20 aprile 2009

Il Pinocchio di Giuseppe Rito. Cioè, come Rito si rivolta nella tomba


Quando Giuseppe Rito si recò alla scuola di Sellia Marina per l’inaugurazione del suo “Pinocchio”, nel lontano 1960, si aggirava nervoso intorno ai presenti e ai politici benedicenti l’opera del Maestro. Per lenire il suo stato d’animo, di artista incompreso, fumava una sigaretta dietro l’altra - raccontano i testimoni all'evento - e mormorava: “Ma perché le piastrelle le hanno appoggiate al muro? Così, non hanno senso. Gli avevo detto di metterle nella vasca perché i motivi floreali e marini si riflettessero intorno al divertito e serioso Pinocchio con il libro in mano e lo sguardo rivolto altrove. Hanno rovinato il mio capolavoro!”.
Passano gli anni, si avvicendano le generazioni e tutti, indistintamente, a Sellia Marina sono costretti a confrontarsi con il burattino creato dalla fantasia di Collodi. Almeno una volta al giorno, per ogni giorno di lezione, dalla scuola materna alla fine di quella primaria, i selliesi hanno rivolto lo sguardo incuriosito a questo stravagante Pinocchio, inaspettatamente con il libro in mano. E, a sentire i sognatori, anche lui sembra abbia ricambiato.
Passano i decenni e il nome dell’artista inizia a cadere nel dimenticatoio, eccetto qualche voce inascoltata sull’autenticità del capolavoro.E' abbandonato a se stesso. Nessuno si cura più di lui. Lo zampillo dell’acqua che sgorga dal suo cappello si ferma. La vasca si riempie di alghe. E le piastrelle, oh le piastrelle! restano appoggiate al muro proprio da quel giorno.
Siamo ai giorni nostri e qualcosa si muove. Nel mese di settembre scorso le aule della scuola elementare vengono tinteggiate. Gli operai s'inteneriscono alla vista di Pinocchio così triste. E si fanno persuadere da un'idea, una fantasia, una specie di ispirazione artistica. “Diamogli un po’ di colore!”, si fanno coraggio. Detto, fatto. E così lo convertono in Arlecchino. La trasfigurazione viene salutata con gaudio da alcuni reparti integerrimi della scuola e del Palazzo comunale. "Mette più allegria così," motivano. Qualcuno, però, fa loro presente che forse era il caso di contattare la Soprintendenza dei Beni Culturali prima di mettere mano all'opera.
Passa il tempo e la pulce nell’orecchio soffiata dalla solita voce fuori del coro si fa sempre più fastidiosa. E così qualcuno, come colpito sulla via di Damasco, riceve un'altra illuminazione. Meno articolata della precedente ma ugualmente folgorante. Dai variopinti colori di Napoli e dintorni si converte ad uno solo. Un solo colore per un solo Pinocchio. E si trasfigura ancora. Questa volta interamente tinteggiato di marrone.  Ridetto e rifatto.
La storia del Pinocchio di Giuseppe Rito dimostra come un artista incompreso in vita possa rimanere incompreso anche per l'eternità. Basta rivoltarsi nella tomba.

6 commenti:

Anonimo ha detto...

stupendo!

Anonimo ha detto...

Bravissimo! Dici cose più che giuste e in modo ironico ma veritiero...fossi io al posto di Giuseppe Rito non perderei tempo a rivoltarmi nella tomba ma farei in modo di ritornare un attimo sulla terra, prendere la vernice ma nera, non variopinta e dipingerei di nero gli sciagurati che si sono divertiti sull'opera d'arte e poi dipingerei di rosso la testa dell'assessore ai beni culturali del comune in quanto il rosso è sinonimo di vivacità intellettiva, se proprio vogliamo usare i colori! Mi spiace per i poveri bambini che inconsapevole hanno assistito ad un vilipendio pur essendone inconsapevoli...agli operai direi: andate a zappare che è meglio!

Anonimo ha detto...

Meno male che i paesi delle marine dicono che siano più emancipati ed evoluti degli altri! Altro che evoluzione questa è involuzione sull'arte..

Anonimo ha detto...

Bello, però il sindaco che dice?

Anonimo ha detto...

Oppure, che ne pensa il ministro dei Beni culturali? o Vittorio Sgarbi! Dai, se ci sei batti un colpo!

Anonimo ha detto...

non bisogna meravigliarsi dell'accaduto poichè viviamo nel mondo del grande fratello dove l'arte,questa sconosciuta, è solo spazzatura