26 aprile 2009

Fondazione Campanella. Pane, chemio e politica



A gentile richiesta, dopo la puntata di Report, "La Cura di Alberto Nerazzini", ripropongo questo mio piccolo post sulla "Fondazione Campanella", già pubblicato il 10 marzo scorso.

La nuova politica passa dalla medicina. E anche l’arrovellata architettura dello Stato italiano sembra fare il suo gioco facendo rimbalzare quello che appare come il nuovo muro di gomma del clientelismo elettorale. Se ne accorgerà? L’interrogazione di Franco Amendola sta ancora lì, sul tavolo del ministro della Salute, dal lontano 21 dicembre 2006. Quando si faceva portavoce delle “lamentele e delle voci preoccupate che si levano intorno al centro e, in special modo, dei rappresentanti delle varie organizzazioni sindacali che parlano apertamente di grave stallo nella gestione del centro ed individuano proprio nel Consiglio di Amministrazione della Fondazione «T. Campanella» la responsabilità di tale situazione”. L’atto di controllo parlamentare segue di pochi giorni la mozione firmata da bene 11 consiglieri regionali, il 14 dicembre. Talarico, Nucera, Occhiuto, Sarra, Trematerra, Aiello, Gentile, Dima, Senatore, Nicolò, Morelli, lamentavono “con stupore ed indignazione che i servizi richiesti ogni giorno dal paziente oncologico, i presidi fondamentali per la cura dei tumori, la disponibilità di tecnologie d’avanguardia presenti solo nel Centro oncologico e l’impiego di un numero adeguato di medici e professionisti sanitari, sono quotidianamente pregiudicati dalla cattiva amministrazione della Fondazione Campanella; i vertici della Fondazione Campanella non si sono dimostrati in grado di garantire l’efficiente funzionamento della macchina gestionale”. Ma nemmeno la recente relazione della commissione Serra-Riccio è riuscita a scalfire il muro di gomma della Fondazione che gestisce il Polo oncologico di eccellenza dell’azienda Mater Domini di Catanzaro. “Si tratta – si legge nel documento di controllo - di una Fondazione di diritto privato costituita dalla Regione e dall’Università che riceve finanziamenti pubblici regionali non correlati alle prestazioni rese al servizio sanitario regionale (a termini di Statuto, la cifra ammonta a Euro 50 milioni annui) ed i cui bilanci, peraltro, mostrano limiti sul piano della chiarezza e della correttezza amministrativa”. Anche questo treno in corsa contro la Fondazione sembra rimbalzare. L’avvocato Anselmo Torchia, suo presidente, così si difende: “Prima di tutto va considerata una cosa: con chi ha interloquito la commissione? Esistono verbali della commissione che si possano consultare? Con me non ha interloquito nessuno, e io sono il presidente e legale rappresentante del Centro. Con il direttore scientifico so che non ha interloquito nessuno. E allora da chi e da dove sono stati tratti gli elementi di valutazione? E con quale metodo? È chiarissimo che la commissione non si è resa conto di non trovarsi di fronte ad una comune azienda sanitaria, ma a tutt'altra struttura e regolamentazione. Le indicazioni della commissione non solo sono infondate perché smentibili punto per punto e smontate dall'evidenza: esse sono del tutto irrilevanti. Tanto è emerso anche dai dati fornitimi dalla Direzione gestionale del Centro. Avevo invitato il prefetto Serra, che ho conosciuto a Roma, a visitare la struttura e a rendersi conto di persona. Le rispettive segretarie stavano fissando la data, ma poi la sua candidatura ha fatto saltare tutto. Cosa sia successo dopo non lo so. Nessuno mi ha contattato né chiesto materiale documentale, nessuno ha chiesto al collegio dei revisori notizie sui bilanci dagli stessi previamente visionati e controllati”. Lo aveva invitato dunque, l’avvocato Anselmo, proprio come fra amici. La commissione doveva far luce sulla malasanità in Calabria, sui buchi neri e sulle morti di cattiva sanità, e l’avvocato lo aveva invitato. Ma poi si è dato alla politica il prefetto di ferro. E non se ne fece niente. Già, passiamo alla politica.
Cominciamo da quella che ha portato il direttivo dell’associazione “Verità, giustizia e libertà”, di cui è presidente lo stesso Torchia, a giudicare la decisione di Agazio Loiero, governatore della Calabria, quando ha sbattuto la porta della Margherita per dar vita al movimento autonomo meridionale, il Pdm, “come una nuova iniziativa politica che gode della certificazione costituita dalla inversione di tendenza che la giunta regionale in carica ha realizzato in un anno di lavoro interrompendo un trend negativo ultratrentennale di cui è stata vittima la Calabria”. E tra la mole di lavoro messa in atto dal governatore c’era anche la sua nomina fresca fresca di presidente della Fondazione Campanella, il 10 marzo 2006. Loiero e Torchia sono legati, poi, anche sul piano giudiziario. L'avvocato è il legale di Eugenio Ripepe, perquisito nell'ambito dell'indagine Why not perché stretto collaboratore del presidente della Regione Calabria.
L’anno scorso, il 28 marzo, in vista delle elezioni politiche e provinciali, il direttivo di “Verità Giustizia e Libertà” si è riunito di nuovo e ha sciorinato ancora le ricette per uscire dalla crisi: impegno, solidarietà e sviluppo. Non furono espresse sfacciatamente delle preferenze, ma in prima fila c’era Paolo Abramo, in lizza con il Partito Democratico, con il quale, nel frattempo, il governatore aveva fatto pace.
Tuttavia, il vero sofisma della Fondazione sta nel suo essere non essere Irccs (Istituto di ricovero e cura a carattere scientifico). La legge di riordino degli Irccs, la numero 288/03, è chiara. All’articolo 14 dice che il riconoscimento viene effettuata dal ministero della Salute previa nomina di una o più sottocommissioni di valutazione su richiesta della regione competente per territorio. All’articolo 2, invece, modula la possibilità che gli Ircss possono essere trasformati in Fondazioni: “Sono enti fondatori il ministero della Salute, la Regione ed il Comune in cui l'Istituto da trasformare ha la sede effettiva di attività e, quando siano presenti, i soggetti rappresentativi degli interessi originari. Altri enti pubblici e soggetti privati, che condividano gli scopi della fondazione ed intendano contribuire al loro raggiungimento, possono aderire in qualità di partecipanti, purché in assenza di conflitto di interessi: gli statuti, in conformità al presente decreto legislativo, disciplinano le modalità e le condizioni della loro partecipazione, ivi compreso l'apporto patrimoniale loro richiesto all'atto della adesione e le modalità di rappresentanza nel consiglio di amministrazione”. In Calabria, invece, la “Fondazione Campanella” che gestisce il Polo oncologico dell’azienda Mater Domini ha saltato tutti i passaggi. E’ nata già con la camicia. Nel novembre 2004 la Regione di Chiaravalloti e l’Università di Salvatore Venuta hanno dato vita alla “Fondazione Campanella” per gestire il Polo oncologico di eccellenza a Germaneto, appena costituito. Nello statuto vi era la clausola che entro tre anni sarebbe dovuta essere riconosciuta come Irccs. A tutt’oggi ciò non è avvenuto. Come mai? È sempre Anselmo Torchia che ci viene in soccorso. “Tale riconoscimento - spiega - che sicuramente avrà una valenza di maggiore prestigiosità dell'ente, dipende dal ministero della Salute che deve previamente valutare la sussistenza di determinati requisiti e della durata dei medesimi requisiti per un certo periodo di tempo che è di alcuni anni: non va dimenticato che il Coe (Centro oncologico di eccellenza) è di istituzione recente; che il CdA da me presieduto si è insediato solo nel marzo 2006 e che ci siamo resi conto quasi subito che addirittura il precedente consiglio di amministrazione presieduto dall'avv. Raffaele Mirigliani non aveva nemmeno ancora proceduto alla richiesta di riconoscimento della personalità giuridica che, prontamente richiesta alla Prefettura dal sottoscritto, veniva ottenuta nell'aprile del 2006”. In altre parole a provvedere a riconoscerla come Irccs è lo stesso ministero che l’anno scorso ha inviato una commissione che l’ha sonoramente bocciata! Il muro di gomma rimbalza ancora. Ma c’è dell’altro.
La collaborazione fra Fondazione e Azienda Mater Domini, dopo la morte di Salvatore Venuta, rettore dell’Università e direttore scientifico della Fondazione, si stava sgretolando sempre di più. E Rosalba Buttiglieri, direttore generale dell’azienda, è stata messa da parte recentemente dalla Regione Calabria che le ha preferito Antonio Belcastro. E lei se l’è presa. E qualche sassolino se l’è pure tolto. “La Fondazione Campanella l’abbiamo sempre supportata. Ed è debitrice nei nostri confronti di alcuni milioni di euro”. Debitrice di alcuni milioni di euro? Si, ha detto proprio così. “Meglio allora”, avrà pensato Loiero, “metterci in azienda uno che già fa parte della “famiglia Campanella”. Ed ecco spuntare la nomina di Belcastro, già direttore amministrativo della Fondazione. Per onor di cronaca, in realtà, l’ordine è inverso. Prima c’è la nomina di Belcastro e poi il sassolino della Buttiglieri, almeno pubblicamente.
Il quesito più grande sulla struttura, che ricorda uno degli uomini più illustri della Calabria, è , però, quello che ruota intorno alle chemio. Alle chemioterapie. E dei pazienti che si moltiplicano come i pani e pesci del Vangelo. Data la mancanza di dati ufficiali e trasparenti. Dato il pressocché assente monitoraggio sulla sua attività (come rilevato dalla Commissione Serra- Riccio: “sono sorti taluni dubbi circa le modalità di effettuazione dei controlli sulla spesa di denaro pubblico, l’effettivo livello quantitativo e qualitativo delle prestazioni oncologiche offerte, la sussistenza di una rete oncologica, ovvero di un collegamento istituzionalizzato con altre strutture pubbliche che erogano le medesime prestazioni… Peraltro, tutte le informazioni provenienti dalla Direzione della Tommaso Campanella sono apparse alla Commissione insufficienti ed elusive"), ci si deve accontentare dei comunicati stampa che la Fondazione ci fa grazia ogni tanto di pubblicizzare. L’ultimo è quello che dice che “per la degenza ordinaria, a oncologia medica, dove sono disponibili 16 posti letto, sono stati utilizzati da 1.000 pazienti in soli 4 mesi; per il day ospital i posti sono 12. Sono stati ben 964 pazienti per 9.000 accessi. Nell’area integrata oltre 1.000 i ricoveri in un anno con 4.200 chemioterapie totali”. Quindi, dal momento che la matematica non è un’opinione, la Fondazione vanta una degenza ogni due giorni per ogni letto in media, negli ultimi quattro mesi. Mentre gli accessi sono stati nove volte tanto i pazienti nell’ultimo anno. Come è possibile? E poi le chemio. In media quattro per ogni paziente. Ma come? Un Istituto di ricerca si avvale solo di queste costosissime fiale per guarire i malati di tumore? Al riguardo, la letteratura scientifica è molto discorde sulla sua effettiva efficienza, mentre, per gli interessi delle case farmaceutiche, pare, non vi siano dubbi, visti i costi per il sistema sanitario italiano e i loro ingenti guadagni. Perché ancora, non ponderare i trattamenti in funzione del rapporto fra costi e benefici e della storia naturale della malattia? La spesa complessiva è stata di 3 milioni di euro circa durante l’anno scorso. Pochi spiccioli, comunque, rispetto ai 50 milioni di euro che riceve ogni anno dalla Regione Calabria. Ciononostante, secondo la Buttiglieri, è anche indebitata con l’azienda Mater Domini. Il muro di gomma è impenetrabile. Ma alle tasche dei cittadini calabresi ci arriva facile facile.

2 commenti:

Anonimo ha detto...

dopo aver visto report mi vergogno di essere sempre di più un calabrese e per giunta onesto.
Ma i 50 milioni, saranno serviti ogni anno per comprare il topolino che abbiamo visto?

Anonimo ha detto...

dopo aver visto report mi vergogno sempre di più di essere calabrese e per giunta onesto.
Ma i 50 milioni, saranno erviti per comprere quel topolino?