17 gennaio 2009

La montagna deturpata. Viaggio nell'ex discarica di Gimigliano














C’è un tempietto dedicato alla Madonna di Porto lungo la provinciale di località Marra di Gimigliano. A fianco, una fontana che scende giù attraverso le falde acquifere fino al fiume Corace, che raggiunge poi anche il capoluogo. Una strada, come tante, che mettono in comunicazione tutta la presila catanzarese inghiottita dai castagneti che, in questo periodo, regalano marroni a più non posso. Un angolo di Sila, un angolo di verde. L’edicola della Madonna, venerata nella ridente cittadina calabrese, da quel tocco di spiritualità in più a tutto l’ambiente come se già non bastasse il panorama a richiamare l’opera dell’Architetto del pianeta. Ti fermi con l’auto, ti ristori con un sorso d’acqua, respiri una boccata di sano ossigeno, rivolgi un pensiero alla Madonnina, e poi riparti. Tutto come nella migliore tradizione calabrese, un connubio di bellezze ambientali e storia religiosa. Ma qui a Gimigliano, da un po’ di tempo non è più così. L’edicola e la fontana sono come in fedele silenzio. Assistono impotenti alla decomposizione di un cadavere. Quello dell’ex discarica abbandonata che sta proprio sotto alla strada. Quel limpido liquido delle sorgenti silane è destinato alla contaminazione con la discarica. Nessuno raccoglie più le castagne lì vicino. L’aria non è più pura. Recentemente non c’è stato nessuno incendio. Eppure i gas che riescono a sprigionare quelle migliaia di tonnellate di rifiuti si sente. Sa di bruciato. Lo avverti subito. E si attacca alla gola per diverse ore. Quell’angolo di Sila e di pace è stato deturpato dall’uomo quando negli anni che vanno dal 1982 al 1997 è servita come discarica comunale senza autorizzazioni e controlli di sorta. È bastato un incendio, quello dell’agosto scorso, per far risvegliare il mostro che negli anni si era ingigantito cibandosi di rifiuti ormai incontrollabili. Immondizia della più varia che si è decomposta producendo diossina su diossina, e altre sostanze nocive alla salute e all’ambiente. Oggetti in ferro, di plastica, lastre di eternit, bombole di gas. Sono anche visibili delle carcasse di lavatrici, di frigoriferi, di batterie delle macchine, dei farmaci e quant’altro serve all’uomo per vivere dignitosamente. Tutto ha contribuito ad alimentare il mostro che, ora, dopo 12 anni dalla chiusura della discarica, si sta rivelando in tutta la sua pericolosità. Dall’altra parte della valle si ammira il paese di Gimigliano. Secondo la denuncia del medico che ha riscontrato un aumento di tumori, e anche di suicidi (presumibilmente legati alle effetti dei gas che ha sprigionato l’ex immondezzaio in quegli anni e anche adesso) le abitazioni di queste sfortunate persone stanno tutte lì. Nella prima e nella seconda fila. Sono dirimpetto alla discarica. Da lontano il sito destinato alla raccolta dei rifiuti si distingue come una macchia grigiastra in mezzo al verde. Ma il mostro, in realtà, è molto più grande perché la macchia è come la punta di un iceberg. La discarica, coperta dagli alberi, raggiunge, infatti, il fiume Corace a fondo della valle. Non solo, ma e’ molto probabile che ve ne siano anche delle altre. Proprio affianco a questa più conosciuta, ve n’è una seconda, ancora non balzata agli onori della cronaca. E non è escluso che possa essere delle stesse dimensioni della prima.
Il mostro, pertanto, non si riesce a vedere ad occhio nudo in tutta la sua mole, ci sono i castagneti che lo nascondono. Ma è come coprire il cadavere con una coperta. Anche questa si imbratta e, prima o poi senza preavviso, si decompone insieme al resto. I marroni sembrano buoni.
già pubblicato su Il Quotidiano della Calabria il 12 novembre 2008

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