15 settembre 2009

"L' infermiere" è di scena al Pugliese Ciaccio



Di personaggi che gravitano intorno al “Pugliese Ciaccio”, il più grande ospedale della Calabria, ce ne sono tanti. Medici, infermieri e donne delle pulizie se potessero parlare e raccontare le loro storie qualcuno sarebbe in grado anche scriverci un libro. Ma fra tutti merita un minimo di attenzione un personaggio unico nel suo genere. Il genere è quello dell’ “infermiere personale”. Si tratta di una categoria di persone che svolgono la loro attività di notte. Sono molto richieste. Specie se il malato è in fin di vita e i familiari sono avanti con l’età e non ce la fanno a stare al suo capezzale tutte e 24 ore ogni giorno. Sono persone umili e molto disponibili. Compensano i buchi temporali e assistenziali degli infermieri che spesso non hanno il tempo di occuparsi di un intero reparto. E anche loro, pagati dallo Stato, accettano di buon grado l’ausilio di questi badanti, pagati dai familiari del moribondo. Il paradosso è quando gli infermieri ospedalieri si arrabbiano con gli infermieri privati perché magari non svolgono bene “il loro dovere”. Ma questa è un’altra storia. La mia premura, adesso, è raccontarvi ciò che mi è stato riferito. Mettere per iscritto l’attività svolta da questo presunto “infermiere professionale”, così si presenta. Chiedo venia se le mie parole non saranno all’altezza del resoconto orale. Ne vogliono, tuttavia, essere solo una copia. Ma fedele. Ad ogni modo vi assicuro che mai e poi mai questo mio testo potrà essere paragonato alla perfomance da cabaret a cui ho assistito. Che farebbe rodere dall’invidia i più famosi comici italiani.
È un ragazzotto sui 35 anni. Si presenta bene. Alto. Robusto. Sguardo profondo. Ispira fiducia. Specie quando arriva e controlla subito le flebo. Responsabile. I familiari pendono dalle sue labbra. E quando questi gli dice di “andarsene”, che da “adesso in poi ci penso io” si sentono sollevati. “È nelle mani giuste”, li senti mormorare. Ah, già dimenticavo. Il suo arrivo è già una notizia. Sdraio, sacco a pelo, penna con led luminoso e macchina fotografica. Non passa inosservato. Sembra uno di quei pellegrini in partenza per Santiago. E, invece, deve solo badare a un moribondo per una notte. Dopo il rituale dei saluti con i familiari accomoda le sue cose al lato del letto. Spegne la luce e visita il suo paziente. Non è un medico, ma più di un medico. È un “infermiere professionale”, così dice rilasciando bigliettini agli altri con il suo numero di cellulare. Ma perché spegne le luce? Per guardare bene dentro la bocca e gli occhi del suo ammalato. Poi arriva il momento della macchina fotografica. Sembra debba fotografare un morto. E invece lo fotografa da vivo. Nelle sue intenzioni deve sembrare talmente vivo che con una mano aziona la macchina e con l’altra alza le pupille dell’allettato. In tempi in cui non tutti si possono permettere la videochiamata con i cellulari alla moda lui va oltre. Fa vedere oltre la realtà. Ciò che i familiari desiderano. Un pronto miglioramento. E con quegli occhi sgranati sembra sia arrivato veramente. Grazie a “mister infermiere”. Questo tradizionale appuntamento lo aspettano tutti i suoi coinquilini ogni notte. Non vedono l’ora che arrivi. È come assistere a uno spettacolo dal vivo. E senza pagare il biglietto. Poi continua la sua performance da “infermiere professionale”. Riaccende le luci, le rispegne. Controlla le flebo. Guarda il suo orologio. Calcola il tempo che ci vuole. Il tutto cadenzato da un ragionare a voce alta in modo che gli altri sentano e si rendano conto dell’ “alta professionalità” dell’infermiere. Subito dopo si prepara per la notte. Sacco a pelo. E sveglia. Sì, proprio la sveglia. Non si sa mai, se i parenti il giorno dopo lo trovano che dorme ci fa veramente una figuraccia. Lui dice che riposa. Che non dorme in realtà. E, infatti, se gli squilla il cellulare non lo sente. Sono gli altri che gli si avvicinano per svegliarlo. Lui sobbalza e si giustifica: “Mi ero appisolato, solo un momento”. E poi ricomincia a dormire. Un volta è capitato che è suonato l’allarme del letto del suo assistito. Stessa prassi. Lo hanno dovuto svegliare i vicini. Per recuperare la fiducia di chi ha presenziato alla scena ha preso la penna con il led luminoso e ha ricominciato la visita da capo. Se poi non li vede convinti della sua immensa professionalità e generosità fa di più. Prende una bottiglietta d’acqua e la fa rigurgitare al suo paziente. Gli apre la bocca con una mano e con l’altra gliela fa scendere in gola, anche se lui non sente il bisogno.
In genere la notte la passa sempre così. Dentro il sacco a pelo e con la sveglia, che non sente, a lato. La mattina, stessa perfomance della sera prima. Macchina fotografica. Appunti. Occhi sgranati. E la sua voce che segue passo dopo passo la visita medica certosina. Questa delle foto, comunque, è proprio la sua specialità. La sua fissazione. Una mattina è arrivato un prete per somministrare la Santa Comunione al malato terminale. E lui è stato tutto il tempo impegnato a immortalare il momento fatidico. Peccato che il moribondo non riusciva ad ingoiare, e quindi l’ostia il prete l’ha dovuta spezzettare. Non si vedeva più. Gli sarà sfuggito certamente uno scoop.
Dopo la colazione ritira tutto, sacco a pelo, sdraio, sveglia, cellulare, macchina fotografica, penna luminosa e se ne va. Prima di abbandonare la sala non dimentica, però, di rilasciare bigliettini a chi non ha avuto la fortuna di riceverli dalle sue mani il giorno prima.
Le sue parole famose? “Io sono in grado di lavorare per 52 notti di seguito senza stancarmi mai”. Come dargli torto.

3 commenti:

domenico dragone dal ( pugliese ciaccio ) ha detto...

anch'io faccio la notte in questo ospedale da circa 5 notti..mia sorella e mia madre di giorno
io di notte..confermo il racconto sopra ben descritto e veritiero......vorrei raccontare in breve cosa non fanno gli infermieri di notte ,il controllo degli ammalati deve essere secondo loro
fatto dei parenti,non devono assolutamente lasciare l'ammalato unsolo istante..mi sono allontanato un momento ed è successso pata trac..
mio padre si è staccata la cannuccia del flebo flebo..usciva il liguido per terra..sangue dal polso..chiamo l'infermiere..arriva e mi dice che non dovevo lasciarlo un attimo..m'invita ad andare con lui e mi da un pò di cotone imbevuto
dicendomi di pulire la mano a mio padre..il suo compito è finito..rimango a pulire mio padre in attesa che arriva a rimettere il flebo staccato
passa circa un ora...lo vado a trovare nella loro saletta sta riposando e domando ( scusate ma il flebo a mio padre quando lo viene a rimettere...) risposta va bene così........
in che mani d'infermieri sono gli ammalati... dovrei scaglieren

domenico ha detto...

fra i due tipi d'infermieri....non saprei quale
scegliere..uno peggio dell'altro..questa mattina
gli infermieri hanno lasciato gli ammalati in stato pietoso...mio padre tutto bagnato di pipì
( non avevano lenzuoli di ricambio...) a un paziente di fronte con l'ago staccato...alle nostre rimostranze hanno risposto..ci penseranno
gli altri infermieri che fra poco ci danno il cambio..e non dico altro...

francesca ha detto...

egregio emilio l'umanità è fonte di mille sorprese, c'è chi gioca con la vita degli ammalati e si traveste da allegro chirurgo inviato in missione formato reporter in scatola e chi protesta perché gli infermieri disattendono ai loro doveri, ma quando impariamo che dobbiamo alzare la testa e farci sentire con fermezza perché le cose vadano meglio? e poi nelle corsie ospedaliere non vige la legge sulla segretezza?come osa fotografare pazienti che già sono costretti a subire loro malgrado la presenza di tale elevata professionalità e non vado oltre. francesca