Quel concorso di troppo all'Università di Catanzaro

L'ingresso dell'Università Magna Graecia di Catanzaro

Meglio morto che precario, dice Giovanni Parrotta. In attesa della disperazione può capitare di leggere un bando all’Università. Solo diciotto mesi. Meglio di niente, sussurrano i saggi. E poi ventiquattro mila euro di questi tempi fanno bene. Requisiti: diploma, conoscenza dell’inglese e abilità informatiche. Un gioco da ragazzi. Uno ci prova. E spedisce il plico con il curriculum attestante.
All’Università Magna Graecia il dubbio è l’inizio della sapienza, troneggia sul logo. Tentare non nuoce. Ce la farò o non ce la farò? Amleto, il grande precursore. Regolamento. A quelli che superano la graduatoria per titoli non gli viene data comunicazione. No. La notifica è esclusivamente la pubblicazione del colloquio sul sito cinque giorni prima. La dialettica negativa è sempre più produttiva di quella positiva. Lo dicono le statistiche. Se dieci superano una prova e vengono informati, si può star sicuri che tutti e dieci parteciperanno all’orale. Se, invece, viene data comunicazione solo agli esclusi, la percentuale scende. È automatico. A qualcuno sfuggirà di collegarsi a internet. Comunque non è il caso di mister Bean. Si collega. Non ha ricevuto nessuna notifica di esclusione. E ci va. Il dubbio bisogna affrontarlo per risolverlo. Incoraggia se stesso.

Nel regolamento non c’è indicazione delle materie o dell’oggetto da conoscere. Il posto è quello di uno che scrive nomi e numeri in un computer. Si legge: “Svolgimento di attività di analisi e stoccaggio, archiviazione dati e loro elaborazione ai fini della ricerca e della didattica”. La domanda della Commissione aggiudicatrice è, invece, sull’organizzazione normativa del dipartimento nel quale il vincitore dovrebbe lavorare. I partecipanti sono dieci. I primi non rispondono. Non sapevano e sanno. D’un tratto si alza lei. Bionda. Alta. Balconcino d’ordinanza. Non è la più bella. Ma è più degli altri. Era rimasta in sordina. Aveva degnato della sua presenza solo i vigilantes e il presidente della Commissione con un soffice segno del capo. Si alza. E si siede davanti alla cattedra. Stessa domanda. Un nastro. Risponde alla perfezione. Mancava solo che indicasse le virgole. Poi le chiedono le competenze. E anche qui, nessuna imprecisione.

Mister Bean rimane rapito dalla scena. Aveva messo la sveglia prima del solito. Ventiquattromila euro gli facevano comodo. E valevano qualche ora di sonno in meno dopo cinque anni universitari passati senza dormire. E’ abbagliato. E anche i difetti si trasformavano in grazia. Era la più. E’ la più. Ce l’ha più degli altri. Il merito. Ce l’ha. Bean! Appella il presidente. Si avvicina. Scena muta su tutto. Tanto che gli evitano la frustrazione dell’inglese e dell’informatica su cui, però, contava. Gli danno la mano e lo invitano ad andarsene. Si trascina. I suoi occhi incrociano lei. E il dubbio lo tormenta ancora. Cosa devo sapere? Cosa devo conoscere? Cosa mi manca? Un brivido gli corre lungo la schiena. Gli piace. E ride. Di una risata liberatoria. Non ce l’ha.