15 gennaio 2009

Ai ma voti ppe mia no ppo partitu. Come vivono la campagna elettorale i calabresi


Durante la campagna elettorale il linguaggio comune si colora di detti che nascondono più di quello che dicono. Domande sul vivere comune, sulla salute. Raramente si usa la parola fatidica: “voto”. Fra il candidato e il potenziale elettore si stabilisce una sorta di complicità per l’impegno comune, il candidato nel difendere i suoi interessi, l’elettore nel permetterglielo. Un legame che fa perno sulla vecchia amicizia.
Abbiamo raccolto alcuni detti catanzaresi che alcuni gestori di un bar, molto noto del capoluogo calabrese, hanno avuto la briga di raccogliere. Detti seguiti dalla traduzione italiana e da un piccolo commento che vuole dare un’indicazione di interpretazione. Solo un’indicazione perché realmente nascondono più di quello che dicono.

Tuttu a postu?
Va tutto bene?
Il candidato tasta l’umore dell’elettore. Cerca di capire se è il caso, o il momento, di chiedergli un favore personale, troppo personale: il voto.


Ti raccomandu nomma sbagli chidra matina!
Ti raccomando di non sbagliare quella mattina!
Il candidato si raccomanda che l’elettore, avendo la buona intenzione di votarlo, non sbagli. Le regole del voto valido, infatti, sono molto rigide. Basta un segno in più per annullarlo. Una raccomandazione doverosa.


Aiu a venira ma te trovu ù sa.
Devo venirti a trovare a casa, sappilo.
Il candidato si prepara a lavorare il terreno intorno alla vittima. La prende dal largo, gli dice di andare a trovarlo a casa. Una visita di cortesia per un momento delicato, la scelta di chi votare.


Se’, ma duva abiti urtimamenta?
Senti, ma dove abiti ultimamente?
Il candidato chiede cortesemente dove abita. Vuole rendersi conto, innanzitutto, in quale quartiere abita, così facendo fa mente locale del raggio di azione dell’elettore nel suo vicinato. Poi chiedere dove abita è una domanda di cortesia, di amicizia. E l’amicizia è un affetto che lega. Durante le elezioni acquisisce un rapporto tutto particolare.


Se’, ma dimmi na cosa aru spitala chi facivi l’atru iornu? Te serva ‘ncuna cosa?
Senti, che cosa facevi in ospedale l’altra volta? Ti serve aiuto?
Il candidato mostra interesse per la sua salute, tanto che, ricordandosi di avere visto un potenziale elettore in ospedale, chiede spiegazioni. In caso mostra tutta la sua disponibilità. Si farebbe in quattro pur di aiutarlo. A questo punto il voto di scambio sarebbe d’obbligo.


U sacciu nommi dira nenta, ma ti cercu nu favora personala.
Lo so, non ti chiedo niente, ma ti chiedo un favore personale.
Il candidato riconosce lo stato particolare che sta vivendo il suo elettore. Ma quello che gli chiede non è un impegno secondario, o gravoso. E’, invece, un favore esclusivamente personale, e poi è leggerissimo, basta mettere una croce, nulla di più.


Ma viu eiu statti carmu tu.
Me la vedo io, tu statti calmo.
Il candidato si prende cura di tutti i problemi del suo elettore. Gli chiede solo di stare tranquillo, di non affannarsi inutilmente. Perché c’è un rimedio a tutto questo, un voto per lui lo renderebbe come il suo angelo custode.


Ma dicu eiu, picchì nummi dicisti prima?
Ma ti dico, perché non me lo hai detto prima?
Questa volta è l’elettore che replica al candidato che gli chiede di votarlo. Essendosi già impegnato, non può tradire il suo amico. Tradirlo significherebbe non dare peso all’amicizia. Considerata come qualcosa di sacro anche il candidato rispetta le intenzioni del suo interlocutore. Ma potrebbe significare anche tutto una farsa. In nome dell’amicizia l’elettore, per non dirgli apertamente che non lo voterebbe, gli sbatte il piatto dell’amicizia. Così il candidato non avrà mai da ridire sull’altro.


Se’, ma nunnita campa ancora?
Senti, ma tua nonna è ancora viva?
Il candidato, certo di avere guadagnato il voto del suo interlocutore, gli chiede un altro aiuto. Un altro voto della sua famiglia. Quello di sua nonna. È sempre un altro voto, e poi facilmente raggiungibile. Le nonne fanno sempre quello che chiedono i loro nipoti. Da qui, l’interesse del candidato per l’esistenza in vita, condizione imprescindibile per votare, della mamma della mamma del suo amico.


Vida ca stannu me dara na manu.
Tieni presente che quest’anno mi devi dare una mano.
Il candidato chiede il voto a un suo amico. E lo fa chiedendoglielo come un grosso favore. Talmente grande che giustificherebbe tutti gli altri. O, ancora meglio, se prima il suo amico non si è comportato bene con lui, ora può rifarsi e guadagnare tutta la sua fiducia. Come? Con il voto. Una croce che può valere molto nell’amicizia, è un obbligo.


Nomma ti impegni stannu.
Non ti impegnare quest’anno.
Il candidato avverte l’amico. E lo fa in tempo, in modo da anticipare gli altri. Da lui vuole un impegno serio. Un impegno che potrebbe a chiunque, ma lui si prenota per primo. In tempo utile, così che un domani l’elettore non potrà negare di non averglielo già promesso.


Se’, vi ca mi presentu.
Sappi che mi candido pure io.
Il candidato avvisa l’amico che è arrivata l’ora della svolta. E’ finito il tempo delle chiacchiere al bar. È arrivato il tempo di rimboccarsi le maniche finalmente. In politica appunto. Ma non è facile. E’ necessario l’appoggio innanzitutto degli amici, gli stessi con cui prima aveva condiviso sogni, progetti e illusioni. Un segno di fiducia chiede. Per una scelta sofferta, maturata a suon di birre.


Ai ma voti ppe mia no ppo partitu.
Devi votare per me, non per il partito.
La crisi della politica è una crisi soprattutto per i partiti. Il candidato è il primo a saperlo, e non vuole farsi illusioni. Proprio per questo chiede il voto per lui personalmente, non per l’ideologia del partito e per gli altri che ci stanno dietro. Lui è una persona in carne e ossa, non come i volti della televisione. È una garanzia.


Se’, ma si impegnatu?
Senti, ma sei già impegnato?
Il candidato sa che chiede il voto tardi, quando forse l’amico forse ha già avuto altri contatti, da altri suoi amici . È tardi, ma tentare non nuoce. Non costa niente. Una prova di orgoglio. Chi si candida non ha vergogna.


Se’, ma duva voti? Hai ncunu amicu chi me po aiutara?
Senti, ma dove voti? Hai qualcuno che mi può aiutare?
Il candidato va subito al sodo, chiedendo all’interlocutore a chi darà il voto. E se la risposta è negativa, ha già pronta la domanda di riserva


U sai ca tau sempre stimatu? No?
Lo sai che ti ho sempre stimato? No?
Il candidato riconosce al voto un significato di alto spessore valoriale. Tanto che dare il voto è un atto di stima, non dell’elettore verso l’eletto, ma dell’eletto verso il suo elettore. Una precisazione da non sottovalutare.


Si hai bisognu e mia a disposiziona.
Se hai bisogno di me, sono a tua disposizione.
Il candidato si mette a disposizione del suo potenziale elettore. Basta dargli il voto e te lo leghi per sempre. Diventa tuo amico per l’eternità. Il candidato adesso promette di dargli un saggio, quasi chiedendo di metterlo alla prova.


Mi raccomandu chi sta volta esta mportanta.
Mi raccomando, che questa volta è importante.
Il candidato mette in guardia il suo elettore: non è come le altre volte, questa è più importante. L’ultima è sempre più importante di quella precedente.


Se’, ma figgiutta sta faticandu?
Senti, ma tuo figlio sta lavorando?
Il candidato si preoccupa dello stato occupazionale del figlio del suo potenziale elettore. Una domanda di cortesia, ma che è una grossa dimostrazione di disponibilità. Basta un voto e a tutto c’è rimedio, anche alla ricerca di lavoro.


Passa da casa chi te preparavi nu pocu e materiala.
Passa da casa mia che ti ho preparato un poco di materiale.
Il candidato è anche l’ufficio stampa di sè stesso nella maggior parte dei casi. Informa un suo amico che, considerata la certezza della sua fiducia, ha anche preparato un po’ di facsimili per i suoi e quelli che conosce. La campagna elettorale si fa principalmente così, con gli esempi pratici.


Mi raccomandu monna fai parola ccu nudru…
Mi raccomando di non parlare con nessuno.
Il candidato si preoccupa della sua privacy, e di quella del suo elettore. In caso di vittoria, sa già a chi favorire. La riservatezza è doverosa.


Se’, daccellu ca u staiu portandu eu.
Senti, daglielo, il voto, perché lo sto appoggiando io.
Uno informa il suo amico che il vero mandante della candidatura dell’altro è lui. Un’informazione opportuna, per non fare confusione. Non si può sbagliare su chi, in realtà, è il candidato, e sulla rete di famiglie e interessi che ci sono dietro.


Puru ca nun sagghimu avimu e ‘fare bella figura.
Anche se non saliamo, dobbiamo fare bella figura.
Il candidato coinvolge il suo elettore. La sua vittoria è anche quella di chi lo ha votato. Anche la sconfitta deve essere vista con ottimismo, come un bicchiere mezzo pieno. Da qui l’invito al massimo impegno: per fare comunque una bella figura.


Ti salutavi l’atra sira ma tu nommi vidisti.
Ti salutai l’altra sera, ma non mi vedesti.
Il candidato tasta il grado di considerazione del suo potenziale elettore. Ha dei dubbi se una sera il conoscente non si sia realmente accorto di lui. O si sia trattato solo di una svista. Passa anche da qui la richiesta del voto.


Se’, ma tu misaru chiddu palu e lucia a chiddu morzu e strata?
Senti, quel palo di luce te lo hanno messo sotto casa tua?
Il candidato è un uomo per tutte le stagioni. A lui si può chiedere di tutto. Anzi, è lui stesso che si prodiga, si interessa per i problemi degli altri. Il palo della luce che non funziona sotto casa propria è un classico dell'inefficienza amministrativa. Il candidato fa al caso suo.


già pubblicato sul numero di aprile de L'OPINIONE

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