6 febbraio 2010

L'inchiesta sull'inquinamento del fiume Alaco ancora in alto mare




La diga sul fiume Alaco








Potrebbe concludersi con un clamoroso buco nell’acqua l’indagine sull’inquinamento del fiume Alaco. L’inchiesta, partita grazie alla denuncia del sindaco di San Sostene, Luigi Aloisio, nel 2007, alla prefettura per il vistoso colore marrone delle acque e per la moria di pesci lungo gli argini della diga. Potrebbe perché la Procura di Catanzaro che, fin da subito, aveva individuato nella Sorical, società di risorse idriche calabresi, la presunta responsabile di tale scempio ambientale, non avrebbe, in sede di istruttoria, trovato conferma delle iniziali ipotesi di reato.
La presenza eccessiva di cloro non sarebbe stata addebitata alla società Veolia, il maggior azionista privato della Sorical, che proprio in quel periodo stava completando i lavori e sulla diga e sull’impianto di potabilizzazione. Un periodo fervido sul piano degli esperimenti per la decantazione dell’invaso. Tanto che, secondo alcune dichiarazioni rese da una persona informata sui meccanismi di purificazione dell’acqua della diga, un chimico della società era convinto che “facendo precipitare il PH per poi farlo rialzare avrebbe facilitato il processo di agglomeramento e decantazione. Il sistema utilizzato – ha sostenuto - avrebbe dovuto dosare dell’acido cloridrico mentre per rialzarlo si sarebbe dovuta utilizzare della soda. Il processo di agglomeramento, se ricordo bene, era comunque affidato al policloruro”.
Un procedimento micidiale per la salubrità del fiume, destinatario degli scarichi e dei fanghi, proprio per la non ancora compiuta ultimazione dell’impianto di potabilizzazione. Gli inquirenti, dunque, non avrebbero riscontrato irregolarità in capo ai dirigenti dell’opera della Sorical.
Eppure, una soluzione, per trovare il bandolo della matassa all’indagine che riempì i quotidiani locali di quei mesi, potrebbe scaturire dai registri contabili della società degli anni 2006 e del 2007.
“Ad ogni voce di entrata, inerente, per esempio, una tonnellata di acido cloridrico, utilizzato per la potabilizzazione – ha continuato la persona intervistata dall’Url-blog – dovrebbe corrispondere una voce di uscita dei relativi fanghi”. Un conteggio, allora, che la Procura di Catanzaro non avrebbe considerato a sufficienza. E che l’avrebbe, certamente, supportata a fare luce sull’intera vicenda.

In basso lo schema di funzionamento di un impianto di potabilizzazione

3 commenti:

michino. ha detto...

La procura di Catanzaro ? cosa non ha insabbiato..
poi più che una procura sembra un palazzetto dello sport, dove si combatte la box ,basta leggere i tuoi articoli.
grazie per l'informazioni.

francesca ha detto...

ma di che stiamo parlando? in calabria non sappiamo più se esiste una procura, una prefettura o alcuna forma si serietà istituzionale. siamo nella più totale confusione. con questi presupposti nessuno di noi dovrebbe andare a votare. francesca

Rosalba ha detto...

Continuo a sostenere questo...riconsegnare le tessere elettorali NON VOTIAMO. SAREBBE L'ENNESIMA PRESA PER I FONDELLI...PENSIAMOCI!