Giuseppe De Venuto è il primo a sinistra
Ciao Giuseppe,
te ne sei andato. E l’hai
fatto alla tua maniera, accelerando con la tua moto lasciandoci a piedi. Ti abbiamo
aspettato con ansia e invano fin da quel giorno di dicembre. E poi hai deciso tutto
ad un tratto che probabilmente non ne valeva più la pena. In questo mondo che
costringe gli avvocati a fare i pizzaioli, i pizzaioli i pennivendoli, i
pennivendoli a rimanere a casa, disoccupati. E che costringe le persone ad
abbandonare la propria terra per cercare lavoro. Tu che avevi mille interessi: la
musica, la poesia, il gioco delle carte e l’avvocatura. Già, eri avvocato.
Ci siamo conosciuti
per la questione Seteco, quella fabbrica di veleni che insieme ad altri abbiamo
portato all’attenzione del governatore della Calabria. Sì, avevi anche un
debole per l’ambiente. Per la cura del territorio, per il rispetto della natura
dalle lobby e dalle associazioni a delinquere. E ti piaceva pure il gruccione,
i cui splendidi colori erano sotto minaccia delle pale eoliche nel tuo paese. Una
passione che mi hai regalato finché un bel giorno non li ho visti davvero
popolare i crinali dell’Alli.
Non davi subito l’impressione
di eccellere nelle passioni che coltivavi. Ci lasciavi parlare, dire la nostra,
magari litigavamo pure finché non intervenivi tu a fare un po’ di chiarezza. E non
potevamo non starti a sentire. Eri un’enciclopedia. Di casi, situazioni. Alcuni
non si sa bene da dove provenissero, in che modo riuscissi a tirarli fuori dal
cilindro della tua banca dati. Ma soprattutto, eri onesto. Quando qualcuno ti
voleva mettere in mezzo a dissapori o a controversie che non ti riguardavano
personalmente, tu elegantemente ti tiravi fuori. E se insisteva, non avevi
timore a redarguirlo mettendo i puntini sulle “i”.
Caro Giuseppe, ci mancherai.
3 commenti:
ciao Giuseppe ci mancherai......... ma rimarrai sempre nei nostri cuori.
Foro d’entrata, foro d’uscita.
Foro d’entrata, foro d’uscita. 6/4/2011, 12/12/2013, il giorno in cui ci siamo per la prima volta incontrati e il giorno dei forconi, il giorno dello schianto. Tutto veloce, sempre; come un proiettile che ti trapassa e lascia solo lungo la sua traiettoria una bruciante scia di dolore. Tu sei passato, il dolore è rimasto. Ma chi l’ha detto, chi l’ha prescritto, chi ce lo impone, di fronte a simili strazi, di dover sempre invitare al bene, alla pacificazione, all’amore, alla consolazione. Nessuno. E men che meno tu. Tu che di fronte alle mie davvero fraterne cazziate per la tua spudorata esposizione al rischio mi sbeffeggiavi e mi lasciavi senza parole affermando 'E na’ manera s’adda murì. E non c’era niente da dire, ancora una volta mi avevi trafitto, foro d’entrata e foro d’uscita, non importava se avessi ragione o se stessi dicendo cazzate, non avevi dato il tempo, il modo, il motivo per “propalare” altro. Quel 6/4/2011, una crocevia esistenziale, una combriccola di sfigati, ma di uomini giusti, i cui percorsi un destino indecifrabile aveva miracolosamente incrociato in una pizzeria, nessun impedimento, tutti coincidenti e convergenti nello stesso luogo, tutti lì per stringere un patto, il patto dei “giusti”, il tutti per uno, il sodalizio non scritto su carta ma stampato nei cuori. Eccoci lì, tutti e cinque, tutti diversi, immensamente diversi, con vissuti antitetici, strazi laceranti alle spalle, diversi anche nel presumibile “tempo a disposizione”, ma tutti, sì, tutti, uniti lì, quella sera in un patto non scritto, una cambiale in bianco, una fideiussione omnibus, un mutuo soccorso senza limiti. Tutti e cinque, felici, una spanna sugli altri, sul resto; avremmo spaccato il mondo in due, lo avremmo rivoltato come un calzino, forti di quel sodalizio senza un contenuto preciso, senza una scadenza, senza protagonisti predefiniti. Guarda, lo vedi come eravamo? Sì, magari un po’ brilli, perché no, ma ce lo si legge ancora oggi, nella sicurezza degli sguardi. Il calore, quel calore di quel patto, ha accompagnato il nostro condurci sino alla fine, foro d’entrata, foro d’uscita; magari il patto non si è sciolto, anzi di sicuro è ancora in piedi, lo sento, lo sentiamo tutti. Magari non sappiamo come, quando e dove, ma sappiamo che c’è, anche senza di te, perché per nessuno di noi oggi è veramente “senza di te”. Ognuno di noi vive e vivrà quel dolore bruciante, foro d’entrata, foro d’uscita, a modo suo; ognuno di noi da quel 12 dicembre vive la tua compagnia a modo suo, prima nel limbo dei sospesi, ora nel baratro della disperazione. E così ognuno di noi, in forza di quel patto, ha istintivamente cercato un responsabile: ci sarà qualcuno che è responsabile della tua fine, ci deve essere un responsabile … Cazzo! Ci sarà gente pronta a fare la fila per schiaffeggiarci e sostenere che è stata una fatalità, che chi resta non può sentirsi colpevole solo per questo, che bisogna razionalizzare. Ma chi l’ha detto, sì, chi l’ha detto che bisogna fare questo, chi l’ha prescritto, quale medico, quale retorica, quale ipocrisia. (segue)
Noi ti volevamo troppo bene per pensare che tu, con la tua sensibilità, il tuo essere, come noi, “giusto”, non avresti accettato “paraustielli”, cioè scusanti, alibi, pretesti. Tu al posto nostro avresti detto e pensato le stesse cose che sto dicendo ora io, a nome di tutti .. in nome di quel patto tra uomini “giusti”, che nessun foro d’entrata, foro d’uscita può realisticamente sciogliere. E poco fa, mentre vegliavo sul tuo feretro, ormai vuoto di quella vita che per 70 giorni, contro il tuo volere, ti avevano trattenuto dentro, turando tutti i possibili fori, contro di te che ti scuotevi per uscirne, tanto ’E na’ manera s’adda murì, li ho visti tutti i responsabili della tua fine, veloce come il tuo inizio, veloce come tutta la tua vita. Sfilavano, in prima persona, o per delega, rappresentanti di un mondo che non ti ha saputo meritare, che non si è accorto di te, della tua fragilità della tua sofferenza, della tua tenerezza. Non si è accorto di te che eri un “giusto”, come noi altri, il cui destino analogo è segnato come il tuo, non ha pensato di trattenerti, apprezzarti, farti crescere, riprodurti. No, questo mondo feroce, forse intento a salvare altri, o altro che nemmeno immaginiamo potesse essere meglio di te, di noi altri quattro, questo mondo feroce non ti ha ascoltato, non ti ha preservato, o nostra immensa ricchezza di uomo “giusto”, e ti ha abbandonato al tuo destino. E così un uomo giusto, dal senso etico superiore, obbediente alle leggi non scritte, impavido di fronte a qualsiasi nemico, a qualsiasi minaccia o intimidazione, indifferente alla minacciosità del drago di turno, granitico di fronte a qualsiasi avversità, anche propria, anche discendente dai nostri immensi limiti di uomini giusti, e così questo mondo non ti ha voluto, come non vuole noi, e ci insegna, sì perché anche questo ci hai insegnato tu, a vivere il senso della sconfitta. Un alternarsi eterno con la vittoria, con la gioia, ma il senso della sconfitta, si tu ce lo hai fatto capire, ha la stessa dignità della vittoria. Facevi come me un lavoro fatto del binomio vittoria/sconfitta, vivevi hai vissuto anche fuori dal lavoro, anche nelle passioni più effimere, all’ombra della dignità. Hai vissuto poco, certo, ma quanta dignità hai profuso nell’accettare le vittorie come le sconfitte. Un uomo giusto sa che Roma batte Napoli 3 a 0 perché Cannavaro si è venduto la partita; l’uomo giusto, ancora una volta lasciandomi senza parole, fu lui per primo a dirmelo, godendo della vittoria della “sua” Roma e soffrendo per la sconfitta del “mio” Napoli. Vedi, forse anche noi, nel nostro piccolo, non abbiamo saputo trattenerti, cedendo alla verità come sapevi fare così bene tu. Non ho saputo io convincerti che l’avvocatura è una partita che si gioca ai supplementari e finisce ai rigori: tu la volevi giocare nel primi dieci minuti perché non sopportavi che non si facesse Giustizia subito, come era giusto che fosse e come noi altri siamo incapaci di fare; e prima di lasciarci soli a questo mondo ti sei cancellato dall’Albo, come tanti quest’anno, perché pagare la Cassa l’anno prossimo non ne valeva la pena; azzerando tutti i tuoi studi, iniziando un nuovo capitolo della vita, senza la paura di dover ricominciare, senza il timore di una nuova sconfitta. Avresti fatto anche il pizzaiolo, lo dicevi e so che eri serio, pur di vivere in modo diverso dal mio. Noi, sì anche noi, non ti abbiamo trattenuto, non abbiamo saputo apprezzare in pieno la tua intransigente capacità di uomo “giusto”. Ci resta oggi il dolore, bruciante, foro d’entrata, foro d’uscita, del tuo fulmineo passaggio, un proiettile. La tua vittoria è stata la nostra sconfitta, ma forse sapremo viverla come ci hai insegnato tu.
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