13 aprile 2009
La dolcezza del terrore
“Dove potremo ma trovare qualcosa di veramente dolce e splendido che non sia celato dietro una maschera di terrore? Chi non è in grado, prima o poi, di concedere il proprio pieno e gioioso consenso al lato spaventoso della vita, non potrà mai prendere possesso dell’indicibile ricchezza e potenzialità dell’esistenza”. Rainer Maria Rilke
Quello che scrive il poeta Rilke è così crudo che non lascia indifferenti. Come si può definire “dolce” e “splendido” il terrore? Come può essere vero che l’“indicibile” ricchezza della vita la si può conoscere solo dando il proprio “gioioso consenso” al lato spaventoso della vita? Eppure, in realtà, a leggere bene fra le pieghe della coscienza che si sprigionano assistendo a una scena di terrore sono due le vie di fuga dall’inferno. Una è data dal piacere di essersi salvati. Un piacere dettato dall’egoismo, inteso come istinto di sopravvivenza, che accomuna tutti gli uomini. L’altra viene fuori, invece, dalla costatazione del “nulla”, cioè dal fatto che qualche “essere” a un certo punto è stato annullato da un qualcosa. Alcuni accusano il reato, se si tratta di un omicidio, altri ancora, puntano l’indice contro l’irresistibile energia della natura, se è stato, invece, un terremoto a cancellare vite umane e costruzioni fatte dall’uomo. Ora, questa presa di coscienza dell’essere che viene annientato non farebbe altro che rafforzare, quindi, gli esseri che sono rimasti in vita. Forse è questo che voleva dire il grande scrittore di Praga. Una presa di coscienza che riesce anche a colorarsi di sentimenti. L’inverosimile “dolcezza” nelle tragedie è un battito del cuore, non della mente. E di “gioioso consenso”. Anzi qui, nel consenso, c’è anche qualcos’altro, secondo le fibre della coscienza che riesce a toccare Rilke. C’è la consapevolezza della debolezza dell’uomo che assiste impotente alla manifestazione del terrore. Ma quello che scrive infine il poeta delle Elegie Duinesi certamente riguarda tutti noi, come comunità che vive in uno Stato organizzato democraticamente e soggiacente alle leggi che difendono i diritti di ogni uomo. La “ricchezza” e la “potenzialità” dell’esistenza che si apprenderebbe dalla vista del terrore. A parte la sua verticalizzazione verso la sfera spirituale della vita di ciascuno, c’è anche molta “materia” spicciola per la continuazione dell'esistenza dei vivi. Come la cognizione che la sabbia del mare, come quella utilizzata per costruire le case nella città de L’Aquila e nei paesi di provincia, fa il gioco del terrore, alimentandolo a sua volta. Questo già si sapeva, da mo’. Ma il sapere misto allo spavento di questa immensa tragedia dovrebbe far riflettere meglio chi le ha costruite e chi doveva controllare proprio per evitare che simili spettacoli spaventosi non si ripetano più. Questa è la “potenzialità” dell’esistenza che si apprende dal terrore, e dalla sua condivisione.
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