23 giugno 2009
L'abusivismo al Castello dei Conti d'Aquino di Belcastro. Una storia vecchia
“Gravi infrazioni sono state compiute nella zona storica del Castello, sia con costruzioni nuove abusive, sia con altri inconvenienti come alcuni muri a secco elevati presso la via di acceso alla zona medesima ed alcune chiusure con canne e pali dalla parte della via Vescovato”. A scrivere queste note è stato il soprintendente per le Antichità e l’Arte del Bruzio e della Lucania il 6 maggio 1935. Note di sollecito all’Amministrazione comunale di Belcastro di allora, retta dal commissario prefettizio Salvatore Pirozzi, per il rispetto del regio decreto di Tutela degli immobili di interesse storico, archeologico, paletnologico o artistico, n° 364 del 1909. Il Castello dei Conti d’Aquino, imponente dimora dei Conti d’Aquino del '200 e del '300, negli anni a cavallo fra le due guerre mondiali del secolo scorso, sarebbe stato oggetto di costruzioni abusive da parte di privati. Un vero e proprio oltraggio verso una “zona che può dirsi monumentale nei riguardi storici e specialmente dovrebbe essere tutelata con amore da codesto Comune”, incalzava ancora il soprintendente di Reggio Calabria al Podestà di Belcastro. Ne nacque un carteggio in cui alle risposte, forse troppo accondiscendenti dell’autorità locale verso la situazione, di fatto creatasi, replicava con durezza il responsabile del sud’Italia del ministero dell’Educazione nazionale. Il tutto ha avuto inizio il 12 maggio 1934 quando la Soprintendenza diffidò il Municipio di Belcastro “per qualsiasi lavoro da eseguirsi negli edifici e nelle zone adiacenti al Castello”. Una comunicazione inviata, per “appoggio”, così si legge nelle carte, anche alla prefettura di Catanzaro. Passa un mese e il soprintendente nel comunicare al Podestà di Belcastro “le accluse diffide” circa l’importante interesse che rivestiva il palazzo Poerio lo invitava a “rispondere alla precedente nota di questo Ufficio circa le abusive costruzioni sorte nella zona del Castello, la quale è stata notificata a codesto Comune come d’importante interesse storico artistico, a norma della legge 23 giugno 1912. Tali fabbriche – continuava – sarebbero sorte ad opera di tal Cesare Leone addossate a un rudero dell’ex Vescovato. Su tale inconveniente prego darmi notizie precise, dovendo far rispettare le leggi predette. Comunque avverto – lo ammoniva – che nessuna costruzione, né alcuna modificazione possono essere autorizzate da codesto Comune senza il nulla osta della Soprintendenza, e quanto è stato fatto arbitrariamente deve essere demolito al più presto”. Il podestà risponde, ma il soprintendente non sembra molto soddisfatto delle dichiarazioni del Cavalier Pirozzi, tanto che il 25 giugno successivo prende carta e penna e indirizza un’altra missiva di sollecito al rispetto della legge di Tutela dei Beni di interesse storico. “Pur prendendo atto – scrive - della risposta di V.S. confermo che tutta la zona del Castello medievale e dell’ex Vescovato ha interesse storico-artistico e deve essere integralmente rispettata. Mi rendo conto – aggiunge – che sul posto possono formarsi delle questioni ingarbugliate (Sic! ndr) da interessi particolari, e manderei costà un funzionario per esaminare da vicino la situazione, ma per fare ciò codesta Spett. Amministrazione dovrebbe assumersi la spesa della missione, come prescrivono le norme regolamentari vigenti.” Il sopralluogo la Soprintendenza alla fine lo fa. E nel denunciare per l’ennesima volta il fatto grave, del non rispetto dei luoghi, l’Ufficio di Educazione nazionale indicava in modo particolareggiato all'Amministrazione comunale tutta la fascia storica da preservare. Il 6 maggio 1935 comunicava al podestà Pirozzi: “La zona dei ruderi monumentali del Castello è facilmente determinabile tra le vie Castello e Vescovato che la circondano, e comprende il maschio, o torre principale, una cisterna con la vera di pietra scolpita, la cappella di S. Tommaso, cui è legata la tradizione della nascita del Santo, i ruderi del Vescovato (Sede esistita tra il sec. XIII ed il 1818) e la Chiesa ex Cattedrale. Alle due estremità opposte della zona si trovano, da una parte gli avanzi di una torre di fortificazione (Torre Mastra) e dall’altra una torre quasi intera, in basso poligonale ed in alto circolare, che apparteneva alla cinta medievale del castello, verso il rione s. Nicola. Tale complesso di ricordi non poteva essere lasciato senza tutela. (…) Dal recente sopralluogo fatto risulta che gl’inconvenienti accennati proseguono a deturpare il luogo. Intorno alla casa costruita vicino ai ruderi del Vescovato e presso la torre dei d’Aquino, è stato formato un recinto con orto, chiuso con canne e pali, e sostenuto dal citato muraglione che quasi ostruisce la via che della Chiesa porta alla Cappella di S. Tommaso. Dal lato di S. Nicola, innanzi alla torre quattrocentesca, non solo sono state ultimate due costruende casupole semirurali, ma ne è stata iniziata un’altra con la quale, a lavoro ultimato, resterebbe occultata totalmente la torre predetta. Tale situazione significa, purtroppo, la più aperta violazione di disposizioni precise delle leggi, e su ciò questa Soprintendenza deve richiamare l’attenzione della S. V. (…)”. La lettera proseguiva con le indicazioni delle case da demolire e con gli orti da “eliminare”. E concludeva: “Confido che codesto Comune, giusta quanto è stato assicurato verbalmente all’Ispettorato incaricato del sopralluogo, vorrà dimostrare in modo concreto ed energico la sua volontà di far rispettare i monumenti di Belcastro, e quella zona che riassume davvero tutta la storia migliore della piccola città dei d’Aquino e della Sede vescovile anche illustre; e attendo assicurazioni, che mi auguro sollecite ed esaurienti”.
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