La maternità (Silvio Vigliaturo, nel Museo d'Arte Contemporanea di Acri)
L’occhio aperto. Appassionato e luminoso. Ostentazione
di libertà e desiderio. Di conoscenza e saperi. Volontà di dare e ricevere. Splendente.
Gli fa compagnia l’altro. Chiuso. Nero e dormiente. Rassegnato al nulla. Non sa
e non vuole. Una battaglia dell’anima. Visibile sul volto di ogni uomo. Un
conflitto sincero. Dove le ferite si confondono con le lacrime di gioia. E dove
la specularità dello sguardo non limita. Non demarca il bene dal male. L’arte
di Silvio Vigliaturo è inondata d’essere e nulla. Di colori e vetro. L’arte di
Silvio Vigliaturo non è Picasso. Non è Matisse. Non è Modigliani. Non è Mirò. Non
è.
È mescolanza di tutto e niente. E’ lotta. Armonia e discordia. “Ha un piede nel passato e il resto del corpo rivolto al futuro”, spiega del vetro. Sabbia, innanzitutto. La materia primordiale. Come nulla. E poi essere. Di colori e forme.
È mescolanza di tutto e niente. E’ lotta. Armonia e discordia. “Ha un piede nel passato e il resto del corpo rivolto al futuro”, spiega del vetro. Sabbia, innanzitutto. La materia primordiale. Come nulla. E poi essere. Di colori e forme.
Un’arte che scolpisce sapientemente angeli e
diavoli. Vincitori e vinti. Dove gli eroi non sono solo eroi. E dove le ombre richiamano
la luce. Nel conflitto emerge la donna. La musa segreta che detta le regole tra
gli uomini. Permea l’arte. Di vita. E’ la maternità a consentire l’eterno ciclo.
Tra pensiero ed essere. Fisica e metafisica. Un segreto ancestrale e inaccessibile.
Silvio Vigliaturo. Un acrese che ha scoperto il
vetro. Il nulla della materia abitato dall’essere. Che si trasforma. Vive e soffre.
L’arte che osa.
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