21 luglio 2009

Il "normale" antipizzo di Vincenzo Conticello



Quando qualcuno, dopo tanti soprusi, è entrato nel suo locale a chiedergli il pizzo, alla sua minaccia: “Lei non sa in che guai si sta cacciando”! ha avuto il coraggio di replicargli: “Lei non sa in che guai si è messo!” Il pizzo da quelle parti, quartiere “Calza” di Palermo, è così comune che una pizzeria ha deciso di chiamarsi: “Punto Pizzo Free”, certamente per sdrammatizzare il fenomeno. E il bar di fronte: “Baciamolemani”, forse per beffare, e beffarsi, attraverso l’ironia di una realtà molto radicata nel territorio.
È dal 1947 che la mafia ci ha le mani su quel quartiere, dalla speculazione edilizia al pizzo. Comandano loro.
Vincenzo Conticello, de l’ “Antica Focacceria S. Francesco”, ha fatto arrestare i suoi aguzzini. Ne ha passato di tutti i colori, lui, e finanche i suoi clienti. È diventato un simbolo per la Sicilia che non si piega alla mafia.
Il suo locale è il secondo più antico d’Italia. Prima di lui a governarlo c’era sua nonna. “Una matriarca che non ha mai permesso a questi personaggi di contaminarlo. Li cacciava ancora prima che iniziassero a parlare”, racconta. “Mio fratello e io, grazia a nostra nonna, abbiamo vissuto d’eredità”, riconosce. Quando parla usa spesso l’aggettivo “normale”. “Pagavamo i nostri lavoratori secondo il contratto collettivo nazionale, una cosa apparentemente normale che però ruppe un equilibrio sociale”. E ancora: “Quando denunciai pensai di aver fatto una cosa normale, non mi resi subito conto della pericolosità del gesto”. Cose “normali”, ma straordinarie per una terra dove mafia e Stato sono in lotta per il dominio sulla società. Sono paralleli, non si incontrano mai, ma tante volte li vedi a braccetto.
Vincenzo Conticello non ha mai perso la fiducia nello Stato. E quando i carabinieri si presentano nel suo locale dicendo che già stavano monitorando la situazione, non lo dichiara espressamente, ma dal suo volto traspare un pizzico di soddisfazione per quella fiducia ricambiata dallo Stato a cui aveva sempre denunciato tutto.
E sulle intercettazioni afferma: "Se fosse stato in vigore il recente disegno di legge che le limita a soli 60 giorni non sarebbe stato possibile entrare nemmeno in un'aula di Tribunale perchè le prove schiaccianti contro i miei persecutori gli inquirenti le hanno raccolte solo dopo il 60° giorno".



RIPORTIAMO la prima parte della testimonianza di Vincenzo Conticello durante l'incontro che l'imprenditore antipizzo ha avuto con i ragazzi del movimento “E adesso Ammazzateci tutti”.

Questo ristorante (Antica Focacceria S. Francesco ndr) è uno dei più antichi d’Italia. E' il secondo più antico, tutt'oggi, aperto in Italia. E’ del 1834. È stato un punto di incontro di varie aree sociali di questa città. E non soltanto di Palermo, anche di quelle persone che venivano a Palermo. A vari livelli, a livello culturale, a livello politico e anche nobiliare. Anticamente i nobili si davano appuntamento a Palermo o passavano comunque da questo locale. Nel periodo che va dagli anni ’30 agli anni ’80, in questo arco di tempo il tipo di persone che hanno frequentato la focacceria sono stati magistrati, lo sono tutt’oggi, politici, ma anche mafiosi perché comunque la Focacceria insiste in un territorio molto particolare. È un territorio del quartiere “Calza”. Uno dei quartieri più particolari di Palermo dove la mafia ha avuto sempre grandi interessi, specie nella ricostruzione del dopoguerra. Come vedete ancora non è stato del tutto ricostruito. Non è stato ancora fatto per gli interessi mafiosi, nel senso che si è creato un sistema di speculazione edilizia che ha svuotato questi quartieri e ha portato via le persone che abitavano qui abbassando il valore del mattone fino a un punto tale che le case non valevano più nulla, anche perché sono state riempite di delinquenti, di zingari, e di clandestini. Per cui tutto questo ha portato il prezzo al metro quadro intorno alle 100 mila lire. Parliamo fino a pochi anni fa, consentendo a gruppi mafiosi di impossessarsi di tutti i ruderi del territorio. Una volta che questo shopping è finito, da quel momento in poi è iniziata la pulizia del quartiere, quindi non più zingari, non più extracomunitari, e il prezzo è passato dalle 100 mila lire a metro quadro alle 2000 euro a metro quadro da ristrutturare. E i costruttori del restauro sono costruttori mafiosi. Questo è il quartiere per capire dove siamo. Quindi era improbabile che all’interno della focaccia non ci fossero anche dei mafiosi, che venivano a mangiare, a parlare dei loro loschi affari. Per tutti questi anni, parliamo di 175 anni, la focacceria fino al 2005, non si è mai trovata con una richiesta di pizzo, per lo meno una richiesta di pizzo chiara ed esplicita. Ma anche perché era stata gestita da mia nonna. Una matriarca molto forte, di polso, e anche un po’ bisbetica, non permise mai che mafiosi o picciotti dei mafiosi si permettessero di avere nei suoi confronti un atteggiamento di sopruso o di violenza. Non glielo permetteva proprio. Li buttava fuori dalla porta ancora prima che incominciassero. E poiché la focacceria esiste in questo territorio in un periodo antecedente a quello della formazione mafiosa, dal 1897, in questo periodo va limitato, e più presente ancora nel 1946 e nel 1947, quindi nell’immediato dopoguerra, questo donna, che ha gestito la focacceria dal 1919 al 1979, non ha permesso assolutamente in questi sessant’anni che si contaminasse l’ambiente del suo locale. Mio fratello e io abbiamo vissuto di un po’ di rendita perché questi insegnamenti di nostra nonna, compreso quello che pagare una volta significava diventare schiavi per sempre, è stato il modo con cui abbiamo portato avanti la nostra azienda.
Nel 2005 - quindi 4 anni dopo il 2001 che è un anno importante perché la focacceria incomincia a cambiare non solo gestione ma anche generazione perché mio padre si era messo in pensione e mio fratello e io cominciamo ad occuparci della focacceria - cambiamo il nostro sistema di lavoro. Comunichiamo, facciamo il sito web. Iniziamo a fare sapere cosa è la nostra storia. E questo porta tanto lavoro, più lavoro di quanto c’era prima. E in più facciamo sapere in giro che chi lavora all’Antica Focacceria gode di tutti i diritti di un lavoratore che deve essere ben retribuito e pagato. Niente di più e niente di meno. Non diciamo delle cose strane. Diciamo delle cose apparentemente normali. Ma in una terra come la Sicilia, e come la Calabria, dove il semplice fatto di pagare in maniera civile e normale un lavoratore è un qualcosa che non si deve fare perché crea una rottura dell’equilibrio sociale. Per cui una cosa normale diventa straordinaria, quindi succedeva che quando ci siamo ritrovati ad avere i nostri lavoratori che magari andavano a casa e parlavano con il fratello e gli dicevano: “Pure la busta paga”. “La busta paga? E che è la busta paga?”. “Mi hanno pagato lo straordinario”. C’era questo qui che lavorava in un altro ristorante, faceva più ore del fratello, e guadagnava meno della metà, non aveva la busta paga, non lo avevano mai messo in regola e non gli pagavano i contributi. Questo qui lo andava raccontando, e il datore di lavoro protestava. Quindi, noi diventiamo un elemento di disturbo. Rompevamo un qualcosa - con lo stipendio che a Palermo non arriva mai, al massimo 600 euro al mese, lavorando 50 o 60 ore settimanali, da noi aveva uno stipendio normale, per come previsto dal contratto collettivo di lavoro, con una base sindacale all’interno - questo fatto era diventato un problema. E da qui che sono partiti sicuramente i primi focolai di protesta mafiosa nei nostri confronti. Abbiamo vissuto un periodo lungo di attacchi. Gli attacchi erano al locale, quindi sabotaggi quasi continui, ogni mese cambiavano. Una volta l’acqua, una volta la luce, una volta furto, una volta … di frigoriferi. Cioè ci sabotavano una serie di impianti e perdevamo la merce. Perché quando il sabotaggio lo fanno alle tre di pomeriggio di sabato, tu non lavori il sabato, la domenica e due pomeriggi per poter mettere a posto tutto. Da un lato da un lato perdi denaro, dall’altro perdi d’immagine. Da questo siamo arrivati agli attacchi alla clientela, cioè ai clienti se mangiavano qua vicino non gli succedeva niente, se mangiavano qui la macchina la trovavano distrutta. Venivano scippati, oppure qualcuno è stato pure malmenato. Per cui la gente diceva: “Si mangia bene però, francamente, chi me lo fa fare di venire a mangiare se poi devo riparare l’automobile, e devo prenderci pure le botte?”. Ci hanno fatto terra bruciata attorno. Abbiamo cominciato a vedere che la gente non veniva più, i sabotaggi….. Devo premettervi, però, che io denunciavo tutto: ogni singola cosa che ci succedeva.
Non riuscivamo più a stare tranquilli, mi sono ritrovato ad avere la mia macchina rotta sotto casa mia, un primo segnale, mio fratello la sua macchina incendiata sotto casa sua, quindi sapevano dove abitavamo. Poi entrano in casa, mi uccidono il gatto, me lo fanno trovare morto sul letto con tutte le pareti insanguinate. Quando sono entrato in casa è stata una scena del terrore, pensavo che avessero uccisero la donna di servizio. A quel punto la mia situazione era di grande tensione, e pensavo di andarmene. A quel punto non riuscivo più a gestire la paura. La paura era dietro la ragione, comunque forza per poter andare avanti. Mentre ero qui a Palermo.
Il 25 novembre mi sono ritrovato una persona che non avevo mai visto che è venuto per chiedermi il pezzo. Erano le sette di sera. Venne per chiedermi il pizzo dicendo quelle classiche parole: “Amici hanno visto che lei non è messo in regola per cui sono qua per farla mettere a posto”. E io dissi: “Veramente non sono interessato ad avere rapporti con i suoi amici per mettermi a posto. Mi sento apposto già così come sono”. Lui, pensando che per me fosse un problema contabile, cominciò ad offrirmi una serie di opportunità, secondo lui, che sono quelle di dare la possibilità o di assumere una o più persone a cui pagavo lo stipendio senza che questi lavorassero in modo che io contabilmente potessi giustificare l’uscita, o delle fatture false fatturando marketing piuttosto che una consulenza di informatica di formazione. E alle mie risposte negative, ad un certo punto, minacciandomi, mi disse: “Lei non sa in che guai si sta mettendo!”. E io provai coraggio e gli dissi: “Lei non sa in che guai si è messo!”. Vedevo in questa persona tutto quello che mi era accaduto, anche se magari non era stato lui. Vedevo in lui quello che mi aveva ammazzato il gatto e tutto il resto. Avevo molta rabbia ed ero deciso di andare contro questa persona. Quando andò via presi il numero di targa. E mentre ero lì chiamo i carabinieri e dico di voler fare una denuncia. Proprio in quel momento arrivano quattro persone in borghese mi dicono: “Siamo carabinieri”. Guardo il telefono e mi dico: “Mai così veloci”. E in effetti cosa era successo: che le mie denuncie, che devo dire da cittadino un po’ sfiduciato pensavo non avessero prodotto alcun risultato, avevano invece prodotto un risultato positivo e cioè che tutto ciò che avevo denunciato era diventato oggetto di attenzione dei carabinieri. Cioè quel giorno che mi sono ritrovato i carabinieri perché da diverso tempo monitoravano la piazza, tenevano sotto controllo qualunque cosa. Erano due ragazze e due ragazzi. Per me erano due coppie che mangiavano, cioè non avevo capito assolutamente niente che fossero dei carabinieri. E poi mi dissero che erano qui da circa due mesi. Non sempre gli stessi. Che monitoravano la nostra azienda e quando hanno visto entrare lui, che lui già conoscevano, sapevano chi era, si erano seduti accanto a me e avevano sentito tutto quello che ci eravamo detti. E mi dissero: “Lei è disposto a confermare tutto in una denuncia?”. E io: “In verità avevo chiamato, certo che sono disposto”. Ricordo che quando andai dal maresciallo a formalizzare la mia denuncia lui si stupì proprio del fatto che io andavo lì per formalizzare la denuncia, dicendo cosa era accaduto, riconoscendo addirittura le fotografie segnaletiche. Questa era la prima volta che gli succedeva che un commerciante, sebbene si era già riusciti ad arrivare a questa situazione, diceva che già lo conosceva.
E allora da quel momento in poi magistrati e carabinieri si mossero, e nel giro di quattro mesi e mezzo attraverso intercettazioni ambientali, video, e telefoniche riescono da quella persona, sapendo già chi era, (non l’hanno arrestato subito perché avrebbero vanificato tutto), direttamente al capo, Spadaro, persona di grande spicco, già implicato in un grande processo, e condannato all’ergastolo. E paradossalmente se con l’ergastolo aveva fatto solo otto mesi di carcere con la mia situazione è stato condannato a sedici anni (…) Tutto questa fa credere che c’è uno Stato efficiente, c’è una forza di polizia che sa fare le indagini. Questo è un aspetto positivo della mia situazione. Per tutta la durata delle indagini i soprusi continuarono perché loro non sapevano niente. Mi diedero anche un appuntamento con un boss in un mercato ittico vicino Palermo. E io ho incontrato questo boss, naturalmente lo incontrai con tutte le precauzioni del caso, con tanti carabinieri in borghese. Lui veniva registrato da apparecchi a distanza, e tutto quello che diceva faceva poi parte degli atti. A proposito devo dire che tutte le intercettazioni che sono servite come prova contro di loro sono solo quelle che sono state fatte negli ultimi giorni, quindi ben dopo i famosi sessanta giorni previsti dall’attuale disegno legge che se fosse stato in vigore non ci avrebbero permesso di arrivare nemmeno in tribunale, perché non era successo assolutamente nulla nei primi sessanta giorni tale da portarla come prova. (…)
Lo Stato non è fatto solo di cittadini che denunziano, di polizia che fa le indagini, di magistrati, lo Stato è fato anche di altro. Di politica, di legami con la Chiesa, quindi con la religione. È fatto di democrazia. Se non c’è un’unione di queste forze assieme è un po’ complicato creare fiducia nei cittadini, e dare un colpo decisivo alla ‘ndrangheta e alle mafie in generale. Ma la burocrazia attuale e la politica attuale e sono quelle che fanno sì che le persone si tengano fuori. Io mi sono ritrovato a situazioni in cui molti commercianti che pagano il pizzo sebbene in contatto con me, sebbene hanno parlato con me, continuano a pagare il pizzo e non hanno intenzione di denunziare perché hanno già messo in conto il fatto che pagano il pizzo. (Uno Stato libero, ndr) come concetto è bellissimo, ma non si riesce affatto a diffondere. È una battaglia impari. Se un suo brivido partisse dalle grandi istituzioni…

1 commento:

NADIA ha detto...

è pur vero che ieri c'era poca partecipazione dei cittadini alla manifestazione , per rendere omaggio alla morte di borsellino e la sua scorta...io abito al nord, sono lombarda,persone oneste, persone che non si fanno più ricattare sono in aumento.lo sò si rischia molto. ecco perchè ci vogliono anche polizziott, carabinieri,magistrati onesti..che non scendono a compromessi e possono stare al fianco, come in questo caso con vincenzo conticello. persone che rischiano e non vogliono pagare il PIZZO...
è qui che lo stato deve essere presente in ogni momento..ripeto sono lombarda ma mi fa piacere che dal sud al nord qualcosa sta cambiando..grazie anche a te emilio grimaldi e ai ragazzi del movimento " E ADESSO AMMAZZATECI TUTTI"