L'aumento delle tariffe dell'acqua dal 2001 al 2009
Il 12 marzo scorso Agazio Loiero aveva un buon motivo per essere contento. In piena campagna elettorale, con lui governatore uscente del Pd e candidato alle prossime consultazioni regionali della Calabria, veniva inaugurata la diga sul Menta. Dopo 25 anni. Un bel traguardo. Anche il vicesindaco di Reggio Calabria, candidato con Giuseppe Scopelliti, del Pdl, aveva un buon motivo per essere incazzato. La diga sul Menta, a suo dire, “è una truffa”. Per risolvere l’inghippo si potrebbe chiedere a Mario Campanella, consulente della comunicazione della So.Ri.Cal, la società mista delle risorse idriche calabresi. Magari, lui che è anche portavoce del Pdl calabrese, ci potrebbe aiutare. Magari.
È l’ultima messinscena che ha avuto come protagonisti la Regione Calabria, maggiore azionista della società, da un lato; dei politici che hanno dimostrato di sapersi vendere bene al migliore offerente, almeno uno dei due - che sia alla Sorical o alla regione Calabria non fa differenza, tanto è la stessa cosa, dall’altro; e, infine, lei, la So.Ri.Cal, il cui capitale è contemplato, per il 46, 50 per cento, dal socio privato Veolià.
La questione dell’acqua come bene pubblico non c’entra. C’entra, invece, una legge. La legge Galli, numero 36 del 1994. Il Cipe, il comitato interministeriale di programmazione economica, l’unico ente predisposto a stabilire i criteri, i parametri ed i limiti per la determinazione e l’adeguamento delle tariffe fino all’entrata in vigore del cosiddetto “metodo normalizzato”. E un organo legislativo, quello calabrese, che - è il caso di dirlo - fa acqua da tutte le parti. Bando a tutte le regole si è messo in testa di poter fissare egli i criteri delle tariffe per i Comuni. È come se a decidere il prezzo del debito, indipendentemente dai debitore, sia lo stesso creditore insieme ai soci di Veolià. Cacciati via dai loro connazionali di Paris in Calabria hanno trovato l’America, questi esuli. Giusto in Calabria!
La questione è a dir poco complessa. E l’aspetto della battaglia degli ambientalisti, delle associazioni e dei cittadini, per l’acqua come “bene pubblico” e, quindi, da far gestire solo agli enti pubblici, è secondaria. E probabilmente è l’unica strada per venire a capo di questa matassa. Sempre che la Corte Costituzionale non intervenga prima, come ha fatto lo scorso 27 gennaio in Emilia Romagna stabilendo una volta per tutte che le regole per la determinazione della tariffa idrica sono fissate esclusivamente dal legislatore statale. O la Procura della Repubblica di Catanzaro non si dia una svegliata, nonostante il trasferimento di Luigi de Magistris, il magistrato che per primo mise il naso su questo imbroglio.
Il 13 giugno 2003 la Regione Calabria stipula una Convenzione, in applicazione della legge Galli, con la So.Ri.Cal Spa “per l’affidamento in gestione degli acquedotti regionali e del relativo servizio di erogazione di acqua per usi idropotabili”
Al comma 5 dell’articolo 8 si stabilisce il prezzo. 0,25 euro a metro cubo per le acque erogate a sollevamento e 0,15 euro di quelle erogate a gravità. Nel comma successivo si decide che la società “per i primi cinque anni non si avvarrà di recuperare in tariffa gli investimenti effettuati” e che negli anni successivi “si applicherà il metodo tariffario in vigore”. Al comma sette si definisce che “a partire dal 6° anno di gestione si applicherà la tariffa determinata secondo il metodo normalizzato”. Il 20 maggio 2004 viene sottoscritto un “Accordo integrativo” tra le parti in cui viene disposto che “le tariffe sono da intendersi bloccate fino al 1/1/2006”. Nelle more dell’entrata in vigore del “metodo normalizzato” il Cipe, delibera numero 248/1997, stila le direttive delle tariffe degli acquedotti per gli anni che vanno dal 1995 al 2002. Silenzio per gli anni a venire finché il Tar del Lazio non lo obbliga a darsi una mossa. E quindi il 18 dicembre 2008, con la delibera numero 117, determina il recupero degli incrementi tariffari pari a un cinque per cento. Però è valido dal 2008 in poi. In sostanza le tariffe iniziali della Convenzione non potevano essere “adeguate”. E così in Calabria, dallo 0,15 euro dell’acqua a gravità si è passati allo 0,1904 fino al 2009. Dallo 0,25 dell’acqua a sollevamento allo 0,3174. L’aumento sfiora il 27 per cento. Pochi spiccioli che, tradotti in termini reali, si aggirano a 30 milioni di euro richiesti in più dalla Sorical ai Comuni calabresi. Grazie alla Spa di Veolià e company.
Ma come si è arrivati all’aumento della tariffa in Calabria? Qui, si può gustare il meglio della facoltà legislativa della Regione Calabria finalizzata a fottere i cittadini. Una volta si diceva: fatta la legge trovato l’inganno. Oggi, più realmente, si può traslare in: fatto l’inganno trovata la legge.
Il 2 febbraio 2005 la Regione Calabria dirama una delibera chiarificatrice, la numero 91: “Procedura di adeguamento della tariffa”. E il Cipe, allora, che ci sta a fare?
In ogni caso, la fa grossa. La delibera fa perno sui criteri esposti dal provvedimento del Cipe del 2002 che, per sua stessa precisazione, è valido fino al 2003. Quindi alla data dell’atto dell’ente regionale non erano più validi. Avranno confuso le date! O chiuso un occhio….Ma non è tutto, perché la famigerata delibera stabilisce aumenti anche per l’anno 2004, cioè con retroattività. L’applicazione della via retroattiva delle nuove tariffe per la fornitura dell’acqua determina l’illegittimità degli atti amministrativi. Sentenza Consiglio di Stato.
Tuttavia, sono i criteri, applicati all’interpretazione della delibera del Cipe del 2002, a far balzare dalla sedia anche chi non è avvezzo alle materie giuridiche ma sa essere sufficientemente attento a ciò che succede alle sue spalle.
L’inflazione. È ancora il Cipe a venirci in soccorso. In pratica, gli aumenti tariffari devono tener conto dell’inflazione programmata, del tasso di produttività atteso, degli investimenti necessari e della qualità del servizio. L’Ente locale, invece, che fa? Per il 2006 accorpa l’intero indice Istat. Investimenti. Da quando è subentrata la Sorical agli operai della Regione Calabria i lavori di manutenzione straordinaria sono diventati investimenti. Si rompe un tubo? È un investimento. C’è da cambiare un bullone? È un investimento. E la spesa balza alle stelle.
Penalizzazioni per sottorealizzazioni. Il principio stabilito della delibera Cipe del 2002 era quello di tutelare i cittadini dal vedersi aumentata la tariffa sulla base di investimenti programmati e non realizzati. Nel famoso provvedimento sulla procedura di adeguamento della tariffa scompare questa voce. Non è prevista nessuna penalizzazione per gli investimenti previsti e non realizzati. La So.Ri.Cal si giustifica dicendo di recuperare l’anno venturo gli investimenti non realizzati. La furberia stava diventando troppo palese. E così alla Sorical viene in soccorso il suo socio maggioritario, la stessa Regione Calabria. Che chiede al Comitato di coordinamento e verifica dell’attuazione della Convenzione un parere: se il conguaglio, degli investimenti effettuati se inferiori a quelli programmati, “debba consistere nella materiale restituzione ovvero se debba procedersi ad altra forma di compensazione dell’eventuale differenza”. La Regione, dall’alto del suo potere - che non fa una piega quando la sua figlioccia minaccia i Comuni morosi di ridurre l’approvvigionamento dell’acqua ai cittadini - considera che: “Nell’esercizio delle sue prerogative deve adeguare lo sviluppo della tariffa negli anni di riferimento tenendo conto degli investimenti effettivamente realizzati dalla società Sorical e, - attenzione! Qui viene il bello, ndb – in base alle predette risultanze, procedere non già alla materiale restituzione di somme, ma agli aggiornamenti annuali della tariffa stessa, sempre verificando, fino al termine di durata del programma, le successive risultanze gestionali degli investimenti realizzati”. Cioè, anziché restituirli, o sottrarli, magari al debito pregresso verso la Regione, li plasma per gli anni avvenire. No comment!
Anche in Calabria, come in altre regioni italiane, la battaglia contro la So.Ri.Cal e per l’acqua intesa come un bene pubblico è stata intrapresa ufficialmente. Grazie al "Coordinamento acqua pubblica Bruno Arcuri” e al Codacons, l'associazione a difesa dei consumatori. Ai quali si sono aggiunti alcuni sindaci. Di Caulonia, Squillace, Spezzano Sila, e altri, che hanno emanato delibere in tal senso, e modificato lo statuto dei loro rispettivi Comuni inserendo il principio del servizio idrico privo di “rilevanza economica”, gancio normativo dell’arrivo degli avvoltoi della Veolià.
Stanno seminando in una terra arida, prosciugata dagli interessi economici della società che ha coinvolto l’intera classe politica calabrese presente al Consiglio regionale, l’organo predisposto al suo sostentamento. Non è escluso il fatto che il silenzio-assenso dei deputati abbia delle ragioni solide. Basate sui posti di lavoro elargiti dalla società ad amici. Parenti. Nipoti. E simpatizzanti.
Ma anche i cittadini hanno le loro ragioni. Quelle per un Diritto. Una risorsa. Un bene. A vantaggio dell’intera comunità.
2 commenti:
Il termine tecnico e' Truffa aggravata.
Prendete esempio dei Sindaci dei paesi del nord.
La Calabria senza di voi, va avanti da sola.
Peggio di così non si poteva andare...........
Mi sembra una nave fantasma....e il solito Pirata che vorrebbe assaltare la nave di fronte
( Sicilia)......Sta aspettando che costruiscono il ponte per lui sarà la passerella dell'attracco...
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