28 settembre 2012

Le leggende della Certosa di Serra San Bruno

Paolo Fonseca, ex giocatore dello Sporting Lisbona. Una leggenda vivente

La leggenda nasce per caso. Nasce da un big bang senza controllo e si evolve. Vive di vita propria, impossibile smentirla con i fatti. È tale il desiderio che le cose siano andate così che la verità le cede il posto volentieri. E le sbatte la porta. Nel suo nido cova e si moltiplica. 
Dall’americano che sganciò la bomba su Hiroshima all’ex governatore del Lazio Piero Marrazzo. Dal fisico Ettore Maiorana a padre Milingo. Dall’economista Federico Caffè all’ex giocatore dello Sporting Lisbona, Paolo Fonseca. La Certosa di Serra San Bruno apre le porte a tutti. Le porte del silenzio e della natura. Del mistero e della fede. Della preghiera e della redenzione.
Le mura del convento si stagliano solenni in mezzo alle serre. Secolari come il tempo della natura selvaggia. Infinite come il sublime delle foglie che accarezza ogni fibra dell’anima. Rapiscono il pensiero fino alle isole felici. E più in là. In un vorticoso ritorno a se stessi. Ciclico. Dall’alba al tramonto. E poi ancora aurora e crepuscolo. Quando qualcuno sulla cresta dell’onda sparisce si sa già dove va a finire. Per trovare la pace. Come se fosse possibile solo nel posto più oscuro della Calabria. Più lontano. Più profondo. Questa è la Certosa. Non è facile raggiungerla. Neanche il luogo più segreto dell’anima lo è. La metafora del cammino interiore. Un cammino tortuoso. Pieno d’insidie e di sirene. Più o meno piacevoli. Sharo Gambino lo sapeva. Sapeva che per trovare la verità bisogna avventurarsi nella palude dell’autocoscienza. Platone adottò il mito della caverna per insegnare da dove vengono le idee. Gambino si è servito della leggenda. Della selva più selva della Calabria. Le Serre. Il silenzio della Certosa è uguale all’emozione di quell’uomo che si liberò dalle catene e si accorse finalmente della luce che faceva solo ombra nella grotta. Ed ecco, la prima leggenda.
L’uomo che si portò sulle spalle la responsabilità di aver ucciso in una frazione di secondo migliaia di persone. Non c’era verità in questo. Non c’era giustizia. E andava trovata in qualche modo. Da qualche parte. Dal Giappone in Calabria. La terra delle bellezze e delle calamità. Nel cuore della Calabria. Nel posto più oscuro e più ricco di luce. Lì qualcosa c’è che poteva dire a quell’uomo la verità del suo gesto. In un percorso di pentimento. Dal silenzio eterno al perdono eterno. Esce la notizia. La leggenda prende corpo. E si divulga in modo deflagrante. La Calabria è anche a metà tra l’Estremo Oriente e l’America. Il viaggio verso la verità è giusto.
Dopo Gambino la leggenda s’annida. Cresce e si moltiplica. Già, anche Ettore Maiorana. Si fa retroattiva. Di lui non si sapeva più nulla dal 1938. Il genio della fisica che si chinava al mistero della fede. Del cuore che ha le sue ragioni che la ragione non conosce.
Poi scompare l’economista Federico Caffè. Dalla rumorosa cattedra universitaria al chiuso di una cella. La cella dell’anima dove è possibile scoprire la verità sulle cose e sull’uomo.
È il turno di un vescovo esorcista. Milingo. Che sfida la Chiesa. Si sposa. Poi si converte. Forse. Si perdono le tracce. No, è alla Certosa nel disperato tentativo di ritrovare se stesso.
Piero Marrazzo è un politico e giornalista italiano. Stimato e retto. La coscienza del peccato è un vicolo buio. Talmente tenebroso che dice addio a tutto, televisione e sedie di potere. Non si fa più vivo. Un colpo per gli italiani abituati a vederlo sempre in giacca e cravatta. Ed eccolo, allora, alla Certosa. Per redimersi dalla lussuria. C’è posto per tutti. I peccati sono tutti uguali per l’immortalità dell’anima.
L’ultimo è Paolo Fonseca. Uno dei più grandi giocatori del Portogallo di Eusebio. Una leggenda vera, questa. Una leggenda vivente, soprattutto. L’unica. Non ha dubbi su chi è stato il più grande della storia. Pelè, pseudonimo di Edson Arantes do Nascimento. Mentre ancora ricorda l’amico Eusebio. “Abbiamo fatto anche il militare insieme. Era una persona semplice. Non si è mai montato la testa. Ora non so se sia cambiato. Spero stia bene”. Non lo vede da 50 anni. Un colpo di fucile rispetto all’eternità. E’ il portiere della Certosa.  

5 commenti:

Anonimo ha detto...

embè?

Anonimo ha detto...


Bravo Emilio ! Scrivi sempre delle belle storie. Vai a fondo. Uno stile conciso, colto, introspettivo. Anche quando cerchi di mettere in luce vicende mediocri di gente "importante",ti sta a cuore la verità ! Che qualche volta è scomoda.
Ti leggiamo volentieri. Continua.

Anonimo ha detto...

EMBE' CHE?
EMILIO CORREGGIMI SE SBAGLIO
PER AMOR DI VERITA' DOVREMMO TUTTI SAPERE CHI C'E' LI' DENTRO
E' COME NASCONDERE MAFIOSI ALLA POLIZIASI VOCIFERA CHE CI SIA QUESTO, CHE CI SIA QUELLO ETC ETC
CHIAREZZA PER FAVORE
MISTEROOOOOOOOO
SEMPRE MISTEROOOOOOOOOOOOOO
QUANDO SI PARLA DI CHIESA NON SO XCHE' MA C'E' SEMPRE QUELL'ALONE DI MISTERO IMPENETRABILE E ANCORA UNA VOLTA ANZICHE' AVVICINARE I CRISTIANI LI RENDE DUBBIOSI E LONTANI

Anonimo ha detto...

Sicuramente trattasi di un bravo
frate. Ma a me nun me piace !!!!
Scherzo, l'espressione è quella di un bonaccione, tutto CASA e CHIESA !!!
Non aggiungo altro in quanto non sono a conoscenza di alcunchè, nemmeno per sentito dire.
Ciao a tutti.

Anonimo ha detto...

Grande Frate Paolo, l'ho conosciuto 25 anni fa, e ancora è nel nostro cuore.
Ricordo ancora il nostro addio...
se Dio vorrà ti rivedrò ancora

Riccardo