15 febbraio 2015

La storia dell'Alaco secondo il pescatore Sergio de Marco

Sergio de Marco, direttore generale della So.Ri.Cal

Sergio de Marco è un ingegnere con la passione della pesca. A Gaeta qualche anno fa ha catturato un tonno. “Un combattimento pazzesco”, così racconta su Facebook. “Con salti, fughe laterali… Insomma la più incredibile avventura di pesca mi sia mai capitata.” Un uomo che ama l’ebbrezza del pericolo. Che la va a cercare. E l’affronta. Il suo sorriso non deve ingannare. È un combattente nato. Se non sei d’accordo con lui ti guarda diritto negli occhi per capire quanto sei in grado di resistere. Poi inizia a scaldarsi e, infine, quando meno te l’aspetti, ti affonda il colpo mortale. La più grande battaglia della sua vita la vive quotidianamente. Non nel Mediterraneo, ma alla sua scrivania a bordo della So.Ri.Cal (società di risorse idriche calabresi).
Qui dà il meglio di sé come direttore generale dell’area tecnica. E non ci sono squali, piranha e balene che tengano alla sua proverbiale capacità di circuire e convincere. Persuadere e zittire. E spacciare benzina per oro colato.
Siamo nell’estate del 2010. Nella provincia di Vibo Valentia e Catanzaro i cittadini serviti dall’invaso dell’Alaco sono infuriati per l’acqua che arriva nelle loro case. Gialla e maleodorante.  Le proteste riempiono le calde giornate della bella stagione. Gli articoli di stampa occupano i quotidiani. I sindaci, gli uffici della regione Calabria, la Prefettura di Vibo Valentia non sanno cosa rispondere. Sergio de Marco è lì che aspetta. Li fa sfogare. Nel frattempo abbozza un comunicato. Poi lo strappa. Si convince che ancora è presto. Aspetta. I telefoni del Palazzo a Germaneto di Catanzaro si scaldano. Ad un certo punto li fa squillare a vuoto. Vorrebbe darsi anima e penna ma continua a perseguire la sua strategia. I piranha lo pizzicano. E sono i sindaci e i compagni di banco della regione Calabria. Ma sa che non fanno poi così male. Sono gli squali i più pericolosi. E cioè i cittadini. Allora che fa? Si defila. Schiva i colpi e trova un posto sicuro per nascondersi osservando ciò che succede. È la sua scrivania. Si fionda nello studio. Ripassa la storia dell’invaso. Ricorda lo champagne di quando finalmente terminarono l’opera. E il suo volto si riempie di speranza. S’illumina di positività e di futuro. “Mi ringrazieranno”, si augura. Questa volta è la porta a bussare. Qualcuno lo cerca, visto che al telefono non risponde. È Maurizio del Re, l’amministratore delegato. I due discutono del caso. Si rincuorano a vicenda. Si abbracciano. E infine uno ricorda all’altro che hanno usato “pochi soldi e molta intelligenza”.
Finisce l’estate. È il 29 settembre 2010. È arrivato il suo momento. E invia una comunicazione a tutti gli organi che hanno provato inutilmente ad avere una risposta.
Mette subito in chiaro una cosa. Che l’allarme lanciato con una campagna di stampa è “ingiustificato”. E prima di entrare nel dettaglio delle contestazioni ritiene “indispensabile dare evidenza” ad alcune puntualizzazioni. I comuni della provincia di Vibo Valentia, alcuni  di Catanzaro e di Reggio Calabria “ricevono la fornitura idropotabile attraverso il complesso ed articolato schema acquedottistico “Alaco”. È storia questa. Così come il fatto che la diga Alaco “sia alimentata dal bacino dell’omonimo fiume Alaco”.  Non dalla luna, ma dallo stesso fiume, giusto per essere esaustivi. E che la messa in esercizio e il riempimento della stessa è opera della “scrivente”, non di lui ma della società. "Si è finalmente fatto in modo che una delle più rilevanti infrastrutture idrauliche della Calabria, fino ad allora soltanto un’opera incompiuta, raggiungesse il suo assetto funzionale per cui fu progetta e realizzata.” E anche questa è storia. La storia che insegna, che sa essere maestra. Contestualmente riferisce dei lavori di ammodernamento dell’impianto di potabilizzazione. La Sorical ha messo a punto “un processo chimico-fisico adeguato alle acque dell’invaso, ricche di ferro e manganese.” Il dosaggio di permanganato poi “assicura un’efficace ossidazione e conseguente rimozione del manganese e del ferro presenti in rilevanti concentrazioni nell’acqua fredda.”  Un gioco da ragazzi. Quasi viene da pensare come mai non abbiano loro, sindaci e cittadini, riscontrato da soli tale accorgimento chimico essenziale per depurare l’acqua. Non solo, ma informa che a breve scadenza “ulteriori azioni rinnoveranno tutto il sistema di automazione e di controllo”. Sergio entra nel vivo della discussione che ha occupato le pagine dei giornali. E fa chiarezza sul presunto errore tecnico avanzato dall’Arpacal allorquando puntò l’indice contro la regione Calabria, rea di non aver proceduto al “taglio della vegetazione boschiva preesistente sulle aree che sarebbero state sommerse”. Non è assolutamente vero. Marco de Sergio ne è sicuro. Il taglio c’è stato. Prima a cura della regione Calabria, ad opera del Corpo forestale, e poi a cura della stessa Sorical che, a suo tempo, esperì un’apposita gara d’appalto. E anche questa è storia. Il pescatore agguanta la preda. Ma non la cattura subito. Gli concede un po’ di respiro. E rileva che “le acque dell’invaso sono oggettivamente acque “difficili” da trattare”. Il ferro e il manganese resistono. E con il caldo si autoalimentano. Non solo a pelo d’acqua, anche nella pancia dell’invaso, laddove fomentano “i moti convettivi all’interno del bacino”. E laddove alcuni livelli dell’impianto sono stati sommersi nella stagione appena trascorsa per la prima volta". E la prima volta è sempre un terno a lotto. Così è nella vita, così nell’Alaco.
Dunque, “a fronte di alcune occasionali non conformità, di breve durata ed assolutamente non pericolose per la salute pubblica, è sempre stata giudicata potabile” sia dai referti interni che quelli dell’Arpacal per conto dell’Asp. Un colpo tremendo. Ma ancora non vuole completamente annientarla. E gli concede un’altra boccata d’ossigeno. “Pur non negando la sgradevolezza derivante da una colorazione giallo/brunastro occasionalmente riscontrata” ed essendo “consapevoli” delle cause che avevano generato tale problematica la società ha deciso di “non interrompere il trattamento di potabilizzazione e l’erogazione idrica né tanto meno di ingenerare dell’inutile allarmismo nelle popolazioni servite che in nessun caso sono state esposte a rischi sanitari di alcun genere.” Poi passa al setaccio le altre perplessità tecniche di sindaci e cittadini.
Risolve la questione del famoso 16 agosto, quando l’odore della varichina si sentiva a distanza e il colore marrone ne proibivano l’uso, con un ininfluente “temporaneo malfunzionamento di uno degli apparati di immissione dell’agente disinfestante – ipoclorito di sodio”.
Infine, il colpo mortale. Sul manganese che la Sorical non è riuscita mai a debellare. “Fa parte della dieta alimentare.” Non solo. “L’assunzione di una persona adulta di due litri al giorno di acqua con una concentrazione di 200 microgrammi di manganese (quattro volte il limite di normativa) da luogo all’assunzione di una quota tra 1/5 e 1/22 del complessivo fabbisogno giornaliero.” Cioè, l’acqua dell’Alaco meglio della Coca Cola. Dovrebbe essere venduta come una bevanda preziosa in quanto corretta al metallo.

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