L'originale gruppo bronzeo scolpito da Michele Guerrisi e dedicato ai caduti della città di Catanzaro durante la Grande Guerra. Dal 1943 "orfano" della mamma
di Romano Pitaro
E’ quasi la fine dell’Anno di Grazia 2009, 27 gennaio: “Cercasi Donna” dal volto coperto, anziana ormai, si suppone. All’incirca, fatti quattro conti, di 76 anni. Il manifesto, a caratteri cubitali, è sui muri di Catanzaro. E - vista l’emergenza - un banditore, come nei tempi andati, armato di buona volontà e tromba, la mattina attraversa le vie del centro urlando “Cercasi donna”; cui soggiunge di suo l’avverbio più masticato dagli uomini che secondo il cantautore Claudio Lolli “han sempre avuto poche donne per le mani”: disperatamente.
Catanzaro, di punto in bianco, si convince che la causa del declino che l’incupisce e di cui non si capacita, consista nella sparizione di una donna. Un indovino, un mago, un profeta, pare abbia convinto i Primi Cittadini dell’Urbe dei Tre Colli, prima, secondo decreti e grida, tra le Città Calabre, che quella sia la scaturigine del suo conclamato disagio.
Agl’indovini, si sa, è inutile opporre certezze cartesiane o fulgide idee illuministe. Vanno ascoltati e basta, se si vuol mettere fine al disdoro che grava sulla città. “Cercasi donna, disperatamente”. Dunque: chi l’ha vista? Nessun parente ne ha denunciato la scomparsa. Non c’è datore di lavoro che la ricordi, un amico o un coriaceo nemico, neanche una vicina di casa con la parlantina sciolta che, per la bisogna, sarebbe una manna del cielo.
Catanzaro, Città dallo splendido e ricco passato, si sveglia una mattina di questo clemente dicembre e avverte il dolore di una scomparsa.
Sente che senza quella donna non può tirare avanti. Può darsi sia vero che l’appannamento della sua preziosa identità, come Città guida di una Calabria in ambasce, abbia la radice nel vuoto lancinante che quella donna ha lasciato. L’indovino d’altronde ne è certo com’è certa la morte. Catanzaro geme a causa del non rinvenimento della benché minima traccia di quella misteriosa donna. Tuttavia, una certezza c’è. Storici e poeti asseriscono che quella donna, pur non essendo al suo posto, è tra noi. Respira la nostra stessa aria. Dove? Questo è il punto.
Così, essendo diventata la faccenda affaire di Governo e argomento di conversazione persino nelle aule di giustizia, le Autorità politiche, civili, religiose e militari, fiere e imperiose come si conviene in circostanze eccezionali, ne reclamano il ritorno. E hanno offerto un premio: 500 mila euro per chi è dà informazioni utili, un milione di euro per chi il lavoro lo fa per interno: ritrovamento e sistemazione della donna nel posto esatto da cui manca dal 1943.
Ma quella donna dal capo coperto con un vecchio nero scialle, che molti occhi ricordano d’aver visto bene prima dei bombardamenti della seconda guerra mondiale - benché non siano in grado di dare risposte esaurienti alle successive domande:piangeva/ rideva/ pregava nella posa in cui è entrata nell’immaginario cittadino?- è come se si fosse volatilizzata.
Chi era? Bè, a questa domanda storici e poeti rispondono sicuri: una madre. Esattamente di due, forse tre fratelli morti nella prima guerra mondiale. La Grande Guerra del 15/18, che, secondo alcuni storici, fu “la più tragica tra le storie dei moderni conflitti”. Quella che vide migliaia di meridionali difendere il tricolore e per esso farsi maciullare; che vide la “Brigata Catanzaro” (protagonista della più grave rivolta dei fanti stremati dalla fatica nell’esercito italiano durante il conflitto) formata a Catanzaro Lido in due reggimenti il 1 marzo 1915, guadagnarsi la gloria in trincea e il cui eloquente motto fu ( per via dell’ ardimento che le valse la medaglia d’onore): “Su monte Mosciagh la baionetta ricuperò il cannone”.
Accanto al bronzeo Monumento ai Caduti, installato in Piazza Matteotti il 26 novembre 1933 dallo scultore Michele Guerrisi di Cittanova, quella donna, di spalle ai soldati morti, feriti e nell’atto di lanciare bombe a mano per una guerra nata male che al Piave frenò il nemico prima di sconfiggerlo a Vittorio Veneto, piangeva.
Rappresentava le donne della città che sconsolate attendevano, molte invano, il ritorno di mariti e figli. Dov’è finita adesso? E’ tempo d’ ingaggiare uno Sherlck Holmes, che indaghi nelle direzioni che la poesia dialettale e il vociare popolano offrono a profusione (disciolta senza cuore o nascosta in qualche polveroso sottoscala?) O forse è sufficiente lo sforzo di memoria di un travet dai capelli bianchi che, per filo e per segno, ci dica che ne è stato di quella donna immobile nella sua cupa angoscia.
In ogni modo, l’indagine servirà se non a ritrovarla, almeno per seppellirne con dignità il ricordo, auspice una plausibile spiegazione. Onore ai combattenti, d’accordo, nonostante la Lega Nord di tanto in tanto sputi sulla bandiera e sul sacrificio di vite umane. Ma senza scordare che le madri quando si ripudiano (o rimuovono), offendono non solo la civiltà degli uomini, ma scatenano l’ira degli dei che, infatti, di questi tempi, con Catanzaro sembrano essere parecchio maldisposti.
di Franco Mustari*
AAA cercasi fimmina?
Scusati, aviti vidutu na fimmina anziana, macilenta
cchi vaga ppa città e non cerca nenta?
Si cuvera a capu ccu nu sciallu sciancatu
vecchiu consuntu, arripezzatu.
A genta mi guarda, non mi duna cumpidenza
e puru sta fimmina c'è, ava a residenza.
Non mi fermu, insistu continuu a domandara
nuddhu, nuddhu n'indiziu mi sapa dara.
Forzi è ammucciata, o forzi cci cangiaru abbigliamentu
ma eu su capu tosta, mi consuma su tormentu.
Nu vecchiareddhu sedutu a na panchina
s'aza ccu fatica e mi s'avvicina.
"non girara figghiu, cchiu non domandara
carmati, carmati, non t'arraggiara!
Tu voi ma cerchi a gugghia nto pagghiaru,
chiddha fimmina non c'è cchiù,
chiddha fimmina a squagghiaru"
Mi si gelau u sangu, mi si cuzzaru i gambi, catti nterra
quando rinvinni, era a lu cantu de "caduti in guerra"
in piazza Matteotti, difronta u tribunala
duva a leggia avera e d'essera ppe tutti guala.
Comu? Squagghiaru a mamma e si guagliuni
e pecchì, pecchì mo ppe daveru mi giranu i buttuni.
Dicitimi ca non è possibile, ppe carità
"e invecia è veru, ficiru a statua da legalità
la dea della giustizia, d'intra u tribunala
girati, guardala a vi duv'è è quasi guala"
Squagghiaru a mamma conzata a li pedi de figghi soi
cchi pregava e ciangìa ppe chiddhi giuvani eroi.
Na mamma, sfrattata, divelta, squagghiata
non è possibile, no, no è na cazzata
Scusati aviti vidutu na fimmina anziana cc'a faccia scavata
cuveruta ccu nu sciallu d'invernu e d'estate?
Sindacu, assessore alla cultura, Catanzaro d'amara
Lions, Rotary, Fidapa, si non l'averuvu e trovara
E voliti ppe sempa ricordati
facitila nova e mintitila a li pedi de sordati.
*Poeta dialettale
3 commenti:
Io ho letto da qualche parte (non sò se corrisponde alla verità) che la statua della "madre del soldato" fu seriamente danneggita durante i bombardamenti della seconda guerra mondiale. Venne, perciò, riposta in un deposito comunale. La scovò lo scultore Rito a distanza di tempo e non potendosi riparare, ciò che restava del bronzo fu fuso per creare 2 opere diverse. Una ignoro cosa fosse; l'altra sarebbe l'attuale "Giustizia e Liberta, ultime dee superstiti" che si trova presso la Corte di Appello di Catanzaro (nell'atrio, in cima alla prima rampa di scale), quindi curiosamente proprio a 50 metri dalla posizione originaria della "madre del soldato".
Domenico E.
bellissima la poesia,altrettanto l'articolo.
Carissimo,
l' autore della ricerca che ha posto fine ai "mi dissaru ca...", tipici della cultura dell' occhio sono io.
La statua, danneggiata dalle bombe dell' Agosto 1943, venne posta nel Tribunale.
Rito, rientrato dalla guerra, aveva avuto in uso due stanze nello stesso edificio da parte del presidente Carlomagno.
Questi pose allo scultore il problemma della realizzazione della statua di Giustizia e Liberta'.Il bronzo mancava,le somme disponibili non eccessive per cui Rito fu autorizzato a fondere i resti della Madre dei Caduti,cosa che fece. E cosi' quella mamma si è trasferita nella statua che di vede nel nostro Tribunale.
Gli articoli, due, sono stati pubblicati da Gazzetta del Sud e i fatti confermati dal notaio Naso di Soverato il cui padre presiedette il comitato che curo' la realizzazione della statua attuale.Rito frequentava la loro casa per cui la fonte è stata diretta e veritiera.
Da parte mia ho fatto un lungo giro per fare ricerche sullo scultore Guerrisi ( Catanzaro, Roma, Palmi etc) e gli esiti li ho consegnati all' Accademia delle Belle Arti di Catanzaro dove il prof Tavani ha ricostruito il bozzetto in gesso della madre traendolo dai documenti in mio possesso.
Ora si tratta di decidere come e quando rifare il bronzo e rimetterlo al suo posto originario.
Ho provato a fare un comitato ma si sa che si lamenta sempre qualcosa della città, al momento dell'operatività si rientra nella normale indifferenza.
Cordialmente
Mario Saccà
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