I cittadini denunciano tutti i rischi delle risorse
idriche che dalla diga dell'Alaco arrivano in ogni casa. La puzza di candeggina,
il giallo sul benzene e la polemica sui controlli. La difesa della So.Ri.Cal,
società compartecipata da una multinazionale francese e dalla Regione
Calabria:lavori bloccati da trent'anni conclusi in due
Quando fu inaugurato l'invaso dell'Alaco nel
vibonese il dirigente tecnico della So. Ri. Cal. (società di risorse idriche
calabresi), Sergio de Marco, insieme ai dirigenti che avevano messo a punto
l'opera, stapparono dello spumante italiano. Non è che non avessero
disponibilità di bottiglie di champagne, vista la cospicua presenza nella
società della multinazionale Veolià (detiene il 47,5 per cento delle azioni, il
rimanente 53,5 è della Regione Calabria) ma il vino locale suggellava una certa
produttività del genio italico ovvero la determinazione dell'efficienza
nostrana. Erano riusciti laddove altri avevano fallito. In soli due lustri
portarono a compimento un lavoro iniziato ben trent'anni prima. Probabilmente,
dal 2004 al 2006, sono anche gli anni che maggiormente hanno inficiato per
sempre la qualità dell'acqua che con il tempo è arrivata nelle case di 400 mila
calabresi.
È verso la fine del 2007 che partirono le prime
denunce da parte di Maurizio Remo Reale, ex titolare di una società che si
occupava delle apparecchiature dell'impianto. C'era qualcosa che non andava nel
processo di decantazione delle acque. Il tecnico parlò di "esperimenti
strani" fatti a suon di sostanze chimiche. E di "fanghi non smaltiti
correttamente". L'esposto fece il giro delle Procure di Vibo Valentia e
Catanzaro. Ma non arrivò mai nelle mani del pubblico ministero che per primo
mise il naso negli affari della So. Ri. Cal, Luigi de Magistris. Il sostituto
procuratore venne poi trasferito e delle sue accuse se ne perse traccia. Ma
solo sulla carta. Recentemente, infatti, sono stati rivenuti all'uscita
dell'impianto dei liquami della stessa contaminazione dei fanghi. Che ancora
oggi impregnano il rigagnolo che si congiunge nel fiume omonimo, Alaca, ironia
della sorte, verso la fine del secolo scorso, oggetto di uno studio
commissionato dalla provincia di Catanzaro che lo qualificava come uno dei più
puri d'Europa. Oggi invece tristemente noto anche dai pastori, che vedono
abortire il bestiame, e dai coltivatori di trote che non ci sono più.
Ma c'è un altro particolare inquietante. Il
pericolo - documentato da interviste esclusive che testimoniano un traffico di
camion nell'invaso e al momento al vaglio della magistratura - indica un nome e
nasconde uno spettro. Il nome è la ditta di Cesare Coccimiglio con sede ad
Amantea, recentemente rinviato a giudizio per disastro ambientale,
avvelenamento delle acque e smaltimento di rifiuti industriali nella Valle del
fiume Oliva, dove, nel corso dei carotaggi e degli accertamenti del Nucleo operativo
ecologico della Procura di Paola, sono state rinvenute zone contaminate anche
da metalli pesanti e da Cesio 137. Lo spettro è rappresentato dai rifiuti
radioattivi.
Nelle serre calabresi è da un po' di tempo che
l'acqua non è più buona. E qui le bollicine di champagne non c'entrano.
Con la collaborazione di EMILIO GRIMALDI,
SERGIO PELAIA, SERGIO GAMBINO
e MAURO NIGRO
1 commento:
Sergio de Marco, insieme ai dirigenti che avevano messo a punto l'opera, stapparono dello spumante italiano
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