“Se tutti pagano le tasse, le tasse ripagano tutti”.
Lo aveva sentito in tv. Lo avevo letto sui teleschermi dell’Agenzia. Era diventata
la sua morale. Il moralista contro gli evasori. Andrea era un ragazzo tutto
d’un pezzo. Non accettava le mezze misure. Tasse uguale giustizia. Tasse uguale
diritti. Quella mattina lo slogan lo convinse ad obliterare il biglietto
dell’autobus con più convinzione. E nel farlo si guardò intorno, voleva
rassicurarsi che anche gli altri lo facessero.
Tornò a casa. Si gustò il giallo del sabato sera e andò a letto. Rifletté su quello che aveva fatto. Era andato tutto bene. Una sensazione di benessere lo penetrava. E la sua immagine davanti alla macchinetta che faceva tic lo conquistò. Non era il timbro ad entusiasmarlo, ma gli occhi curiosi degli altri. Faceva la cosa giusta ed era felice che anche gli altri se ne accorgessero. La domenica passò tra il Parco della biodiversità e il Cavatore. “Cosa ha da invidiare Catanzaro alle altri grandi città?”. “Niente”, lo diceva soprattutto a se stesso. E con il movimento della bocca accompagnava questa riflessione, profonda, sincera, autentica. La cosa gli dava soddisfazione. Il tocco delle labbra suggellava una verità che pochi sapevano, pochi ne erano davvero al corrente. La sorpresa fu il lunedì. A scrivergli era l’Agenzia delle entrate. Era emozionato. Non pensava che le sue peregrinazioni mentali avessero raggiunto lo Stato. Aprì e lesse. “Ecco – disse – mi vuole mettere alla prova”. Come un atto di fede. Due mesi prima dalla prescrizione gli arrivò un avviso di pagamento per l’Irpef che non aveva versato ben cinque anni prima. “Lo Stato c’è e funziona”, concluse. “E’ la prova. E poi due mesi prima, che sagaci!”. “Grazie”, aggiunse. “E io pagherò”, se ne convinse nonostante l’immagine ormai sbiadita dell’obliteratrice. Ne fece una convinzione mentale. Ormai le sensazioni lo stavano abbandonando. Però c’era anche un però. Non aveva quattrini. “Ma lo farò perché se tutti pagano le tasse, le tasse ripagano tutti”. La ragione di tutti prevale sui singoli. Si recò in via Lombardi, sede dell’Agenzia. Lo liquidarono subito. Il responsabile del procedimento era uno di Soverato e non di Catanzaro. E doveva parlare con lui per sapere come pagare i mille e 200 e passa euro. Si organizzò e un giorno, di buon mattino, dopo aver ascoltato lo slogan su youtube fino alla noia persuase anche le sue tasche che era la cosa giusta. Per tutti, non solo per se stesso. Il dirigente lo accolse con gentilezza. La soluzione era la rateizzazione. All’Agenzia la chiamano RATEAZIONE. Quasi un sinonimo, ma con una leggera differenza. La rateazione dà l’idea della ruota che gira: una volta a me e una volta a te. Se tutti pagano le tasse, le tasse ripagano tutti, la filosofia calzava. Otto rate da 150 euro ogni tre mesi. Affare fatto. Non sapeva come portare a termine questo impegno. I soldi non c’erano. Il lavoro non c’era. Sacrifici, dunque, per la causa. La causa di tutti. Il viaggio di ritorno da Soverato fu un calcolo sopraffino. “Ecco, è lo stimolo a trovare lavoro. Se lo trovo starò meglio e pagherò le tasse. In fin dei conti, si tratta di un incitamento, per me e per tutti. Grazie”. Le labbra gli si chiusero, e questa volta anche la saliva convalidò il bacio.
Tornò a casa. Si gustò il giallo del sabato sera e andò a letto. Rifletté su quello che aveva fatto. Era andato tutto bene. Una sensazione di benessere lo penetrava. E la sua immagine davanti alla macchinetta che faceva tic lo conquistò. Non era il timbro ad entusiasmarlo, ma gli occhi curiosi degli altri. Faceva la cosa giusta ed era felice che anche gli altri se ne accorgessero. La domenica passò tra il Parco della biodiversità e il Cavatore. “Cosa ha da invidiare Catanzaro alle altri grandi città?”. “Niente”, lo diceva soprattutto a se stesso. E con il movimento della bocca accompagnava questa riflessione, profonda, sincera, autentica. La cosa gli dava soddisfazione. Il tocco delle labbra suggellava una verità che pochi sapevano, pochi ne erano davvero al corrente. La sorpresa fu il lunedì. A scrivergli era l’Agenzia delle entrate. Era emozionato. Non pensava che le sue peregrinazioni mentali avessero raggiunto lo Stato. Aprì e lesse. “Ecco – disse – mi vuole mettere alla prova”. Come un atto di fede. Due mesi prima dalla prescrizione gli arrivò un avviso di pagamento per l’Irpef che non aveva versato ben cinque anni prima. “Lo Stato c’è e funziona”, concluse. “E’ la prova. E poi due mesi prima, che sagaci!”. “Grazie”, aggiunse. “E io pagherò”, se ne convinse nonostante l’immagine ormai sbiadita dell’obliteratrice. Ne fece una convinzione mentale. Ormai le sensazioni lo stavano abbandonando. Però c’era anche un però. Non aveva quattrini. “Ma lo farò perché se tutti pagano le tasse, le tasse ripagano tutti”. La ragione di tutti prevale sui singoli. Si recò in via Lombardi, sede dell’Agenzia. Lo liquidarono subito. Il responsabile del procedimento era uno di Soverato e non di Catanzaro. E doveva parlare con lui per sapere come pagare i mille e 200 e passa euro. Si organizzò e un giorno, di buon mattino, dopo aver ascoltato lo slogan su youtube fino alla noia persuase anche le sue tasche che era la cosa giusta. Per tutti, non solo per se stesso. Il dirigente lo accolse con gentilezza. La soluzione era la rateizzazione. All’Agenzia la chiamano RATEAZIONE. Quasi un sinonimo, ma con una leggera differenza. La rateazione dà l’idea della ruota che gira: una volta a me e una volta a te. Se tutti pagano le tasse, le tasse ripagano tutti, la filosofia calzava. Otto rate da 150 euro ogni tre mesi. Affare fatto. Non sapeva come portare a termine questo impegno. I soldi non c’erano. Il lavoro non c’era. Sacrifici, dunque, per la causa. La causa di tutti. Il viaggio di ritorno da Soverato fu un calcolo sopraffino. “Ecco, è lo stimolo a trovare lavoro. Se lo trovo starò meglio e pagherò le tasse. In fin dei conti, si tratta di un incitamento, per me e per tutti. Grazie”. Le labbra gli si chiusero, e questa volta anche la saliva convalidò il bacio.
Con estremi
sacrifici compì la missione di fede. Tutte le rate. Quasi tutte. Dalla prima in
poi. Fu l’ultima a creargli dei problemi. Un amico gli disse che con la conseguente messa a ruolo avrebbe poi pagato una sanzione pari al 60 per cento e con le ritenute d'acconto di un
lavoretto occasionale l'avrebbe soddisfatta senza sganciare un centesimo, nei primi mesi dell'anno successivo. Se
tutti pagano le tasse, le tasse ripagano tutti, si ripeteva. Era arrivato al
massimo della prova. Rivedeva quella sua immagine nell’autobus con più
nitidezza ora. E anche gli altri. Ricordava di un tizio con i baffi bianchi che
gli sorrise a mo’ di sfida. E gli rispose sbracciando il biglietto in mano. Ce
l’aveva fatta. I genitori si erano fatti i debiti per lui, ma lui era felice
per tutti, per le tasse di tutti, che li ripagano. Anche in ritardo, ma lo
fanno. Aspettò impaziente di espletare l’ottava rata della rateazione. La ruota
stava finendo per lui e iniziava quella degli altri. Un lunedì all’una del
pomeriggio un’altra lettera. Questa volta di Equitalia. Sapeva che le due
società erano collegate. Dirimpettaie sono a Catanzaro. Entrambe senza numero
civico. Ma basta guardarle per riconoscerle. La prima più grande. Un palazzo
con diversi piani. Il secondo uno sgabuzzino al confronto. La prima emette, la
seconda pignora. Un gioco da ragazzi. E poi si passano la palla. Era sicuro si
trattasse della seconda prova di fede. E aprì la lettera con trepidazione.
Ancora era l’Agenzia a figurare quale ENTE CREDITORE. Poi i suoi occhi si
focalizzarono sulla cifra. In neretto. Inequivocabile. SOMME DOVUTE: MILLE E
DUECENTO e passa. Rigurgitò la saliva pronta per il bacio e tossì. “Ci deve
essere un errore, non è possibile!”, esclamò. “Ma io ho pagato, manca solo
l’ultima rata di 150 euro!” Preso da buone intenzioni si recò all’Agenzia. Il
display ripeteva la mission dell’azienda. Se tutti pagano le tasse, le tasse
ripagano tutti. Lo lesse con imbarazzo. E rifletté: “Ma se tutti pagano il
doppio, le tasse riescono a ripagare tutti il doppio?” non sapeva rispondere.
Gli venne l’idea di chiederlo ai signori che facevano la fila. Poi un anziano
lo invitò a chiudere la porta e l’incantesimo finì. Il fruscio dell’accesso
scorrevole gli sembrava insopportabile. Attese il suo turno tra una sigaretta e
l’altra. Dalla legge Sirchia, chiaramente fuori. E al tutti sottrasse quel
vecchietto che continuava a rimbrottargli di chiudere la porta perché sentiva
freddo. E poi levò gli occhi sugli altri presenti nella sala, perché, a suo
dire, lo guardavano male. Arrivò il suo turno e tutti i pensieri cattivi si
dileguarono sotto la cenere. “Ma lei deve andare al piano di sopra. Non qui”.
Era commosso, pensava che al piano di sopra lo stessero aspettando per
complimentarsi. E uscì lanciandogli un’occhiata prima che lo rimproverasse. Carta
d’identità e modulo. Sembrava stesse recandosi dentro lo Stato delle entrate.
Stava entrando. Proprio come le tasse. Al primo piano, gli dissero, la seconda
porta a sinistra. Bussò. Una voce femminile e dolce lo invitò ad esporre il
problema. Le tasse cominciarono a prendere forma, scartoffie e codici. Si
sedette. E raccontò la sua storia. La dirigente aveva i capelli neri ed era
vestita di blu. Forse aveva fatto parte dello spot televisivo, pensò. Il suo
viso era segnato da un cipiglio autoritario, gli appariva come una tassa in carne ed
ossa. Non aveva mai visto una tassa viva prima. E la cosa gli piacque. “La
legge non ammette ignoranza!”, gli disse. Non aveva studiato e si sentì in
debito. Tutto il palazzo era in debito. Il tutti aspettavano che qualcuno li
ripagasse. Era a suo agio. “Va bene dottoressa, ma io la legge la voglio
leggere con i miei occhi proprio come lo spot. Sa, a me è piaciuto tanto”. “Va
bene ora gliela trovo”. Accese il pc e iniziò a smanettare. “Il computer non va
oggi”, la tassa si sciolse. E i numeri li vedeva cadere miseramente a terra.
Sbatté le mani sulla scrivania e si arrabbiò con la rete. “Oggi è proprio giornata”,
disse. La pioggia batteva sui vetri. A secchiate. Si alzò e cercò
disperatamente un codice. Era quello del fisco. “Il fisco, la bibbia delle
entrate dello Stato”, in un baleno gli venne l’idea di rubarlo. Magari mentre
era distratta. Poi il senso di giustizia, per tutti e per se stesso, lo
scrollarono e abbandonò la tentazione. Lo spulciò. Era grande e voluminoso.
Immenso. Come le tasse. Lo aprì e lo consultò, ma niente. Quella legge per cui
per un ottavo di pagamento non corrisposto avrebbe dovuto versare tutto da capo non riuscì a
trovarla. “La legge non ammette ignoranza”, ripeté. Ma a bassa voce, quasi lo
stesse dicendo a se stessa. Chiuse la bibbia e ritornò sui suoi passi. “Guardi,
oggi non riesco ad entrare in internet”. “Mi dispiace, ma se vuole mi lasci il
numero di cellulare. La chiamo quando la trovo. Se lo consulti da lei. È
l’articolo 15 del decreto legislativo numero 218 del 1997, oppure l’articolo 17
del decreto numero 472 del 1997”. “Va bene, lo appunto, così me lo ricordo”.
Stava per andarsene quando la tassa si alzò ancora e si mise a cercare un altro
tomo. Piombò sulla sedia nel momento in cui un fiume d’acqua si abbatté sulla
finestra. Gli sembrò che stesse accomodandosi in un lago. Si concentrò nella
lettura e l’acqua inondò le scartoffie trasformandole in poltiglie puzzolenti. Si
dimenò per mettersi in salvo dal nubifragio che invadeva tutto il palazzo. “Non si preoccupi, lei deve solo pagare”, si svegliò dal sogno e alzò
i tacchi. Guardò la sedia per rassicurarsi di non essersi bagnato. E anche i
libri. Sbatté la porta e uscì.
Lo Stato è per tutti. Se tutti pagano le tasse, le
tasse ripagano tutti. Pervaso da una crisi esistenziale senza precedenti
attendeva la telefonata dell’Agenzia. Anche lui voleva far parte di questa
grande realtà. Di questo Stato. Spulciava e leggeva. Un mare magnum. Gli
mancava la luce. Quel bagliore che solo la dirigente poteva dargli. Solo la
Tassa in prima persona poteva trasmettergli. E nulla. Un giorno. Due. Tre. Una
settimana. Due. Alla terza decise. Alla Commissione tributaria provinciale. Era un lunedì
senza pioggia. Su Corso Mazzini. Alle spalle del Cavatore. Ancora una volta
sarebbe passato ad ammirare il Cavatore. Ma le pagava le tasse? L’arte è dentro
o fuori le tasse. Dentro o fuori lo Stato? La crisi esistenziale all’ennesima
potenza. Non aveva rivali per le crisi. La smorfia sofferente dell’uomo con il
picco lo fece desistere dal pensare oltre. E si diresse alla Commissione.
Secondo piano. Prima a sinistra. Lo accolse un dipendente molto disponibile.
Era il controllore delle tasse. Un uomo di mezza età, prossimo alla pensione.
Gli espose il caso. E scandalizzato osservò: “Ma non è possibile, si saranno
sbagliati. Manco gli strozzini!”. Andrea schifava gli strozzini. Sono contro la
legge e le tasse. Contro lo Stato. Mentre la discussione si stava familiarizzando
entrò un altro uomo nella stanza. E il ghiaccio delle tasse si ricompose. Era
un alto dirigente dell’Equitalia. Anche lui era convinto di un errore. “Di
stampa o di calcolo”, sentenziò. Il commissario, mosso da buoni propositi onde
evitare al malcapitato contribuente di ricevere anche l’addebito delle spese di
lite per la richiesta di sospensione giudiziale, disse di andare a chiedere un
parere al giudice per caso presente quel giorno alla Commissione. Le labbra di
Andrea si aprirono per lo stupore. Il giudice, la Tassa che decide, il massimo
delle Entrate dello Stato. Il dio dello Stato in persona. Ritornò dopo un po’.
Nel mentre il contribuente si immaginava la scena. Lui al centro, la tassa, tra
la Tassa che decide e l’esecutore. Era una personalità. “Anche il giudice è
dello stesso parere, la sanzione si applica su tutto perché è decaduta la rateazione
e non solo sul residuo che ancora non ha pagato”. La ruota delle tasse la vide
girare al contrario. E anche i suoi occhi si voltarono dall’altra parte. “Ma io
mi sono informato. Secondo la legge numero 111 del 2011 la sanzione va
applicata solo sul residuo, altrimenti non avrebbe senso. E, soprattutto, lo
Stato si abbasserebbe al livello degli usurai!”. “Lei ha ragione ma la legge
non ammette ignoranza”. “Va bene, lo so che ne sapete più di me, ma vi prego
leggete da voi stesso questa legge. Vi prego”. “E andiamo”, convenne. Si
recarono in una stanza dotata di computer. Lì le tasse avevano un altro
aspetto. Non c’erano. L’ufficio, infatti, era il controllore delle tasse. Solo
volti. Uomini. Le tasse sono fatte dagli uomini. La cosa lo risollevò. “E’
vero, il mancato pagamento di una rata
successiva alla prima comporta l’iscrizione a ruolo delle somme residue dovute e della sanzione nella misura del 60% sull’importo residuo dovuto a titolo di tributo. L’articolo 23 modificato dalla
legge 111 le dà ragione. E allora perché questo dilemma?”. Gli uomini non erano
tasse. Si domandano. E la crisi esistenziale cominciò a prendere corpo.
Telefonò ad un alto dirigente dell’Agenzia per scoprire il busillis. Andrea non
se lo spiegava, non pensava che i controllori delle tasse avessero bisogno di
confrontarsi con gli esecutori delle tasse. La discussione non ci fu. L’esecutore
godeva di un certo ascendente nei confronti dell’altro. L’enigma della legge uscì
fuori. Era un cavillo inserito in comma bis ormai in disuso, ma in uso, guarda
caso, per Andrea. Probabilmente solo per Andrea. Era il terzo comma bis di un
articolo della legge del 1997 poi modificato dalla legge attuale del 2011. Un cavillo,
una nota rilevante, che fa da spartiacque tra chi ha rateato prima del 2010 e
dopo. Gli sfortunati e i favoriti dello Stato presente. Il trapassato prossimo e
il semplice passato. Andrea faceva parte dei primi. Si era fatto una ragione. Rappresentava
una stirpe di uomini ormai non più viva. Era l’ultimo discendente del terzo
comma bis del decreto convertito in legge dello Stato numero 218 approvato il
19 giugno 1997.
“E dov’è il comma”. “E’ qui, ora lo troviamo”. “Sa,
ho un debole per la lettura delle legge. Il momento più alto degli uomini
quando decidono tutti insieme di darsi delle regole. E le leggono”. Il commissario
è sempre mosso da buoni propositi. Niente. Non si trova. “Se lo consulti a
casa!” “E se mi pignorano la macchina al rientro?” “Ma non esageri!” “Ma le
sembra giusto? Lo Stato che mi ero immaginato è diverso da quello che è. Gli strozzini,
in fondo, non hanno inventato niente di nuovo. Eseguono la legge alla lettera, come voi.
Anzi, meglio. Non hanno bisogno di consultare leggi inesistenti e
incomprensibili. Non illudono, almeno per qualcosa che non esiste”. Chiuso in un dolore cupo raggiunse la
fermata dell’autobus. Salì. Prese il biglietto e mentre stava per inserirlo
nella macchinetta lo tirò indietro. C’era sempre il tizio con i baffi che lo
fissava. Lo timbrò e glielo porse. Questi lo prese in mano e lo buttò dalla
finestra. Proprio in quel frangente piombarono i controllori. Andrea stramazzò a
terra. Svenuto. E non si alzò più. La radio dava un motivo nuovo. Finanziato dall’Agenzia
delle entrate. Si diceva che l’avessero pagato un sacco di soldi. Chiaramente con
le tasche dei contribuenti. E diceva: “Se tutti pagano le tasse, le tasse
ripagano tutti”.
3 commenti:
un bellissimo articolo da cui si potrebbe fare una bella sceneggiatura per una commedia all'italiana,più che equo i direi Usuraia e persone incompetenti messe nei posti sbagliati, se poi parliamo che il racconto si è svolto in Calabria non mi meraviglio di niente,la Calabria e il posto di lavoro,la Calabria io ti prometto mari e monti e il"posto" se mi dai e mi fai avere voti, quindi la persona dietro quella scrivania è una di quelle del baratto voto e favori, in quelli uffici sono bene addestrati bisogna succhiare il sangue ai cittadini ,costi quello che costi ma li devono dissanguare, li devono rendere infelici per tutta la vita, Andrea il bravo ragazzo del racconto non è un famoso non è uno che ha evaso le tasse milionarie come il famoso cantante Pavarotti o come il pilota Valentino Rossi o Alberto Tomba e tanti altri , a questi famosi hanno trattato e negoziato per ridurgli le tasse, ecco Andrea è solo un povero ragazzo che vuole rispettare le leggi e uno che la volontà di pagarle lo ha dimostrato,chiedo scusa un momento in questo preciso istante viene data notizia in tv che lo stato deve risarcire le vittime dell'aereo di Ustica,quanti anni sono passati? i cittadini aspettano e chiedono giustizia per i loro cari quelli di Ustica, piazza Fontana, della Loggia, Bologna , in un attimo immagino i genitori di Andrea sull'aereo di Ustica , Andrea da ragazzo nell'attesa di sapere la verità e per essere risarcito dallo stesso Stato, uno Stato che quando deve dare non paga e quando vuole pignora e anche ingiustamente, Andrea da ragazzo è diventato padre e poi nonno.
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questi sono buoni a prendere e pignorare ma se ne fottono dei cittadini, ma se uno ha già pagato le rate precedenti cosa vogliono ancora?forse aveva ragione il Berlusca ( Corriere della Sera - Berlusconi: giusto evadere le tasse )
Beppe ha ragione su EQUITALIA
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