25 aprile 2009

La ceralacca del Ros



Di tutto il materiale informatico sequestrato a Gioacchino di Genchi dagli operatori del Ros di Roma il 13 marzo scorso, solo la ceralacca, utilizzata per l’apposizione dei sigilli, era di loro proprietà. Anzi, nemmeno quella, era del Ros dei carabinieri che stanno nello stesso stabile degli uffici di Genchi a Palermo. Hanno sequestrato un “case”, il famoso server “Ciampi”, quell’altro, altrettanto famoso, “Gifuni”, due Dvd, contenenti copia del sito web del consulente, un Cd contenente un programma, quattro Dvd contenenti una cartella su Saladino, servendosi di appositi materiali di imballaggio, come la carta, lo spago e un nastro, appartenenti alla C.s.i., società dello stesso perito di molte procure italiane, e se ne sono andati. Ora, il tribunale del Riesame ha annullato il sequestro perché Genchi, ribaltando le accuse della Procura di Roma, “ha agito correttamente”. E perché “non ha violato la legge quando ha acquisito ed elaborato i tabulati telefonici relativi a utenze in uso a parlamentari ed esponenti dei servizi di sicurezza, né ha violato la privacy quando ha effettuato 2600 interrogazioni all’Anagrafe Tributaria utilizzando l’abilitazione del Comune di Mazara del Vallo”. E perché “non ha violato le guarentigie a tutela dei parlamentari interessati dalle acquisizioni dei tabulati di traffico telefonica”, agendo, “di volta in volta, in forza del decreto autorizzatorio emesso dal pm, comunicandogli ogni emergenza di conoscenza storica circa il coinvolgimento di membri del Parlamento come soggetti intestatari ovvero usuari di utenze di telefonia”. In altre parole Genchi non “avrebbe” ma ha agito “nell’esercizio delle sue funzioni di elaborazione e trattamento dei dati, legittimamente e lecitamente raccolti in forza dei provvedimenti del pm, funzioni legalmente dovute nella qualità di consulente tecnico”. Il Riesame, quindi, ha anche disposto la restituzione di tutti i supporti e le “res” sequestrate a suo tempo. E la Procura che fa? Riconsegna solo il “case”, perché l’ablazione del resto ha riguardato, a suo dire, solo “l’acquisizione di copie”. Ma come? I Ros sono andati a mani vuote, non avevano nemmeno la ceralacca per i sigilli, e la carta, e il nastro, e lo spago, per imballare - materiali muniti gentilmente dallo stesso Genchi - si sono portati via mezzo studio della sua società di servizi, hanno pure dovuto chiamare un carro attrezzi, e avrebbero fatto solo fotocopie? Li vorrei proprio vedere questi Ros che fanno fotocopie. Magari con turni di 10 ore ciascuno. E si perché per fotocopiare tutti quei documenti computerizzati (certamente mi sbaglierò, cercherò di farlo in difetto) ci sarebbe voluta una settimana, avendo a disposizione anche una grossa quantità di toner per il ricambio dell’inchiostro. E, giustamente, loro hanno pensato bene di portarsi via in modo più comodo direttamente i supporti informatici di memorizzazione anziché stare lì a fare fotocopie. Fotocopie! Ma chi ci crede? Non ci crede nessuno. Ma non è del tutto giusto. Perché i primi a crederci sono stati proprio i magistrati che hanno disposto il sequestro, e quelli che “inopinatamente”, accusa molto civilmente il consulente, hanno rifiutato la restituzione. Verso i quali, ora, pende la diffida dell’avvocato Fabio Repici, difensore di Gioacchino Genchi. Il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, al quale si era rivolto l’ex collaboratore di Luigi De Magistris, per fare rispettare la legalità in merito alla restituzione del materiale illegittimamente sequestrato, oggi, 25 aprile, festa della Liberazione nazionale, ha detto: “Che è una festa di tutti gli Italiani, non di una parte sola”. Giusto! Ma finché in Italia si registreranno casi di illegalità diffusa, soprattutto all’interno delle Istituzioni, l’Italia rimarrà sempre divisa. Con il fascismo del potere da una parte, e i nuovi partigiani che continuano a cadere per la Patria, dall’altra. Per questi ultimi è auspicabile prevedere una loro pubblica commemorazione fra 50 anni. Forse. Ma sarà troppo tardi.

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