“Oggi c’è nebbia in Val Padana”. Dicevano così. La nebbia che non ti faceva vedere a un metro di distanza l’uno dall’altro, fra gli operai. Ma non era nebbia. E loro non lo sapevano. A fine mese avrebbero portato la pagnotta a casa. Qualcuno ogni tanto mancava all’appello. E ci facevano l’abitudine: veniva sostituito. Cento e sette persone sono morte. Tumore. Al fegato. Ai polmoni. Al cervello. Al pancreas. Alle mammelle. Allo stomaco. All’utero. Al seno. Alla vescica. All’ano. Alla lingua. Ai reni. Al colon. Alla trachea. Alla prostata. Alla bocca. Sulla pelle. Ai testicoli. Alla tiroide. L’ordine degli organi vitali dell’organismo umano è sparso. Cento e sette persone. Ottantanove uomini e diciotto donne. E sessanta sono ancora ammalate. Un bollettino da guerra. E dire che la storia della Piana che da Maratea, in Basilicata, a Praia a Mare, in Calabria, era iniziata con una strenua e valorosa resistenza. Quella della Guarnigione del Castello del Regno delle due Sicilie contro l’esercito borbonico nel 1807. Tanto che per il primo centenario, nel 1907, sul monte di San Biagio vi innalzarono una grossa croce in ferro battuto, a perenne memoria. Continuamente distrutta dai fulmini venne poi rimpiazzata con un’altra in cemento armato nel 1942. Fino al Cristo Redentore del conte Stefano Rivetti nel 1963. Una storia al contrario. Quello che non riuscirono a conquistare i francesi contro i prodi meridionali italiani sono riusciti a fare i loro connazionali. Rivetti e i grandi industriali: Lanerossi, Eni e Marzotto, il gruppo Marzotto. “Marlane: la fabbrica dei veleni. Storia e storie avvelenate”, di Francesco Cirillo e Luigi Pacchiano. Interviste di Giulia Zanfino. Edito da laboratorio Coessenza. Centonovanta pagine che si leggono con il nodo alla gola. In questi giorni si sta svolgendo il processo contro i tredici dirigenti della Marlane Spa. Sono accusati di omicidio colposo plurimo, aggravato dalla omissione delle cautele sul lavoro, lesioni colpose gravissime, omissione dolosa delle cautele antinfortunistiche e di disastro ambientale doloso.
Quella della Marlane, acronimo di Praia a Mare (il territorio dove è collocata) e di Lanerossi (la società che acquistò dal conte Rivetti) è una storia di diritto al lavoro e di diritto alla salute. Sullo sfondo un cimitero. Di piccole croci. Di persone semplici che, a scapito della loro salute, vi hanno lavorato fino a trovarvi la morte. Che vi hanno lasciato la vita per portare un tozzo di pane a casa. Nel capitolo dedicato alla politica di Praia a Mare Cirillo scrive: “Di quella fabbrica oggi restano solo le memorie dei tanti operai che vi hanno lavorato. La Praia perbenista ha dedicato una piazza al Conte Rivetti, agli operai morti per il lavoro neanche un vicoletto”. Lavoro e politica. Lavoro e soldoni. Lavoro e morte. Una morte lenta. Che li ha consumati giorno dopo giorno.
Il racconto delle vedove, attraverso le interviste di Giulia Zanfino, sembra una scenografia dell’orrore. Di persone senza scrupoli che hanno fatto breccia nell’ingenuità e nel bisogno di lavoro delle famiglie per avvelenarli. Un avvelenamento pagato con il silenzio grazie al ricatto, altrimenti, della non assunzione della rispettiva prole. Licenziamenti auto firmati sui letti degli ospedali con le mani tremolanti, senza più sangue nelle vene, rantolando. Perché la fabbrica continuasse a produrre e a far morire anche loro. E, se non fosse stata chiusa, anche i nipoti. Di generazione in generazione.
Chi ha conosciuto il conte sa che il Cristo, fatto innalzare a Maratea, sede del primo complesso industriale del “benefattore”, somiglia a lui. Un Cristo sinistro. Più fedele al Vitello d’oro del peccato, mentre Mosè si faceva consegnare i dieci comandamenti per il popolo liberato, che al Salvatore. È stato lui ad approfittare della politica dei finanziamenti a favore del Sud. Per farlo stare alla pari del Nord. Poi venne l’Imi, l’Istituto mobiliare italiano, poi la Lanerossi e l’Eni. E, infine, il gruppo Marzotto, che rilevò sia la Lanerossi che la Marlane. Una politica che ha lasciato sulla scia cento e sette morti e circa sessanta ammalati. Morti benedette dal profumo dei soldi. E da un diritto al lavoro umiliato e massacrato.
“Arbeit macht Frei”. È la scritta che campeggia nella foto ricordo dei lavoratori davanti alla Marlane sulla copertina del libro inchiesta. Si tratta di un fotomontaggio. “Il lavoro rende liberi” era il benvenuto agli ebrei che facevano il loro ingresso nei campi di concentramento nazisti. L’elenco dei morti alla Marlane, suggerisce Cirillo, sembra “una moderna Shindler List”, però, a differenza di Shindler che riuscì a salvarli attraverso la sua lista, la maggior parte di questi non ce l’ha fatta. Riuscirà la Giustizia italiana a riconoscere loro almeno la dignità dei diritti al lavoro e alla salute che hanno inseguito fino all'ultimo respiro? Almeno questo. Si attende l’esito del processo.
3 commenti:
per favore togliete questa pubblicità di mediaset....doveva essere un blog serio
Gentile anonimo,
non è pubblicità. E' il servizio delle Iene sulla Fabbrica della Morte.
ok scusa, ho fatto una bella figura di m.....
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