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10 dicembre 2009

Il libro di Genchi sgomina il fan club dell'ex Ros Angelo Jannone

Angelo Jannone

dal libro di Edoardo Montolli: "Il caso Genchi: storia di un uomo in balia dello Stato" (pagg. 326-333. E non è tutto, solo una parte dei misteri svelati sull'ex colonnello. Bisogna subito riferirlo a Wikipedia.)
Neanche a farlo apposta, è un ex tenente colonnello del Ros, Angelo Jannone, passato nel 2003 a dirigere il reparto antifrode di Telecom e quindi, per volontà del grande capo Tavaroli, in Tim Brasile. Uno dei perni centrali dell’inchiesta milanese. Perché è lì, in Brasile, che si è giocata una partita che pare davvero sporca di spionaggio e controspionaggio tra le aziende che si contendevano il controllo di Brasil Telecom. Era lì che l’amministratore delegato, tale Carla Cico, aveva assoldato un’importante agenzia investigativa americana, la Kroll, per svolgere accertamenti su Telecom Italia e sul suo management. Secondo la donna, l’azienda italiana, contro la quale già aveva presentato esposti giudiziari, indusse Brasil Telecom a comprare una compagnia telefonica, la Crt, a prezzi molto, molto gonfiati. Ma quando la Kroll si era mossa per indagare, era stata devastata da una serie di attacchi informatici: committente e ispiratore, secondo i pm milanesi, proprio l’ex Ros Angelo Jannone. Che, scrive il gip Giuseppe Gennari, non pago, con le informazioni rubate alla Kroll, e «sistemate ad arte da Fabio Ghioni» in un cd farloccato, presentò addirittura una denuncia prima in Brasile e poi in Italia contro l’azienda d’investigazione americana, allegandovi lo stesso cd che la inguaiava e dicendo che era provenuto da fonte anonima. La trama di un complotto talmente spregiudicato da rasentare l’inverosimile. Ma è comunque questa vicenda, la vicenda di Brasil Telecom e dei suoi protagonisti che preoccupava al telefono Fabio Schettini e Stefano Torda, i soci nella Digitaleco dell’uomo di An col grembiulino massonico Giovambattista Papello: tutti finiti nel fascicolo Poseidone aperto da de Magistris. Non si sa perché i due si mostrassero perplessi. Si sa solo che a breve i personaggi coinvolti nello spionaggio del 2006 appariranno a macchia di leopardo nelle telefonate degli inquisiti delle inchieste calabresi....E in questo panorama, l’ex tenente colonnello del Ros Angelo Jannone, a contatto con una delle persone più importanti verso la quale nel 2007 Why Not si sta dirigendo, diventa molto importante.
Di interessante, a fronte di tali ipotesi di reato, l’ex tenente colonnello ha innanzitutto il prestigioso curriculum, così come riportato dal blog degli «amici di Angelo Jannone»: dal 1989 al 1991 è stato comandante a Corleone. Autore delle indagini, per conto di Falcone, su Totò Riina e sul commercialista Pino Mandalari. Quindi, a Catania, dove ha guidato il nucleo operativo provinciale. Infine è andato al vertice della compagnia di Roccella Jonica, in Calabria, luogo in cui, insieme a memorabili operazioni contro la ’ndrangheta, si è occupato di massoneria.
E cioè le indagini più delicate in Sicilia e in Calabria fino al 1992. E qui comincia il bello. Le informazioni che girano su di lui in rete, destinate a restare in maniera imperitura e rintracciabili con qualsiasi motore di ricerca, sono strane. Addirittura Wikipedia, l’enciclopedia libera e aperta a tutti, che gli dedica una pagina intera, pare andata in tilt: scrive infatti, a proposito delle disavventure giudiziarie di Jannone, che le accuse contro di lui sono state fatte da Marco Bernardini, il detective già collaboratore del Sisde coinvolto nell’inchiesta, ma che quelle accuse sono
poi risultate prive di fondamento. Va peraltro precisato che, diversamente da quanto riportato da alcuni quotidiani, negli atti del processo non vi è alcuna traccia di pagamenti a politici o a pubblici ufficiali brasiliani e Bernardini stesso ha sempre smentito di aver mai reso dichiarazioni in tal senso, ma di aver solo formulato delle ipotesi. Alcuni elementi successivamente emersi portano oggi a ritenere che la pista delle corruzioni sia stata una manovra ordita dal Brasile.
Invece, a oggi, le accuse di Bernardini sono entrate a processo. E nemmeno si capisce quali siano gli elementi nuovi che portano a ipotizzare che la pista delle corruzioni sia una manovra ordita dal Brasile. Ma si va oltre:
Sulla base delle dichiarazioni del pentito Marco Bernardini, che con le sue confessioni «fiume» ha evitato l’arresto (in cambio di una possibile pena più blanda, è entrato a far parte del programma di confessione premiata del Tribunale di Milano), si era infatti ipotizzato che Jannone avrebbe in Brasile fatto ricorso a corruzioni per conto di Telecomitalia, per risolvere i problemi che vedevano l’azienda italiana vittima di attacchi spionistici. […] Jannone ha sempre contestato tutte le accuse mossegli anche quelle di essere mandante di intrusioni informatiche, accusa che si fonda soprattutto sulle dichiarazioni di Ghioni Fabio – denunciato per calunnia.
E dal suo, di blog, Jannone, ancora, rincara la dose di vittimismo raccontando il proprio anno devastante il 13 agosto 2008, poco dopo la chiusura delle indagini: a suo dire basate su molte «calunnie e illazioni». A suo dire. Perché, in realtà, quanto scrive lui sul blog e quanto riporta Wikipedia non è affatto vero. E infatti, se non si sa chi abbia scritto quella pagina sull’enciclopedia libera, si può osservare come le fonti che dipingono Jannone come vittima di un complotto sono il blog degli amici di Jannone, le interviste a Jannone e angelojannone.googlepages.com. Nientemeno. I fatti sono assai diversi. E se c’è qualcuno che ha evitato la galera proprio per aver confessato le proprie responsabilità, quel qualcuno è Jannone. Dieci mesi prima del post sul suo blog, il gip di Milano Giuseppe Gennari che il 25 ottobre 2007 lo spediva ai domiciliari, lo metteva infatti nero su bianco: non lo mandava in prigione per la sua collaborazione, nonostante avesse cambiato radicalmente versione solo dopo che le indagini avevano scoperto come erano andate probabilmente le cose. Tanto che alla fine, pur tentando di resistere, Jannone aveva detto ai magistrati:
Ho ceduto invece alla proposta di attacchi informatici perché pensavo di rendermi in qualche modo utile, vista la mia situazione. Mi rivolsi a GHIONI chiedendogli se poteva mettermi in contatto con qualche hacker per fare un lavoro di questo genere.
E cioè esattamente il contrario di quanto riporta Wikipedia a proposito dell’innocenza sempre proclamata da Jannone e delle calunnie di Ghioni. E c’è di più. Scrive Gennari:
JANNONE, per sua stessa ammissione, ha la consapevole disponibilità di materiale frutto di condotte delittuose, tanto da concordare e coordinare un’artefatta denuncia ai danni di Kroll, preparata con documenti sottratti illecitamente a Kroll medesima, i quali erano successivamente «lavorati» ad hoc in Italia da GHIONI e dai ragazzi del Tiger Team e simulatamente fatti apparire come inviati in forma anonima dal Brasile. Per di più non si può fare a meno di notare come, pur seguendo la incredibile versione di JANNONE, egli sarebbe comunque responsabile e reo confesso di gravissimi episodi dì ricettazione di cose di origine delittuosa.
E non è che il gip poi si fidasse poi molto. Anzi:
La misura che viene oggi richiesta appare ampiamente proporzionata alla gravità dei fatti, nonché cautela minima da adottare nei confronti dell’indagato. In verità il reale contributo di JANNONE alle indagini è stato minimo e sostanzialmente menzognero. JANNONE ha cominciato con una serie di dichiarazioni e memoriali palesemente inesatti, in cui egli negava anche circostanze poi divenute assolutamente evidenti. Solo con la progressione delle indagini – di cui vi era ampia notizia anche sulla stampa nazionale – Jannone ha ritenuto di doversi spontanemanete presentare per accomodare il tiro correggere le parti ormai definitivamente smentite della ricostruzione. Intanto, come si è visto, egli cercava di aggiornarsi con le persone già indagate, per capire dove avrebbe potuto arrivare la Procura della Repubblica. Quindi, se si vuole attribuire alla «collaborazione» di JANNONE un valore positivo, questo è decisamente ridotto e non tale da evitare la necessità di una misura comunque custodiale.
Un quadro inquietante su cui qualcuno ha tentato pubblicamente, in rete, di mischiare le carte. Dettagli di un mosaico che è lo stesso Jannone però a ricostruire scendendo sempre più in descrizioni sinistre. Sempre sul suo blog infatti, nello stesso post dove attacca alcuni coimputati accusandoli di «calunnie e illazioni», sul proprio conto dice:
Pregiudizi interni mi davano come «infiltrato» del generale Ganzer in Telecom Italia. Io sorridevo ma non mi rendevo conto della gravità di questo stupido superficiale pregiudizio.
Frasi che, naturalmente, visti i precedenti, consigliano di andare a vedere bene tra gli atti giudiziari cosa intenda dire. E in effetti, negli atti qualcosa c’è. Visto che anche «gli stupidi e superficiali pregiudizi» su Jannone riguardo Ganzer sono arrivati in Tribunale, ma non nel processo per associazione a delinquere, con l’aggravante della disponibilità di armi che vede imputato proprio il capo del Ros di Roma, lo stesso Ros di Roma che, meno di una settimana dopo l’ordinanza del gip Gennari su Jannone, prenderà in mano il lavoro di Genchi accusandolo delle peggiori cose. No, si tratta di dichiarazioni ai giudici, che presto o tardi qualcuno vaglierà, rilasciate sempre da Marco Bernardini, l’ex collaboratore del Sisde coinvolto negli spionaggi Telecom e che secondo i magistrati milanesi, ben al di là delle calunnie di cui parla l’ex Ros, era legato a doppio filo proprio a Jannone:
Mi risulta che JANNONE era stato avvisato dell’indagine giudiziaria e questo posso dirlo perché dopo la perquisizione a TAVAROLI lo stesso JANNONE mi disse che il generale GANZER nel dicembre del 2004 gli aveva preannunciato che sarebbe caduto su TAVAROLI un uragano. JANNONE peraltro mi precisò di non aver avvertito io stesso TAVAROLI.
E in questa triangolazione di ex Ros e attuale capo del Ros di Roma, tutti sotto processo per una lunga serie di gravissimi reati, mentre i carabinieri comandati da Ganzer vanno a perquisire l’ufficio di Genchi, Jannone chiarisce meglio sul suo fornitissimo blog, il 26 gennaio 2009, quale sia stato il ruolo che ha ricoperto, quando ancora era in servizio, proprio in Calabria. Un ruolo davvero sorprendente.
Quando nel 1993 comandavo la compagnia di Roccella Jonica in Calabria e il procuratore Cordova mi affidò il delicato compito di perquisire nuovamente l’abitazione del segretario generale del Grande Oriente d’Italia, mi ordinò espressamente di avvalermi solo del Ros di Centrale di cui si fidava.
Furono lui, e il Ros, dunque, a raccogliere le «notizie e non notizie di reato», così come le bollò il gip Augusta Iannini, nella maxi-inchiesta diCordova sulla massoneria calabrese del 1992, archiviata sulla stessa richiesta dei pm romani a cui era passata di mano, Nello Rossi e Lina Cusano. E fu sempre lui, quindi, a coordinare il Ros di cui Cordova espressamente «si fidava» nella fase delicata dell’inchiesta per la sua zona. E a guidare i carabinieri a Roccella Jonica, dove viveva il senatore Sisinio Zito, il senatore coinvolto nell’inchiesta di Cordova. Quello che nel lontano ’92 chiamò a casa di Carnevale e di Pintus. E che scrisse un dossier di ventiquattro pagine a Scalfaro sostenendo di essere stato inutilmente filmato dal Ros dei carabinieri mentre si tratteneva davanti a una banca. Dalle notizie dell’epoca non emerge chi li guidasse nell’occasione, ma di certo scatenarono con un simile incidente un pandemonio di polemiche verso Mani segrete, che presto sarebbe stata così affossata. E tutto pare stringersi in una cerniera tra passato, presente e futuro. Perché queste curiose informazioni di Jannone sul suo ruolo in Calabria arrivano peraltro in un post violentissimo, scritto proprio contro Genchi:
Lo scopo di Genchi in questo suo sfogo patetico, è quello di accerchiarsi della protezione di tutti quegli amanti della dietrologia che credono alla teoria del complotto, dell’isolamento dell’eroe. «Povero Genchi, vessato dai poteri forti per aver toccato ciò che non doveva toccare», piuttosto che un soggetto che andava a ruota libera passando morbosamente (lui sì) da un tabulato all’altro. Una morbosità che mi ricorda tanto quella di Ghioni Fabio, che quando era consulente delle Procure si faceva rilasciare decreti in bianco, approfittando della fiducia abilmente acquisita presso alcuni pubblici ministeri, per passare da un indirizzo ip all’altro, per curiosare in archivi pubblici (questo ciò che si racconta e di cui lui si vantava), e accumulare dati che oggi sono custoditi chissà dove.
E, ancora, tutto questo, il giorno dopo averne scritto un altro, di post, dove, per quanto il suo blog pomposamente s’intitoli Il valore della verità,uno spazio di discussione senza dietrologie, senza ideologie, spiega:
un personaggio tutto da definire come Gioacchino Genchi che, da un lato collaborava con la magistratura, dall’altro, approcciava, forse sperando in qualche consulenza, personaggi come Tavaroli, da quanto mi dicono. «Da quanto mi dicono».
Recita proprio così. E questo ne definisce perfettamente l’originale modo di intendere la professione di ufficiale dei carabinieri: accusare e nascondersi. Lanciare accuse taglienti senza dar conto. Indizi almeno. No. Infangare, ma di passaggio. Giusto per lasciare un segno, una tacca, un sospetto. Ma lo fa «senza dietrologie», dice lui. Senza. Perché lui, un ex tenente colonnello del Ros, conosce Il valore della verità. E ciò che più inquieta, nella retorica di Jannone, che ancora, stando al sito degli «Amici di Angelo Jannone», si occupa di security per la J-consulting, e che insegnerebbe pure in alcuni corsi della Sapienza – pur non essendoci sul sito dell’università alcun documento che lo riguardi – è che l’attacco violentissimo a Gioacchino Genchi, sembra senza motivo. Sembra. Ma a oggi, in attesa di capire se sia innocente o colpevole, il gip Gennari, con quanto scrive nell’ordinanza, non è che faccia stare tutti molto sereni:
Nel caso di specie siamo di fronte a condotte di inaudita gravità in cui JANNONE, evidentemente immemore di avere lui stesso rappresentato lo Stato come membro dell’Arma dei carabinieri, si presta a ogni nefandezza nell’interesse della azienda per la quale presta lavoro e della sua personale carriera.
E quando si scaglia su Genchi senza alcun motivo apparente viene da chiedersi se Jannone sia a conoscenza di un fatto alquanto rilevante che lo riguarda. O se anche solo lo immagini. Perché i tempi tendono dannatamente a coincidere. E mentre a Milano il gip Gennari scrive l’ordinanza, il 25 ottobre 2007 appunto, a Catanzaro, il fascicolo Why Not di de Magistris che è arrivato fino a Jannone, è saltato. E soprattutto, cinque giorni più tardi, il 30 ottobre 2007, salterà anche Genchi che ha richiesto i tabulati di Jannone insieme al personaggio molto importante di Why Not con cui l’ex tenente colonnello è in contatto. Ed è quindi naturale chiedersi se l’ex Ros, visto l’allarme che suscitano le parole del gip Gennari e la singolare coincidenza di tempi e gli attacchi di Jannone a Genchi, sappia che l’uomo dei telefoni ha individuato un’altra sua utenza. Un’utenza importantissima.
Si trattava di un numero sfuggito ai pubblici ministeri di Milano, numero con il quale l’ex colonnello si sentiva spessissimo con Tavaroli e Ghioni. Un numero intestato alla Telecom, l’azienda per cui Jannone lavorava alla security. Un numero che ritengo fosse importante da analizzare nel ricostruire quanto accaduto nell’estate del 2006, nell’ultimo mese di vita del capo della security governance di Tim, Bove.
L’ex funzionario di polizia della Dia Adamo Bove. Gettatosi da un cavalcavia di Napoli il 21 luglio 2006.

8 febbraio 2010

Jannone chiede il sequestro del libro di Genchi e l'oscuramento del blog di Grimaldi






Angelo Jannone,
(fotomontaggio a cura del blogger)






L’ex Ros dei carabinieri, Angelo Jannone, ha chiesto il sequestro del libro di Edoardo Montolli: Il Caso Genchi. Storia di un uomo in balia dello Stato” e l’oscuramento dell’Url-blog di Emilio Grimaldi perché la sua vita “ha poco a che vedere con i fatti-verità raccontati da Genchi”. “Dalla lettura del libro in questione – scrivono i suoi quattro avvocati - emergono gravi affermazioni lesive dell'onore e del decoro del ricorrente nonché numerose gratuite illazioni ed insinuazioni diffamatorie tali da costringerlo a proporre formale querela (AlI. 1), a cui per relationem ci si riporta considerandola interamente trascritta, nei confronti dell' autore del libro, Edoardo Montolli e del suo intervistato, Gioacchino Genchi, che si sono resi responsabili del reato di diffamazione aggravata a mezzo stampa p. e p. dagli artt. 595 comma 3 e dall'art. 13 L. 47/48. (Legge sulla Stampa) e del giornalista Emilio Grimaldi per il reato p. e p. dall'art. 595 c. p. 3 Comma, commesso via internet attraverso il suo blog all'indirizzo internet http://emiliogrimaldi.blogspot.com , in concorso con i primi due in data 8- 10- 11- 12- dicembre 2009.”
La querela prende le mosse da una sim che sarebbe stata scoperta dal consulente della magistratura, Gioacchino Genchi, in uso all’ex ros Angelo Jannone, e rivelata nel libro, protagonista di alcuni dei fatti più bui della recente storia italiana che vede coinvolti giornalisti, magistrati e personaggi di spicco dell'intelligence di talune compagnie telefoniche. Un buio pesto sul quale il lavoro di Genchi, se non gli fossero state revocate le indagini, certamente avrebbe fatto un po’ di luce. Si tratta del suicidio di Adamo Bove, capo della Security governance di Tim. Una disperazione, la sua, che l'ha accompagnato fino alla morte e che sarebbe scaturita dalla pubblicazione sul giornale economico: Il sole 24ore di un articolo, a firma di Lionello Mancini, in cui veniva coinvolto nella breccia dello spionaggio telefonico da lì in poi espansosi a macchia d’olio. E la pubblicazione su Calabria Ora del pentimento di Domenico Novella, la cui divulgazione avrebbe messo a rischio l’incolumità della famiglia, nonché compromesso il proseguo delle indagini da parte della magistratura. In entrambi in casi sarebbe proprio la sim, scoperta da Genchi e in uso all’ex Ros Angelo Jannone, ad alimentare questa luce.
Luce che Jannone non avrebbe mai visto. E per la quale i suoi legali sostengono: “Ove effettivamente il numero della sim dovesse coincidere con il numero in uso a Jannone ai tempi della Telecom la "scoperta" di Genchi sarebbe stata presentata come eccezionale mentre si tratta di una verità travisata avendo fatto intendere che tale numero era segreto perchè destinato a scopi illeciti, mentre si trattava di un ordinario numero di servizio del funzionario. Ove invece il numero non coincidesse il fatto sarebbe ugualmente grave perchè verrebbe a crollare il "castello" costruito da Genchi, delle presunte soffiate fatte da Jànnone determinanti nel suicidio di Adamo Bove”.
Una denuncia presentata alla Procura di Milano, questa dell’ex ros, che chiede, in sostanza, l'eliminazione, nelle copie del libro di Genchi ancora da stampare, delle pagine che lo riguardano,“l'inserzione di errata corrige nelle copie stampate e non ancora distribuite e la definitiva eliminazione nelle successive edizioni di stampa. Nonché la cancellazione dei post del blog del Grimaldi”. Non solo, ma in particolare per il blog del Grimaldi, chiede “che la S.V. Voglia, sussistendo il periculm in mora, perchè il permanere di siffatte informazioni denigratorie su internet generano un gravissimo e irreparabile danno al ricorrente e alla sua ditta tra l'altro presente su internet all'indirizzo http://www.jconsulting.it/. l'oscuramento del blog di Emilio Grimaldi laddove a seguito della pubblicazione dei menzionati articoli continua non solo la diffusione del contenuto diffamatorio via internet ma gli stessi rappresentano l'occasione per i lettori del giornalista di postare sullo stesso i peggiori commenti nei confronti del Ten. Col. in congedo Dott. Angelo Jannone con un'ulteriore aspetto criminogeno della condotta”.

Post Scriptum

Gentile dottor Jannone,
quando ho scritto il post: Il libro di Genchi sgomina il fan club di Angelo Jannone non sapevo che avesse anche una pagina Fan a lei dedicata sul social network più diffuso, facebook. Altrimenti l’avrei citata. Avrebbe fatto da pendant con il resto. Mi consenta la battuta. Quando calza così bene dovrebbe strappare una risata anche agli attori coinvolti...
Ad ogni modo ci terrei a sottolinearle alcuni aspetti della vicenda che sono la motivazione del mio interesse giornalistico nei suoi confronti e della sua storia. Per lei e per chi questa storia ancora non la conosce e vorrebbe conoscerla.
L’8 dicembre scorso pubblico un post sul libro fresco di stampa di Gioacchino Genchi: L’archivista Genchi. Fuori le verità scomode, in cui presento ai miei lettori il volume, allegando alcuni lanci di agenzia. In uno di questi viene ricordato il suo nome e il suo caso. Lei commenta chiedendomi di “eliminare la parte che la riguardava” perché, a suo dire, infondata. Il suo intervento mi incuriosisce. Cosa centro io con lui? Mi chiedo. Perché ci tiene così tanto se non ho fatto altro che citare il libro di Genchi? mi domando. E approfondisco la sua storia, certo di dare un illuminante contributo ai lettori, anche loro, suppongo, interessati a saperne di più. Due giorni dopo, quindi, il famigerato testo sul suo fan club e del presumibile sgominio da parte di Genchi, avvalendomi, per la locuzione, solo del suo blog e di wikipedia. Pagine web, presumibilmente, gestite da lei o da suoi fan, visto il tenore delle informazioni al suo riguardo ivi contenute e monche di tante altre cose.
Lei non la prende bene, e considera quello che credevo un doveroso approfondimento giornalistico - in gergo “ritorno” – “degli attacchi personali”, sostenendo che avrei superato “ogni limite di decenza e di onestà intellettuale”. Forte delle sue convinzioni anche lei scrive un post sulla bagarre nel suo blog dal titolo: Genchi, Grimaldi & Co. Produttori di fango a buon mercato, in cui boccia come “un bell’impasto di fango” le notizie apparse sul mio di sito, e apprese dal libro di Genchi.
Mi invita, quindi, in una mail privata a fare “del sano giornalismo investigativo”. E accetto la sfida con il post: Quattro domande all’ex ros Angelo Jannone. Lei, invece, ancora una volta la prende a male e pubblica: Il commento di Grimaldi e la mia risposta. Presupponendo che io l’avrei già giudicata mostra buon gioco nel non rispondere alle mie domande proprio a causa, secondo la sua conclusione, del presupposto sbagliato.
La bagarre sembra avviarsi al termine quando lei, non pago del clamore suscitato dai due blog, il suo e io mio, l’aggiorna ulteriormente con Genchi a radio 24 in cui parla di bossoli dell’informazione “che si mescolano con lo sterco e con il fango sul terreno di indagini senza destino e senza reati e vengono raccolte dai tanti seguaci, come i lettori e commentatori del blog di Emilio Grimaldi, ad esempio. E lo sparatore? Chi è?
Data la sua interrogazione non resisto alla tentazione di replicare. Ecco, allora, l’ultimo post: Il pistolero Jannone con l’amata, in cui, memore delle notizie apparse sul libro di Genchi, metto in dubbio la sua tesi proponendo una versione alternativa. E cioè che dovrebbe essere proprio lei, in quanto protagonista, a conoscere meglio di chiunque altro le fattezze di questo ipotetico pistolero e che, invece, aveva individuato nello stesso consulente della magistratura.
Una precisazione, infine: non ho mai insinuato una relazione amorosa fra lei e Marina Salvadore, che ha ripreso e commentato i suoi testi sul sito: lavocedimegaride, da lei curato. Al massimo ho accentuato una sorta di affinità elettiva fra voi due. Una relazione complementare sul piano esclusivamente spirituale e morale. Pura. Decisamente intellettuale. Al suo linguaggio sobrio, piatto, elusivo di fatti e circostanze, rispondeva sempre lei con un lirismo che sembra connotato di categorie ancestrali. Cito le sue parole, all’indomani del suo primo contributo alla vicenda, per dare ai lettori un assaggio:
Di spirito essenziale ed a-vittimista, persona dotata di buona educazione, self-control ed esperienza in qualità di ex colonnello dei Ros, Angelo Jannone, con poche righe laconiche ci informa di un sopruso immondo, l’ennesimo attacco alla sua persona a cura di certi sciacquetti galoppini dell’antimafia che la fan da padroni in rete, in Tv, sui giornali e nell’immaginario collettivo di questo popolo-bue trainato per le corna al mulino della zizzania di Stato. Ho provveduto, spinta dalla curiosità, a linkare il suo blog sul nuovo dominio e… accidenti!… sono rimasta interdetta nel leggere questo suo ultimo contributo postatovi con la solita leggerezza, in assenza di reazione tossica, laddove io avrei imbracciato un’idrovora e provocato uno tsunami nelle stalle di Augia e nelle porcilaie italiote mafio-massoniche!
E così, infine, quando lei, Jannone, linka sulla sua pagina Fan di facebook della richiesta di sequestro del libro di Genchi lei, Salvadore, subito commenta: “'UH!.. maòoonnaaa mia!... e mo' che dice chillo scemo d' "Emilio" ???? ;-))”.
Vede? Se non è affinità elettiva questa, che sarà mai?
Un ultimissimo pensiero. Sarà il giudice a stabilire chi "ha ragione". Se ha ragione lei nel ritenersi "diffamato" o io nell'avere esercitato il sacrosanto di diritto di cronaca e di informazione. Tuttavia, mi auguro solo che, grazie alla sua querela, il percorso a ritroso della giustizia possa restituire ad Adamo Bove quell'onorabilità di uomo retto ed onesto che, presumibilmente, qualcuno ha provato ad adombrare.
Distinti saluti
emilio grimaldi

PPS
Le avevo promesso che le avrei dato la metà dei versamenti che avessi ricevuto sulla mia postepay, visto che è stato così gentile da inserire l'immagine del bancoposta sul suo blog. La devo informare, a malincuore, che negli ultimi dodici mesi ho riscosso, a parte il regalo di un amico, solo cinque euro, meno uno di spese per l'operazione. Ma, purtroppo per lei, questi quattro euro me li hanno spediti nel mese di novembre. Quindi prima dell'uscita del libro di Genchi e dell'inserimento del suo nome sul mio Url, ma umile blog.

11 dicembre 2009

Quattro domande all'ex Ros Angelo Jannone

Gentile dottor Jannone,

Riguardo al “sano giornalismo investigativo”, Le devo dare atto che ha proprio ragione. Non credo potrò mai pregiarmi di essere all’altezza di altre firme, certamente più autorevoli della mia, e quanto meno della Sua. Lei, che, secondo il Gip di Milano, Giuseppe Gennari, è “reo confesso di gravissimi episodi di ricettazione di cose di origine delittuose”. Lei, a cui piace il lavoro di hacker, per sua stessa ammissione. Lei, che è in attesa di un processo per una storia di spionaggio che ha coinvolto la Telecom, la Telecom Brasile, la Tim Brasile e una società di investigazioni americana, la Kroll, sempre per i fatti brasileros. Lei, certamente ne sa più di me di giornalismo investigativo. Lei, sicuramente ne sa più di me per essere stato tante volte attore protagonista di alcune vicende che l’hanno riguardata personalmente, e per le quali potrebbe fare la fonte di se stesso. E non tanto, quindi, per esserne stato cronista, a parte, forse, il suo alter ego della carta stampata, Lionello Mancini, de Il sole 24 Ore, di cui spiegherò meglio più avanti.

Sulla faccenda brasilera mi scrive per mail - in tono più pacato rispetto ai suoi commenti sul mio blog (glielo devo riconoscere) - che “quanto al Brasile, se vuole Le spiego il perché del complotto. C'era dietro l'attività di Kroll e della CIA volta a "fottere" Lula, attuale presidente Brasiliano e favorire il candidato del centrodestra. I personaggi politici di AN sicuramente erano preoccupati per la CICO, in quanto la donna era sostenuta da massoni brasiliani e da parlamentari del centro destra italiano. Se vuole parliamo anche di questo. E' tutto documentato, ma purtroppo i magistrati spesso leggono i giornali ed ascoltano le frottole anziché leggere gli atti”. Vede? Già ci mette dentro la politica. E un caso di furto di informazioni a questa società diventa internazionale, tipo di neoguerra fredda all’italiana. Come Le dicevo sul giornalismo investigativo Lei è sempre in vantaggio rispetto a un cronista provinciale. Ha una visione più ampia delle cose.

Ho apprezzato molto, d’altro canto, la Sua proposta di parlare al telefono. Ma, non se ne dispiaccia, non penso sia il caso. Sa, dovrei registrare la telefonata, e forse lo farà pure lei. Lei che di queste cose se ne intende più di me. E io invece non tanto. Meglio ad armi pari. La penna, credo, vada bene per tutti e due, a giudicare dal fatto che anche lei ha un blog. Con i telefoni lei è - lo ribadisco - troppo in vantaggio. E poi sono fermamente convinto che la nostra conversazione potrebbe interessare anche i lettori di questo umile blog. Stia tranquillo, lei non è il primo Vip che si incazza per un mio post. Ce ne sono stati degli altri. Aldo Jannelli, fratello di Enzo, ex procuratore capo di Catanzaro, e Francesco Rutelli, che non ha bisogno di presentazioni, per voce della sua segreteria, de La Margherita (ops! non è più della Margherita, è del Pd. O ha cambiato partito? non ricordo bene, dovrei aggiornarmi sulla sua carriera recente. In ogni caso la mail mi è arrivata da questo fiore). Come può notare, dunque, è in buona compagnia.

E proprio per dimostrare del sano giornalismo, come Lei, e non solo lei, auspica, vediamo se ha la gentilezza di rispondere ad alcune mie domande. Non si preoccupi, non la tedierò su quella storia di spionaggio, di cui ha già reso un utile servizio al gip di Milano. Tanto che ebbe a dire: In verità il reale contributo di JANNONE alle indagini è stato minimo e sostanzialmente menzognero. JANNONE ha cominciato con una serie di dichiarazioni e memoriali palesemente inesatti, in cui egli negava anche circostanze poi divenute assolutamente evidenti. Solo con la progressione delle indagini – di cui vi era ampia notizia anche sulla stampa nazionale – Jannone ha ritenuto di doversi spontaneamente presentare per accomodare il tiro correggere le parti ormai definitivamente smentite della ricostruzione”. E poi se ne uscirebbe di nuovo con la neo guerra fredda post muro di Berlino e di Bologna tra Italia e Brasile. Suvvia, cambiamo argomento:

  • Lo sa che Adamo Bove, capo della security governante di Tim, qualche mese prima della sua tragica fine, sotto a un cavalcavia a Napoli, il 21 luglio 2006, aveva denunciato al pm di Roma, Pietro Saviotti l’esistenza di un traffico di tabulati telefonici e storie di spionaggio industriale, compreso quello brasiliano che lei conosce benissimo?
  • Secondo lei l’articolo di Lionello Mancini, apparso il 10 giugno 2006 (quello del famoso rapporto audit), fu veramente alla radice della disperazione di Bove tanto che lo indusse a suicidarsi? Lei, quale amico e confidente di Mancini, dovrebbe sapere di più a proposito. Lei che, secondo la sim scoperta da Genchi, si è sentito svariate volte con il giornalista Mancini nei giorni immediatamente precedenti. Le faccio un prospetto, l’8 giugno 2006 Mancini le manda un sms alle 17 e 33. Due minuti più tardi lei chiama Fabio Ghioni, capo security Telecom. Successivamente manda un sms a Mancini. Dopo qualche altro essemmesse, lo chiama proprio il giornalista, e ci sta per dieci minuti. Come mai questa concentrazione di chiamate proprio quel giorno, con la perfetta triangolazione, fra lei, il giornalista e il capo della security di Telecom, in prossimità di uno dei più grossi scoop giornalistici che fecero tremare il Palazzo dei telefoni?
  • Come spiega la storia della pubblicazione solo su Calabria Ora, diretto da Paolo Pollichieni, il 24 marzo 2008, del pentimento di Domenico Novella, per la vicenda della morte di Fortugno mettendo a rischio la sua famiglia e la sua stessa collaborazione con la Magistratura? Sa, lei, stando alle risultanze investigative di Genchi in Why Not, entra spedito con la presumibile fonte dello stesso Pollichieni, Alberto Cisterna, procuratore della Dda di Reggio Calabria.
  • Sarà stato un caso, ma lo sa che Gioacchino Genchi nella relazione del 25 giugno 2007 sull'inchiesta Why Not aveva chiesto l’acquisizione dei suoi tabulati insieme a quelli di Salvatore Cirafici, capo della security di Wind, Paolo Poletti, generale della guardia di Finanza, Paolo Pollichieni, direttore di Calabria Ora, e dello stesso Alberto Cisterna? Che tre giorni dopo il suo amico, Mancini, pubblicava un articolo-intervista (falso, a detta dell’interessato che aveva pure dato delle risposte). E che il 30, quindi esattamente cinque giorni dopo, l’avvocato generale facente funzioni del procuratore generale, Dolcino Favi, revocava l’incarico a Genchi? In cinque giorni si sono fatti fuori Genchi. Prima articolo e poi revoca. Come avrebbero fatto con Bove. Sembra parte di un manuale di una neostrategia del terrore firmato servisisegreti. Non le pare? Nel rispondere la prego di ricordarsi tutto quello che ha già scritto su Genchi, e il fatto di Cirafici che al maggiore Grazioli, secondo gli atti dell’inchiesta de pm Pierapolo Bruni sulla centrale di Crotone, chiedeva sempre notizie su questo Genchi, come se fosse l’unico in grado di scovare le magagne di lei, di Cirafici, e degli altri ros, ex ros, e in generale dei servizi in Italia.

La ringrazio anticipatamente. Cordiali saluti

19 dicembre 2009

Il pistolero Jannone con l'amata



Caro dottor Angelo Jannone, gentile VocediMegaride,
Non saprei da dove cominciare, dopo le vostre ultime uscite. Veramente, come si dice, la vita è bella perché è varia. Allora, andiamo con ordine. Al signor Jannone, che è la persona, il personaggio più invischiato in questa bagarre. Lei, nel suo ultimo post, si domanda chi è lo sparatore? Chi è il vero pistolero? Chi è il vero sparatore delle cartucce, i cui bossoli “si mescolano con lo sterco e con il fango sul terreno di indagini senza destino e senza reati e vengono raccolte dai tanti seguaci, come i lettori e commentatori del blog di Emilio Grimaldi, ad esempio”? Bene. A mio modo di vedere, e secondo le notizie diffuse fino a questo momento, è proprio lei che potrebbe illuminarci sulla sua stessa interrogazione. Proprio lei potrebbe essere uno di quelli che già ha sparato in passato. E, probabilmente, a ragione del fatto che si è sentito tirare in ballo, si difende attaccando, come quei colpevoli che si presentano sul luogo del delitto e chiedono curiosi: chi è stato? Non voglia fraintendere quello che sto dicendo, non la sto accusando. Le mie sono solo supposizioni che trovano una logica nella cronologia degli eventi. Ecco, presumibilmente, ma non lo sapremo mai, dato che a Gioacchino Genchi - quella persona di cui si lamenta per aver detto che “il vero potere sono le informazioni, quelle riservate, che sono come delle cartucce” - hanno revocato l’indagine che stava compiendo. E si perché Lei, forse - ribadisco forse - potrebbe essere un protagonista di quelle cartucce preparate con cura e sparate al momento opportuno. Mi riferisco a quello “stillicidio di contatti”, secondo le rivelazioni dello stesso consulente della magistratura, fra lei, Fabio Ghioni, capo della security della Telecom, e Lionello Mancini, il giornalista che ha scritto il famigerato articolo sul Sole 24 ore il 10 giugno 2006. Quell’articolo che è alla base della disperazione di Adamo Bove e del suo isolamento all’interno dell’azienda fino al suicidio, giù da un cavalcavia di Napoli il mese successivo. Fin quando, allora, non sarà fatta piena luce è lei ad essere più informato di noi sulla vicenda e su chi sarebbero questi “sparatori”. Sulle loro qualità umane e civili, nonché sul loro paradigma morale. Nella cultura contadina si dice che la prima gallina che canta ha fatto l’uovo. E di solito, la saggezza della gente umile ci azzecca sempre, caro ex ros. Lei è stato uno dei primi - a parte i soliti mugugni politici degli uomini appartenenti al Pdl, Carmelo Briguglio, Fabrizio Cicchitto, Giuseppe Esposito e Gaetano Quagliariello, che hanno scritto nientepocodimenoche al presidente del Copasir, Francesco Rutelli, per aver riscontrato un “grave vulnus rispetto alla privacy dei cittadini e alla sicurezza dello Stato” nella pubblicazione delle informazioni inerente all’attività di consulente delle procure italiane di Gioacchino Genchi – ad essersi risentito sulle “sue cantonate” (parole sue). Al suo nome, all’interno di un’agenzia sul libro: “Il caso Genchi, storia di un uomo in balia dello Stato", non ha resistito. Forse in questo ha giocato anche il fatto che il web non è come la carta stampata. Il cartaceo si butta. Internet, invece, rimane. Non si cancella, salvo l’oscuramento per provvedimento della magistratura o per qualche attacco virale. E, a pensarci bene, il suo nome sui maggiori motori di ricerca veniva ricordato solo sul suo blog e su Wikipedia (curato da lei o dai suoi estimatori) prima del neo di agenzia sul mio Url. Caso ha voluto che ai suoi attacchi ho risposto, come era giusto che fosse in un paese civile e democratico, con delle domande specifiche, e quindi, caro Jannone, i link a “suo sfavore”, sono aumentati. So che ci tiene alla sua immagine. Ha curato ogni dettaglio. Ha perfino commentato le decisioni dei giudici, come a dare alla fruizione informativa interinale l’ultima, e più facilmente revocabile, valutazione positiva nei suoi confronti. Ebbene, ancora una volta non ha resistito sulla questione delle cartucce. E, questa volta, ha giocato al rialzo. La mia impressione è che sia una strategia di difesa la sua, sulla scia di quella di uno sprovveduto Sean Connery, trovato con le mani nella marmellata, che non si rassegna a dare le dovute spiegazioni.
Cara VocediMegaride,
che vuole che le dica? E’ così amante di se stessa e del suo “eccellente amico in rete” (parole sue), che farebbe invidia anche a Narciso. Il suo lirismo mi sembra annebbiato da fumi artificiali. La invito a dare più retta al suo raziocinio che alla magia di Bacco & company.
Buon Natale e felice anno nuovo

9 giugno 2010

Boomerang Jannone

Fotomontaggio, ma non troppo, a cura del blogger

La prima sezione civile del Tribunale di Milano ha rigettato il ricorso promosso dall’ex Ros, Angelo Jannone, nei confronti di Gioacchino Genchi, Edoardo Montolli, Alberti editore, ed Emilio Grimaldi per diffamazione, e condannato il ricorrente anche al pagamento delle spese legali.
Bandolo della matassa, che sarebbe stata combinata ai danni dell’ufficiale dell’Arma dei carabinieri in congedo, è il libro: “Il caso Genchi. Storia di un uomo in balia dello Stato”, scritto da Edoardo Montolli e pubblicato da Aliberti Editore. Ed alcuni post del blogger Grimaldi che riprendono parti del testo intervista al consulente informatico delle Procure italiane. Il giudice, dopo aver osservato il ricorso ex art 700 del cpc e le motivazioni dell’ex Ros, che lamentavano “la falsa rappresentazione dell’esistenza di poteri occulti”, a lui riconducibili, ha dichiarato “infondate” le domande cautelari e contro i protagonisti della pubblicazione del libro e contro il gestore del blog: l’Url di emilio grimaldi. Dettagliata la disamina dell’insussistenza del funus boni iuris e del periculum in mora, paventati dall’ufficiale, all’interno del volume per il quale aveva chiesto l’eliminazione, nelle copie prossime alla stampa, delle pagine che lo riguardavano e l’inserzione di errata corrige in quelle stampate e ancora da distribuire.
“Il mero invito ad un atto di parte, (querela) – ha scritto il giudice - è inidoneo a colmare tale carenza probatoria e ciò appare ancora più vero laddove si consideri il complesso contesto storico in cui tutte le vicende sono maturate e relative a delicate indagini con procedimenti penali ancora pendenti”. Il “complesso” contesto storico, come lo chiama il magistrato, concerne l’attribuzione di “una sim in uso al ricorrente per contatti con Giuliano Tavaroli e Fabio Ghioni”, rispettivamente, responsabile della security e capo della sicurezza informatica di Telecom, entrambi sotto processo per spionaggio, durante l’ultimo mese di vita di Adamo Bove, capo della security governance di Tim, trovato morto giù da un cavalcavia il 21 luglio 2006. L’attribuzione al ricorrente, in concorso con il magistrato dott. Cisterna, della fuga di notizie relative al pentimento di Domenico Novella. L’accusa di aver vanificato, “utilizzando a proprio piacimento i Ros”, le indagini condotte dal procuratore di Palmi dott. Cordova nel 1992. E il tentativo di insinuare ai lettori il dubbio sull’effettività dell’insegnamento presso l’Università la Sapienza. Su tutti questi fatti il reclamante “ha omesso ogni valutazione in diritto circa la positiva ricorrenza del periculum in mora non essendo stato dedotto alcun pregiudizio irreparabile”. Mentre sulla richiesta di eliminazione di alcune parti del libro, avanzata dall'ex tenente, le parole del giudice sono musica per quelle orecchie sensibili alla libertà di stampa. “L’applicazione indiscussa ai libri della legislazione della stampa impone che la richiesta di eliminazione possa ritenersi ammissibile ex art R.D.L. 561/46 solo in ragione di una sentenza passata in giudicato. La norma, interpretata alla luce del fondamentale principio costituzionale di libera espressione del pensiero ex art 21 Cost., impedisce il sequestro di giornali, pubblicazioni o stampati, al fine di garantire che la libera diffusione della stampa non si trovi compromessa da provvedimenti interinali che possano risultare ingiustificati in sede di accertamento definitivo mentre la prevalenza dell’interesse alla circolazione delle idee a mezzo stampa su quello al sequestro cautelare opera su tutti i testi pubblicati e da pubblicarsi”.
Sulla domanda cautelare (cancellazione dei post e oscuramento del sito internet) proposta nei confronti di Emilio Grimaldi dall’ex Ros Jannone il provvedimento del giudice arricchisce e aggiorna la giurisprudenza sui blog, casi limite di corretta interpretazione della normativa in materia di manifestazione e di pubblicazione del proprio pensiero. Con all’orizzonte sempre l’articolo 21 della Costituzione. Sulla falsariga dell’infondatezza del ricorso presentato contro il libro su Genchi il magistrato ha esaminato: “Il generico rinvio alla querela depositata presso il Tribunale di Milano, quanto alla diffusione delle parti commentate da Grimaldi, consente di richiamare la motivazione che precede circa l’infondatezza della richiesta cautelare per difetto di presupposti di legge ed impone esclusivamente un esame della portata dei messaggi inviati da alcuni partecipanti al blog in questione dovendo trovare applicazione nel caso in specie, a garanzia della libertà di manifestazione del pensiero, il comma I e non il comma III dell’art. 21 Cost”. Questo perché “gli interventi sul blog non possono essere fatti rientrare nella libertà di stampa, neppure nel significato più esteso ricavabile dall’art. 1 della legge numero 62 del 2001 poiché “il semplice fatto che i messaggi e gli interventi siano visionabili da chiunque o almeno da coloro che siano registrati” rende assimilabile il blog esclusivamente ad un gruppo di discussione dove “qualsiasi utente o gli utenti registrati sono liberi di esprimere il proprio pensiero, rendendolo visionabile a tutti gli altri soggetti autorizzati ad accedere al forum, ma non per questo il forum resta sottoposto alle regole e agli obblighi cui è soggetta la stampa o può giovarsi delle guarentigie in tema di sequestro che l’art 21 comma 3 Cost. riserva soltanto alla stampa, sia pure latamente intesa, ma non genericamente a qualsiasi mezzo e strumento con cui è possibile manifestare il proprio pensiero (Cass. Sez. III pen. n. 10535/08). In buona sostanza “la genericità del ricorso anche con riguardo al contenuto dei commenti, ritenuti dallo Jannone lesivi ai sensi dell’art.595 III comma perché “recati con qualsiasi altro mezzo di pubblicità” ed esclusivamente elencati impedisce al Tribunale di valutare in concreto sia la sussistenza del fumus boni iuris che del periculum in mora”. Infine, “la diretta partecipazione del ricorrente, con gli interventi riportati sul blog per cui è causa, (di contenuto dissenziente relativamente alle parti del libro che lo riguardano ed al giudizio critico espresso dal Grimaldi) conferma l’assenza dei presupposti dell’invocata cautela ben potendo i soggetti che accedono al sito distinguere il giudizio personale riconducibile al gestore del sito dai passaggi tratti dal libro nonché le diverse posizioni dei partecipanti e che hanno alimentato le libera discussione conseguente alla pubblicazione dello scritto”. Ipse dixit.