeno con gli operatori della sicurezza. Ben quattro le cause civili mossegli dai vigili urbani. Tutte vinte.
Lui, che si definisce “artista assassino”, “artista rivoluzionario”, ha sempre saputo che “con la politica è meglio non averci a che fare”. “Quando l’arte va a finire nelle sue mani ha finito di esistere”. Glielo suggerì Antonio de Curtis, Totò in persona, durante un viaggio Napoli - Milano subito dopo la guerra. “Mai prendere un caffè con loro”, gli consigliò per andare avanti nell’arte. Saverio Rotundo, alias “U' Ciaciu”. Ottantotto anni suonati, si gode la sua rivincita nella città che lo ha cresciuto e raramente apprezzato fino in fondo. Due sue opere sono in procinto di essere installate nelle rotatorie presso gli svincoli della nuova statale 106 nel quartiere di Santa Maria. U' Ciaciu, tutto un programma. Da “Ciao”, il nomignolo dato al padre che, appena tornato dalla grande guerra, dovette ripartire. E quindi salutare ancora i suoi figli.
Nasce nel 1923. Primo di nove fratelli. Diviene anche loro tutore. Fin da piccolo comincia a prendere confidenza con il metallo. Nella bottega di un fabbro impara a batterlo. A curvarlo e a modellarlo. Si rende subito conto che “si può creare”. Che dalla carcassa di un’auto, per esempio, si possono fare tante cose. Nuove. È questa l’arte. La distruzione e la creazione. “L’artista è un assassino”, spiega. “Un rivoluzionario”, chiarisce. “Che riesce a creare una cosa unica, nuova, che non c’era prima. “Se già c’è, l’artista può essere un bravo artista, ma mai uno vero”, svela. Prende vigore il suo talento. E da allora non l’abbandona più. Catanzaro gli sta stretta. E viaggia. Viaggia per far conoscere le sue opere. Se non ha i soldi per permettersi un hotel, dorme dove può. Si arrangia. A suo rischio e pericolo. Ad Anacapri, racconta, “me le hanno rubate”. Fa anche il suo nome. A.V. Non si cura di denunciarlo. Non ce l’ha con lui. La sua è la rara consapevolezza che il potere l’artista ce l’ha fin quando non lo esprime con i suoi lavori. Poi appartiene a tutti. Ha un valore universale. Denunciarlo sarebbe ripetere l’errore della “politica”, che “con l’arte non ha niente a che fare”. E lui, sappiamo, non vuole scenderci a patti. “La mia opera più bella? Non esiste, esiste solo se piace agli altri”.
Conosce Picasso, Macario. E tanti altri. Ma lui va per la sua strada. Va sulla strada, soprattutto. Su Corso Mazzini di Catanzaro dà vita ad un laboratorio. Che si estende fino all’esterno. A Piazza Garibaldi. Le sue opere non ci stanno dentro e lui le mette fuori. Come una mostra all’aperto per tutto l’anno. Qui la diatriba con i vigili urbani e con il sindaco in illo tempore. Un tira e molla che dura tutt’ora. In occasione della scorsa Notte piccante “è venuto un maresciallo e mi ha intimato di toglierle, altrimenti le avrebbe fatte rimuovere”, sbotta. Ora sta aspettando l’autorizzazione a rimetterle dall’Amministrazione comunale. La stessa che ha cantato le sue lodi per la posa di due sue sculture nelle recenti rotatorie. “Vedi? – dice - della politica non ti puoi fidare”. Però un pizzico di sano orgoglio non lo nasconde nel leggere le dichiarazioni del neo primo cittadino di Catanzaro, Michele Traversa: “Un’iniziativa (…) che vuole rappresentare un giusto e doveroso riconoscimento ad un artista catanzarese di grande valore, che gode dell’affetto e della simpatia dei suoi concittadini e dell’apprezzamento di tanti appassionati d’arte anche fuori dai confini regionali”.
Hanno già collocato la “Musa Guida”, ed è prossima l’istallazione di un Mappamondo. La Musa, interamente realizzata con ferri di cavallo, candele di autovetture e cerchioni, rappresenta “la malinconia europea durante la crisi del petrolio che colpì il vecchio continente negli anni ’70, e la conseguente mancanza di benzina per le auto”, simbolo dell’odierno stato sociale. Mentre il Mappamondo riflette “i fenomeni del tempo”.
Artista e inventore. L’ascensore spaziale. Spaziale per differenziarsi dagli altri. Che non richiede l’intervento dei vigili del fuoco. Che si arresta automaticamente e consente l’uscita da parte degli occupanti “senza panico alcuno”. Il profilato in ferro tubolare. Per la migliore copia la Provincia di Catanzaro destinò 250 euro cinque anni fa in una gara aperta a tutti.
Ma sono le opere il suo principale mordente artistico. Alcune si trovano a Locri. “Al complesso di Capogreco”, precisa. Qui è possibile ammirare “un’aquila gigante e un cavallo con la testa d’uomo”. Ed è sempre da queste parti, acquistato da un privato, “La nascita strana”. L’incrocio di due generi, ciascuno monco di qualche arto. Un capolavoro. Creato con il ferro, con i rifiuti. Tra i suoi ammiratori anche l’insospettabile leader di Italia dei Valori, Tonino di Pietro. “Ha di recente acquistato una Venere in bronzo”, dichiara.
Il suo laboratorio sgorga di arte. Troppa. Andrebbe solo spolverata. Andrebbe collocata alla luce del sole. Per il beneficio di tutti. C’è un giocatore di calcio. Realizzato per celebrare la conquista della serie A da parte del Catanzaro. Una scultura che ritrae una figura di donna: “La minigonna”, per ricordare lo status symbol dell’emancipazione femminile e non solo. I volti di alcuni personaggi storici, come l’interprete del fascismo italiano Benito Mussolini e i musicisti Giuseppe Verdi e Ludwig van Beethoven.
Si intravede anche la foto di Giuseppe Chiaravalloti, ex governatore della Calabria, in una locandina. “E’ un suo ammiratore?”, chiediamo. Non si scompone: “Anche lui, sembrava che dovesse fare bene, poi come gli altri. Mi consigliò bene Totò”. 


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