Se Immanuel Kant avesse visitato le Valli Cupe negli anni a cavallo delle sue prime Critiche, “Critica della ragion Pura” (1781) e “Critica della ragion pratica” (1788) non avrebbe scritto la terza, “Critica del giudizio” (1790). E tutto il suo pensiero “critico” verso le categorie della conoscenza della storia della filosofia del passato avrebbe subito una battuta d’arresto. Forse la visita delle Valli scavate fino a centodieci metri, come tagliate da un coltello nelle mani di un gigante, gli avrebbe anticipato la sua concezione del bello e del sublime, e risparmiato il lungo e difficoltoso lavoro di distruzione della concezione dell’infinito prima di lui, per trovarlo solamente nella legge morale e nelle stelle del cielo, (Sulla sua tomba è scritto: “la legge morale in me e il cielo stellato sopra di me”). Forse avrebbe invertito l’ordine delle “critiche”, iniziando proprio dalla bellezza e dal terrore naturale che suscita il sublime richiamando la voglia d’infinito. Forse. Forse avrebbe rivoluzionato, più di quanto ha fatto, la storia della filosofia dopo di lui. Ancora forse e se, ma al genio non si comanda. Così come nemmeno si comanda ai dieci chilometri del canyon delle Valli, in mezzo alle montagne del territorio di Sersale, come disegnate da un tipografo ciclope che si è divertito poi a ripulire la punta del grande coltello sulle pareti. L’impressione delle gole strette in mezzo alle montagne che quasi si toccano dall’alto è degna della migliore definizione del sublime del filosofo tra i più grandi della storia occidentale. “Il sublime è ciò in confronto a cui ogni altra cosa è piccola”. Il sublime, per Kant, può essere matematico o dinamico. Quello dinamico concerne la natura. “La potenza della natura eleva la forza dell’anima al di sopra della sua solita misura media e fanno scoprire in noi un potere di resistere che ci incoraggia a poterci misurare con la violenza apparentemente onnipotente della stessa natura”. Questo delle Valli Cupe è uno spettacolo che attrae spaventosamente come le vertigini. Anche se, al contrario del vuoto, qui a spaventare non è il paesaggio a precipizio, ma il dubbio sempre latente di un movimento brusco della montagna che inghiottirebbe il vuoto lasciato per caso. E ancora, al contrario delle vertigini non è il cuore a reagire per primo al pericolo, ma la mente verso pensieri che cercano una via di fuga trovandola immediatamente in alto, dove finisce la cavità. E solo dopo tale rifugio matematico inizia a gonfiarsi il cuore dall’emozione superiore dell’essere pensante.
PS
già pubblicato su "il Quotidiano della Calabria" il 10 giugno 2008
1 commento:
questo pezzo è bellissimo,lo apprezzo dal 1 momento in cui l'ho letto!appena ho avuto la possibilità di conoscere il tuo blog sono rimasta incantata dalla sapienza con la quale hai mescolato dolcemente l'immenso kant e uno degli spettacoli più belli che la natura ci possa offrire:le bellissime e meravigliose valli cupe!FRANCESCA!
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