14 maggio 2011

Lo Giudice Alberto Cisterna


Il calderone. Dentro il calderone della ‘ndrangheta ci stanno le dichiarazioni di Alberto Cisterna, magistrato della Direzione nazionale Antimafia. Che disse in un’intervista a Panorama, il giorno dopo l’attentato alla Procura generale di Reggio Calabria, avvenuto il 3 gennaio 2010, che “qualcuno vuol fare capire agli altri di essere più forte”. Qualche cosca, s’intende, dell’hinterland reggino. Ci sta. Ma ci sta anche che sarebbe stato proprio lui, in tandem con un altro magistrato della Dda, Francesco Mollace, ad avere fatto scattare la controffensiva della cosca Lo Giudice per essere venuto meno alla “fiducia” di Luciano Lo Giudice, boss dell’omonimo e “forte” clan, finito in carcere il 20 ottobre precedente agli attentati, lo sostiene il gip di Catanzaro, Assunta Maiore nell’ordinanza di custodia cautelare, che accusa i fratelli Lo Giudice di essere stati i mandanti e Antonio Cortese e Vincenzo Puntorieri gli esecutori.
Zio Ciccio” (riferito a Mollace) e “l’avvocato di Roma” (a Cisterna), questi i nomi in codice che usava dietro le sbarre parlando con i familiari dei magistrati. “Un bordello” bisognava fare, avrebbe detto Luciano al fratello, “il nano”. E bordello è stato, prima alla Procura generale, poi il 26 agosto successivo contro la casa del pg Salvatore Di Landro e, infine, con un bazooka al procuratore Giuseppe Pignatone il 6 ottobre.
Avvertimenti di una strategia della tensione della mafia di casa nostra itinerante, un po’ qua e po’ là. Per Cisterna, “ora è probabile che le cosche vincenti tenderanno a imporre le loro condizioni nei confronti degli altri clan. E per farlo devono dimostrare di essere in grado di fare azioni che nessun altro ha mai fatto in passato, come la bomba alla Procura di Reggio Calabria”. E’ solo una guerra tra clan, dunque. Una strategia spicciola. “Elementare”, disse il giudice della Dda (da non confondere con Lo Giudice, il mafioso, ndr). “Qualcuno vuol fare capire agli altri di essere più forte”. Nel calderone anche il processo per l’omicidio di Francesco Fortugno e le prossime elezioni. Nel calderone, come si sa, tutto fa brodo. Peccato che la strategia, ricostruita da Catanzaro, sia diversa da quella “elementare” dell’avvocato di Roma. È molto più sostanziosa. Rispetto al calderone è un piatto di chiara dieta mediterranea. Magistratura e Mafia. M & M. Stato e antistato. Secondo e contorno. Semplice semplice.

Le telefonate che allungano la vita
Sono nell’ordine di centinaia i contatti telefonici tra Lo Giudice con Zio Ciccio e l’Avvocato di Roma nel periodo che va dal 2005 al 2007. Durante le feste, prima e dopo. Gli incontri ravvicinati, invece, avvenivano grazie Antonino Spanò, proprietario di un rimessaggio di barche. Secondo il quale una volta Luciano avrebbe approdato anche presso la riva di Mollace. Poi qualcosa andò storto. E Luciano fu messo in carcere. Gli attentati sarebbero, perciò, la rabbia dettata da un “tradimento”. Un bordello per far capire chi comanda.
Contatti che Cisterna non nega, e che fa rientrare nel “suo dovere per conto della Repubblica”, scrive rispondendo ad un articolo di Michele Inserra, apparso sul Quotidiano della Calabria. E che “è in grado di dettagliare ogni più microscopico fatto e di ricondurlo all’assoluta fedeltà alle leggi”. Allo Stato.

Gioacchino Genchi, il consulente scomodo
Il giudice Cisterna non li nega, i contatti. Ma va su tutte le furie contro Gioacchino Genchi. E’ velenoso contro il pluriconsulente delle procure che nel libro: “Il caso Genchi, storia di un uomo in balia dello Stato” di Edoardo Montolli, per primo li pubblicò. Contatti per capire da dove provenisse la fuga di notizie in merito all’indagine sulla strage di Duisburg e quella del pentimento di Domenico Novella dal carcere di Cuneo per l’omicidio di Francesco Fortugno. Notizie divulgate sul quotidiano Calabria Ora, allora diretto da Paolo Pollichieni. Così si lamenta, il Ctu: “È un criminale chi ha fatto uscire una notizia del genere, sia sotto il profilo formale della giustizia, che viola il segreto investigativo, che sotto quello etico, perché mette in pericolo o le persone coinvolte ancora sconosciute, o familiari degli indagati per vendetta, o per tentare di bloccare il proseguo della collaborazione”. Mentre oggi, a seguito dell’interrogazione di Antonio di Pietro al ministro della Giustizia sul vice procuratore nazionale Antimafia del 26 febbraio scorso, Cisterna non sta più nella pelle. È furibondo contro la “fastidiosa insolenza di tal Genchi, ex poliziotto scacciato di recente da quell'Istituzione per indegnità”. Genchi espresse alcune opinioni personali su fatti di dominio pubblico, quali l’aggressione a Berlusconi con una statuetta il 14 dicembre 2009 e l’arresto del mafioso Giovanni Nicchi a poche ore dal No Berlusconi day del 5 dicembre 2010, e per Cisterna è stato “scacciato per indegnità”. Non solo, ma “è da qualche anno, scopro, che costui manovra, proclama e, soprattutto, trama nel tentativo vano di gettare discredito. Tant’è che mentre egli e i suoi sodali si dilettano in calunnie e spericolate menzogne, sono stato nominato procuratore aggiunto del mio Ufficio, inserito nel gruppo di sorveglianza sulla ricostruzione in Abruzzo e su Expo 2015, responsabile del coordinamento per le indagini in Sicilia e via seguitando”. Per il magistrato della Dda è la carriera quella che fa di un uomo un uomo onesto e degno. E Genchi non lo è, perché fuori dalla Polizia ormai. Mentre lui, ai vertici di una delle più autorevoli e importanti istituzioni preposte al contrasto alle mafie, la Dna, sì. Se si seguisse questo criterio di giudizio si dovrebbe ritenere che anche Benito Mussolini fu un uomo probo, il più santo degli italiani. Dai fasci a dittatore. Una carriera fulminante.

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4 commenti:

Anonimo ha detto...

ma non c'era un link delle vele?

Cirano ha detto...

da anni la procura di Reggio...come quella di Catanzaro è un verminaio di conflitti, gelosie e contrasti....in mezzo s'inserisce la 'ndrangheta che ringrazia!!!

ernesto ha detto...

Io da semplice lettore quale sono mi chiedo una cosa molto banale. Perchè le notizie che vengono fuori dal contesto calabrese non fanno MAI notizia. Qualora fosse venuta fuori (anche solo come prima ipotesi da verificare) una così alta collusione a Palermo , la notizia, sarebbe andata a finire direttamente sulle prime pagine di tutti i quotidiani non locali ma nazionali. La cosa che mi fa più rabbia e che forse non si riesce a capire ( o semplicemente non ce n'è l'interesse) che per recuperare il contesto calabrese, profondamente corroso e pervaso tanto dalla violenza che da vastissime collusioni di rango superiore, bisognerebbe puntarci i riflettori della pubblica opinione su. Perchè a mio avviso non bastano inchieste ed arresti, poichè si creerebbe una situazione simile a quella di Palermo negli anni delle stragi; e cioè validissimi magistrati schierati contro i più pervasivi poteri dello Stato. Ho paura che nessuno abbia interesse a "recuperare" la Calabria in quanto è una terra che , forse, strategicamente non interessa a nessuno se non come sfogo criminale per effettuare loschi traffici internazionali all'ombra degli stati nazionali o delle multinazionali. So di essere pessimista, ma non riesco proprio a sorridere guardando come trattano la mia terra.

Anonimo ha detto...

QUANDO TOCCANO QUESTI TASSELLI IMPORTANTI NESSUNO SA NIENTE E SONO TUTTI PAZZI MA VI DOMANDATE QUANTI PADRI DI FAMIGLIA SONO NELLE CELLE DA ANNI PER GRANDISSIME CAZZATE E DICO GRANDISSIME PERCHE A CONFRONTO A TUTTO QUESTO MANGIA MANGIA CHI PAGA E SEMPRE E SAREMO SEMPRE NOI PICCOLI CITTADINI QUANDO VE LO ZICCATE NELLA TESTA TUTTI VOI CHE PARLATE DI LEGALITA NON AVETE CAPITO CHE LA LEGALITA LA VOGLIONO FARE ESISTERE AL POVERO DISGRAZZIATO CHE CAMPA LA FAMIGLIA CON POCO O PIU DI 1000 € AL MESE SVEGLIATEVI