17 aprile 2012

Da Skylletion a Londinium per passione. Il sogno di Tommaso Scerbo

Tommaso Scerbo

Archeologi “da terra” e archeologi “da tavolino”. Non ha dubbi. A lui piace scavare. E scavando scavando, ha scoperto tanto. Che in Calabria disconosciamo anche quello che è stato messo in luce. Scavando ha capito che l’unico modo per coltivare questa passione è andarsene. È volato lontano. Oltre la Manica. Quando ha messo piede a Londra si è autoconvinto di “essere chiunque”. “Anche l’astronauta avrei fatto”, confessa. E ci è riuscito, fa lo chef e il pizzaiolo. Per pagarsi l’affitto.
Viaggio senza ritorno di Tommaso Scerbo, un giovane e brillante archeologo di Catanzaro con in mano una tesi che “scardina le teorie” di una soprintendenza calabrese “sorniona”, con un debole per il lasciapassare alla cementificazione. Che ha permesso, per esempio, che si costruisse il “Blu 70” sulle vasche di pescicoltura della villa di Cassiodoro, tra Squillace e Copanello di Stalettì. Un fiume in piena d’amore per l’Istmo che va da Caulonia a Crotone. Il livello “zero” della civiltà indoeuropea. Si trova a casa nostra. Un fiume di rabbia. Ma ha un sogno. Tornare a lavorare in Calabria.

Da Catanzaro a Londra. Perché?
Mi sono laureato in archeologia e lavoravo anche prima di laurearmi. Un po’ per impegno personale, un po’ per fortuna perché alcuni dei miei compagni sono caduti per strada, vuoi per mancanza di lavoro, vuoi per la crisi. Per una marea di motivazioni.
Laureato dove?
All’Unical di Cosenza nel 2009.
E poi ha pensato di fare questo salto?
Subito dopo la laurea ho trovato lavoro in una cooperativa privata, l’Archeores. Come tutte le cooperative d’Italia prende appalti sui lavori pubblici per la sorveglianza e la salvaguardia di eventuali siti archeologici che possono essere scoperti durante le opere pubbliche appunto.
Dove opera?
In tutta Italia, laddove gli viene commissionato il lavoro. Ad esempio, la Smam in Puglia doveva costruire un enorme metanodotto di 200 chilometri. Quindi, 200 chilometri di scavi a quattro metri di profondità. Abbiamo lavorato trovando siti archeologici per due anni e mezzo anche in Basilicata perché il tratto era sul confine tra le due regioni.
Quanti siti avete trovato?
Un’infinità.
Quanti?
Non lo posso dire. Sono informazioni che non si possono dire e né confermare.
E in Calabria dove ha lavorato?
Sempre con Archeores a Caraffa e a Maida sotto la supervisione del dottor Spadea, per l’impianto di tre parchi eolici.
E?
In cooperazione con un altro sito che veniva ritrovato contemporaneamente sotto gli scavi della cittadella regionale. Un sepolcreto di età greca con materiali provenienti dalla città di Atene.
C’è un’indagine della Procura sulla cittadella regionale. Ancora top secret. Pare che qualcuno abbia messo una pezza sugli scavi per consentire la costruzione della megastruttura. Lei ha lavorato anche lì?
Non personalmente, ma ho vissuto tutto lo scavo della necropoli direttamente perché tra noi colleghi ci confrontavamo.
Secondo lei, da Lamezia Terme a Crotone è stato scoperto tutto quello che c’era da scoprire. Oppure ancora c’è dell’altro?
Innanzitutto per l’individuazione della zona sarebbe più giusto dire: da Caulonia a Crotone. Quindi, Crotone, Caulonia e Lamezia Terme. È un triangolo.
Caulonia dov’è?
Corrisponde alla città di Locri e al confine tra la locride e il catanzarese. 
Perché triangolo?
È l’istmo della Calabria, la parte stretta della nostra regione. Una parte di territorio che è segnato da millenni di storia e leggende incredibili e nello stesso tempo particolarmente importante addirittura per la storia nazionale d’Italia perché dal nostro Istmo, dove viviamo, nasce il nome: Italìa. In altre parole abbiamo tenuto a battesimo quello che sarebbe stato il toponimo del nostro paese. Non solo, ma è stata anche la Patria dell’antica Enotria. Cioè, viene riconosciuto, come dice Ettore Maria de Iulis, grande archeologo della Magna Graecia, il livello “zero” delle popolazioni indoeuropee della prima età del bronzo. La prima età storica, se vogliamo. L’età in cui le popolazioni smettono di essere bande e si organizzano in tribù. E nascono i primi insediamenti sociali veri e propri.
Sta dicendo che l’Istmo calabrese è la Patria non solo dell’Italia, ma di tutte le popolazioni europee?
Sì. Di tutte le popolazioni era il livello enotrio. La culla della civiltà europea attuale.
La culla nella storia. Ma a che punto è adesso la ricerca scientifica?
Ferma. Credo bloccata. Da un ventennio a questa parte.
Perché?
Per mancanza di fondi, indubbiamente. A causa del menefreghismo del governo italiano…
Il responsabile dell’area è stato Roberto Spadea. Secondo lei, che ha avuto modo di collaborarci e di studiarlo, avrebbe potuto fare di più?
Sì, certo. Ho studiato le sue ricerche per la mia tesi.
Come s’intitola?
“La costa ionica da Skylletion a Cropani: materiali per una carta archeologica delle evidenze, dalla Protostoria all’età romana”.
La protostoria a quando risale?
La protostoria è l’epoca del bronzo. L’età immediatamente successiva alla preistoria. Tra la preistoria e l’età eroica, l’età di Omero.
L’ha pubblicata?
Non ho avuto modo perché rivela una quantità di materiali inediti. E mi è stato sconsigliato di divulgarla perché avrebbe potuto danneggiare l’immagine di personaggi dell’archeologia locale che sono stati gli unici, dalla fine dell’800 in poi, a rendere pubbliche le proprie ricerche e teorie sul territorio. La mia tesi scardina le loro teorie e ipotesi. Non posso, dunque, non citare Spadea perché è l’unico che ha raccolto materiali e fatto lavori di ricerca sul territorio, ma ha affermato per molto tempo una serie di ipotesi che non trovano, secondo me, seguito alla luce delle attuali risultati. Se vogliamo fare un esempio le ricordo che, a proposito del sito di Scolacium - durante l’età protostorica, del bronzo, anzi, alla fine di questo periodo - ha sostenuto che il territorio registrava una rarefazione di presenze. Cioè presenze riconducibili alla prima età del ferro. Ancora oggi non riesco a spiegarmi il perché. Le mie ricerche sono arrivate alla documentazione risalente al 1884 di Giuseppe Foderaro che in qualche modo ha allestito il museo provinciale di Catanzaro di Villa Trieste.  
Chi era Foderaro?
Un ingegnere appassionato di archeologia. Che si è preoccupato di raccogliere tutti i materiali, di schedarli proprio come un archeologo, in un’enorme collezione che è finita ad allestire l’attuale museo. Nel secolo scorso l’unico ad aver avuto la supervisione della raccolta è stato proprio Spadea. Che conosce molto meglio di me gli studi di Foderaro, eppure ha evitato di citare le sue scoperte che non sono solo esposte e presenti nel museo, ma sono raccolte in documentazioni firmate di suo pugno e attualmente depositate nella biblioteca provinciale.
Perché è importante il museo provinciale?
È così rilevante a livello preistorico e protostorico, da aver fatto affermare allo studioso Domenico Topa nel 1929, che è una delle collezioni più importanti d’Italia.
È tutto esposto?
Assolutamente no. Solo l’uno per cento. Ed è questo che mi fa rabbia. Noi non solo disconosciamo la nostra costa, quello che è ancora sepolto, ma non conosciamo nemmeno quanto abbiamo già scoperto perché non viene assolutamente valorizzato, vuoi per mancanza di fondi, vuoi perché i soldi sono spariti nel nulla nell’arco di trent’anni in sopraintendenze e in sopranintendenti. Quindi, chi va a visitarlo, sponsorizzato da nulla e da nessuno, può vedere solo la minima parte di quello che è la totalità e la bellezza di quanto è stato già schedato.
Stiamo parlando di Scolacium?
Sì, ma non solo. Tocca Simeri Crichi, tocca punti del nostro territorio la cui storia, ancora oggi, nel 2000, è annebbiata dalla leggenda proprio per mancanza di ricerca.
Però Spadea è stato sempre presente.
Sì, ma è stato l’unico. Non hai mai avuto un contradditorio che potesse evolvere la ricerca. In altre parole, ha pubblicato le sue tesi disconoscendo volutamente quelli che sono pezzi del nostro patrimonio già scoperti. Abbiamo una delle collezioni di numismatica più grandi d’Italia. E nessuno lo conosce.  Abbiamo reperti provenienti da Petelia Policastro. Da Simeri Crichi. Da Soverato…
Per Simeri Crichi intende la località di Roccani?
La mia tesi abbraccia quasi tutto il golfo di Squillace, evitando di toccare l’entroterra, e quindi anche Roccani. Ho creato un triangolo, però non con Lamezia, con Tiriolo, mappando tutti i siti, anche quelli meno conosciuti. Simeri Crichi non ha solo un sito archeologico. Era l’antica Ocriculum. Un sito brettio, del IV secolo avanti Cristo.
Cosa vuol dire brettio?
È l’antica popolazione calabrese. Brettia veniva chiamata la Calabria.
Brutim?
Brutium è una denominazione borbonica. Brettium, invece, è del IV secolo avanti Cristo. È un nome greco-indigeno, nel senso che gli indigeni, i brettii, che discendevano dai lucani, omogeneizzati alla cultura greca che era già dilagata, scelgono questo nome per il loro territorio, il loro ager in Calabria. Simeri Crichi, in particolare, non è solo una colonia brettia del IV secolo avanti Cristo, precedentemente era un villaggio, un grande insediamento della prima età del ferro. E nelle mie ricerche ho cercato di capire da dove potesse discendere.
Ma sta parlando di tutta Simeri o solo della località Roccani?
Assolutamente di tutta la collina, tutta la montagna di Simeri Crichi fino alla costa dell’Homo morto. Dove sono state trovate dal dottor Spadea necropoli del IV secolo.
Al lato del fiume Simeri?
No, esattamente sotto le attuali fondazioni del villaggio turistico Robinson.
Se vi hanno colato il cemento, evidentemente non era così interessante…
Evidentemente sì. Non sono interessanti e sono dannosi per qualcuno. Per i privati che hanno interesse a costruire. A creare quello che Pino Scaglione definiva l’Urban Spraw della Calabria. Cioè, la cementificazione continua ed interrotta di tutti e 300 chilometri che circondano la Calabria.
Se prevalesse solo l’interesse archeologico non si costruirebbe più.
A prescindere da questo, non si potrebbe costruire comunque perché non hanno alcun permesso. Tutte le costruzioni che sono state realizzate dagli anni ’90 sono completamente abusive. E le soprintendenze di tutta la Calabria non sono assolutamente intervenute per bloccare questa colata di cemento lunga 300 chilometri. Non solo, ma non sono neanche intervenute quando all’inizio del ‘900 si creò la linea ferroviaria che circonda la stessa costa di cui stiamo parlando.
Il sito di Roccani è interessante, secondo lei?
Roccani non è un sito. È una contrada importantissima a livello archeologico di Simeri perché in essa sono presenti i resti di ville romane, di necropoli…
Si riferisce a Trischene-Uria?
Alt! Trischene è il nome leggendario di quella che è stata una reale entità, evidenza storica. Un grande territorio, l’ager periferico di Scolacium, che veniva chiamato Trischene, che vuol dire tre templi. E che nel periodo cristiano-medievale diventano tre chiese. Erano Athenapoli, Palepoli e Ierapoli. Nella mitologia greca, le tre figlie di Priamo, dopo la guerra di Troia, sbarcano sulla nostra costa fondandoli in tre punti diversi, diventando poi dei villaggi. Ma questa è solo leggenda. E se vogliamo storicizzarla possiamo dire che era l’enorme periferia di Skylletion e Scolacium. Ho interpretato archeologicamente tutto questo seguendo le orme di Emilia Zinzi - la grandissima archeologa che ha dato vita, tra gli altri, al Parco di Scolacium salvandolo dalle catenarie per la costruzione degli acquedotti negli anni ’70. Antepose il suo corpo davanti alle macchine bloccando i lavori pubblici, evitando così la completa distruzione dell’attuale foro romano di Scolacium.
La Zinzi si pose davanti alle catenarie, noi, al giorno d’oggi, cosa dovremmo fare per fermare il cemento e rendere più vivo l’interesse archeologico?
Non c’è nessuno da fermare perché il paradosso è questo: se si costruiscono parchi eolici, metanodotti, si fa movimento terra e si crea archeologia. Se accanto agli operai vi è un archeologo si è in grado di condurre un lavoro pubblico e nello stesso tempo di salvaguardare l’eventuale sito archeologico che viene fuori. La legge italiana oggi opera bene, da 15 anni a questa parte. Per cui si può immaginare quanti siti siano stati distrutti in passato. Si pensi solo all’attuale 106, che passa proprio sopra il foro romano del Parco di Scolacium.
La legge c’è. Cosa manca?
Mancano i fondi per la ricerca. E qualora ci fossero mancherebbe la forza lavoro archeologica, laureata e qualificata, da far operare nei cantieri.
Perché non si fa così?
No, molto spesso i soprintendenti preferiscono condurre i lavori di scavo e di sorveglianza archeologica avvalendosi di gente non qualificata.
Forse perché non accettano il contradditorio?
Non tanto per questo. Perché l’archeologo ha tutto l’interesse a scavare e portare alla luce un sito.
Allora, perché? Forse non gradiscono che qualcuno metta loro il bastone tra le ruote?
Questo lascia intendere che la soprintendenza sia corrotta. E questo non mi sento di sottoscriverlo. Non ne ho conosciute di persone così. Però ho conosciuto persone che si sono disinteressate del nostro patrimonio archeologico e hanno lasciato passare i lavori pubblici, senza curarsi di quello che era la distruzione del sito sottostante.
Però a Sellia Marina qualcosa è stato scoperto ultimamente.
Ho scavato in località Chiaro di Sellia Marina. Lì sono state rinvenute evidenze romane, prima ancora brettie, greche, importantissime e ricchissime di materiali. Ricordo uno strato di terra, di quasi 50 metri di lunghezza, di sole anfore di età imperiale.
E ora?
È stato indagato, messo in sicurezza e coperto. Negli ultimi anni, però, parecchie sono le omissioni dei recenti soprintendenti. Ci si è molto occupato del Parco di Scolacium. E abbiamo visto l’esimio lavoro che è stato fatto con l’Anfiteatro romano, per inciso: un piccolo Colosseo di Roma da 12 mila posti. In cui venivano rappresentate battaglie gladiatorie, naumachie, cioè: empivano l’arena d’acqua, e vi combattevano con le navi all’interno. Erano delle sfide, dei ludi, organizzate da un’antica e ricchissima aristocrazia della colonia di Scolaciuma di epoca romana che, essendo al di fuori delle vicende belliche che interessavano le altre città, ha avuto modo di sorgere, crescere, evolversi e arricchirsi in maniera spropositata. Ed ecco spiegato il motivo di questo grande edificio in una piccola colonia. Tuttavia, ci si è poco interessati all’ager perifericus. Se l’anfiteatro conteneva 12 mila posti, la domanda è: 12 mila persone dove li prendi? Solo in una città che ha una periferia molto vissuta. Molto, sottolineerei, sia in epoca greca che romana. E anche precedentemente, nell’età del ferro. Si può immaginare, allora, come era in uso tra i romani il controllo del proprio territorio grazie alla realizzazione di ville dove vi praticavano anche l’allevamento, il commercio del pesce. Come la villa romana, che pochi conoscono, di Cassiodoro esattamente sotto il “Blu 70”. Questo locale si trova per l'appunto nelle vasche di pescicoltura del Vivarium istituito dal grande letterato nel VI secolo dopo Cristo. Stiamo parlando del primo ministro dell’imperatore Teodosio. Ribadisco, l’incuria e il menefreghismo delle soprintendenze degli ultimi trent’anni hanno permesso che si facesse questo occultamento. La invito ad andare a visitarla.
Dove si trova? Dopo Caminia di Stalettì?
Sì, perfettamente. Quella è una zona importantissima dal punto di vista archeologico. Pregna di archeologia. Perché abbiamo la grotta di San Gregorio il taumaturgo, mista alla leggenda se sia lui o non sia lui, ma questo ci porterebbe lontano dal discorso. Abbiamo la villa romana di Cassiodoro, a mezza altezza, nel primo tornante della curva, con il sarcofago di Cassiodoro. Scavato, messo in luce e ricoperto dalle erbacce. E c’è anche l’ecomostro che si è tentato di distruggere qualche anno fa. Ne hanno abbattuto un pezzo e hanno lasciato il resto, roba da non credere.
Saccheggio della storia, di cosa si tratta?
No, è occultamento. O meglio, obliterazione della storia. Non solo non c’è turismo, ma non si crea nemmeno. Non lo vogliamo il nostro patrimonio.
Evidentemente qualcuno pensa di crearlo con il cemento.
Eh sì…
Però, il Poliporto è visitato.
Anche questa è una realtà importantissima. Intanto il nome deriva da un piccolo porticciolo di una villa romana che, come quella di Cassiodoro, era marittima. Cioè, non era come quelle ville catoniane che, essendo nell’entroterra, vivevano di coltivazioni di cereali e di allevamento. La villa marittima viveva di pescicoltura e di bestiame. Il nonno di Cassiodoro, infatti, era un allevatore di cavalli. Ma la villa in questione è importante anche per un sepolcreto risalente all’età del bronzo, precedenti di poco alla prima età del ferro…
Un attimo. Qual è il suo sogno?
Che domanda è?
Lavorare al British Museum di Londra?
Io sono andato via dalla Calabria non solo perché i cantieri, le collaborazioni con gli enti pubblici, erano finiti, e la crisi attuale in Italia ha messo tutti in ginocchio, anche noi archeologi - se non c’è il movimento terra non si fa nemmeno archeologia – ma anche per non rimanere a casa a fare il mammone, come direbbe l’ex ministro Brunetta. Ho preferito andar via in Inghilterra, per cercare lavoro nel mio settore.
Come si mantiene?
Facendo lo chef e il pizzaiolo. Lo so che sono lavori umili, ma sono meglio che rubare. Io preferisco essere onesto nella mia vita. Questi sacrifici per pagare l’affitto di casa. E nel frattempo impiego il mio tempo a cercare la mia posizione nella società che mi duole dirlo: è diversa da quella italiana.
Perché?
E’ seria e senza corruzione. Una società in cui la valorizzazione del patrimonio archeologico è sentita davvero. Le ricordo che negli anni ’50 è stato scoperto un tempio dedicato all’antica divinità di Mitra risalente  all’impero di Aureliano. Una divinità peraltro orientale verso cui l’imperatore dirottò il politeismo romano sotto l’egida del dio sole istituendo anche la data del Natale, del 25 dicembre, poi compresa dal Cristianesimo. Dunque, è stato ritrovato nel centro di Londra. E non è stato solo scavato. È stato messo in luce, asportato, smontato e ricostruito in un altro posto, negli stessi anni in cui noi, invece, stavamo distruggendo con la catenaria il foro romano di Scolacium!
Qual è il suo sogno?
Lavorare in Italia. È lavorare dove l’archeologia è viva. Il mio sogno è lavorare nel mio paese, anche con uno stipendio minimo. Non è una questione di soldi, servono solo per le spese. Mi creda, fare l’archeologo è una vocazione. Il mio sogno è tornare in Italia. Ci tornerò solo se diventerà un paese serio, che finanzia la ricerca. Che quando vede avanzare la crisi ha il coraggio, come ha fatto Obama negli Stati Uniti, di finanziare l’Università. L’università crea ricerca e la ricerca crea sviluppo. E lo sviluppo ti porta fuori dalla crisi. Questa è una cosa che non è mai stata capita in Italia.
Quando la vedremo scavare a Simeri Crichi?
Quando la Soprintendenza riuscirà ad aver i fondi.
Le piacerebbe scavare insieme al sindaco, Marcello Barberio?
Lui non scaverebbe mai perché è un erudito, non un archeologo. Ma è una persona di cultura. E mi stupisce il fatto che abbia avallato l’iter di autorizzazione del parco eolico a Roccani. 


3 commenti:

Cirano ha detto...

uno di quei giovani talenti che ci lasciamo sfuggire.....dalla Calabria e dall'Italia...che peccato!!!

sofia scerbo ha detto...

Non posso che unirmi al tono affranto del mio omonimo che, tra l'altro, a fatto benissimo ad andare a londra ed a fare tutto quel che serve per andare avanti. Anzi, gli consiglierei di tentare di lavorare con gli archeologi Birtish in modo da poter tornare in Calabria, magari con un progetto SPONSOrizzato dagli inglesi. Sarebbe una bella soddisfazione!! Aggiungo che qualcosina si muove in questo periodo anche da noi, diventano più numerose le persone che vogliono sapere e cercano di approfondire la lrto storia, il loro presente...anche se la strada è ancora lunga.

daniela strippoli ha detto...

“La Calabria continua a far scappare tanti qualificati giovani professionisti” è con il titolo di questo articolo, pubblicato sulla Gazzetta del Sud il 30/03/12, che rispondo a quello che ho appena letto qui. Purtroppo, portiamo nel DNA il fatto di essere un paese di emigranti e questo è diventato un modo facile per “scaricarci” senza alcun altro sforzo. In noi giovani rimane il rammarico di aver sognato di poter fare qualcosa per questa nostra terra che ha dato il nome all’intero paese, come giustamente afferma l’archeologo Scerbo. Il patrimonio artistico che noi custodiamo, ma che ignoriamo, costituirebbe la svolta del riscatto ma questo non si vuole capire!! Sono fortemente amareggiata e condivido in pieno lo stato d’animo.
Daniela Strippoli