Neanche a farlo apposta, è un ex tenente colonnello del Ros, Angelo Jannone, passato nel 2003 a dirigere il reparto antifrode di Telecom e quindi, per volontà del grande capo Tavaroli, in Tim Brasile. Uno dei perni centrali dell’inchiesta milanese. Perché è lì, in Brasile, che si è giocata una partita che pare davvero sporca di spionaggio e controspionaggio tra le aziende che si contendevano il controllo di Brasil Telecom. Era lì che l’amministratore delegato, tale Carla Cico, aveva assoldato un’importante agenzia investigativa americana, la Kroll, per svolgere accertamenti su Telecom Italia e sul suo management. Secondo la donna, l’azienda italiana, contro la quale già aveva presentato esposti giudiziari, indusse Brasil Telecom a comprare una compagnia telefonica, la Crt, a prezzi molto, molto gonfiati. Ma quando la Kroll si era mossa per indagare, era stata devastata da una serie di attacchi informatici: committente e ispiratore, secondo i pm milanesi, proprio l’ex Ros Angelo Jannone. Che, scrive il gip Giuseppe Gennari, non pago, con le informazioni rubate alla Kroll, e «sistemate ad arte da Fabio Ghioni» in un cd farloccato, presentò addirittura una denuncia prima in Brasile e poi in Italia contro l’azienda d’investigazione americana, allegandovi lo stesso cd che la inguaiava e dicendo che era provenuto da fonte anonima. La trama di un complotto talmente spregiudicato da rasentare l’inverosimile. Ma è comunque questa vicenda, la vicenda di Brasil Telecom e dei suoi protagonisti che preoccupava al telefono Fabio Schettini e Stefano Torda, i soci nella Digitaleco dell’uomo di An col grembiulino massonico Giovambattista Papello: tutti finiti nel fascicolo Poseidone aperto da de Magistris. Non si sa perché i due si mostrassero perplessi. Si sa solo che a breve i personaggi coinvolti nello spionaggio del 2006 appariranno a macchia di leopardo nelle telefonate degli inquisiti delle inchieste calabresi....E in questo panorama, l’ex tenente colonnello del Ros Angelo Jannone, a contatto con una delle persone più importanti verso la quale nel 2007 Why Not si sta dirigendo, diventa molto importante.
Di interessante, a fronte di tali ipotesi di reato, l’ex tenente colonnello ha innanzitutto il prestigioso curriculum, così come riportato dal blog degli «amici di Angelo Jannone»: dal 1989 al 1991 è stato comandante a Corleone. Autore delle indagini, per conto di Falcone, su Totò Riina e sul commercialista Pino Mandalari. Quindi, a Catania, dove ha guidato il nucleo operativo provinciale. Infine è andato al vertice della compagnia di Roccella Jonica, in Calabria, luogo in cui, insieme a memorabili operazioni contro la ’ndrangheta, si è occupato di massoneria.
E cioè le indagini più delicate in Sicilia e in Calabria fino al 1992. E qui comincia il bello. Le informazioni che girano su di lui in rete, destinate a restare in maniera imperitura e rintracciabili con qualsiasi motore di ricerca, sono strane. Addirittura Wikipedia, l’enciclopedia libera e aperta a tutti, che gli dedica una pagina intera, pare andata in tilt: scrive infatti, a proposito delle disavventure giudiziarie di Jannone, che le accuse contro di lui sono state fatte da Marco Bernardini, il detective già collaboratore del Sisde coinvolto nell’inchiesta, ma che quelle accuse sono
poi risultate prive di fondamento. Va peraltro precisato che, diversamente da quanto riportato da alcuni quotidiani, negli atti del processo non vi è alcuna traccia di pagamenti a politici o a pubblici ufficiali brasiliani e Bernardini stesso ha sempre smentito di aver mai reso dichiarazioni in tal senso, ma di aver solo formulato delle ipotesi. Alcuni elementi successivamente emersi portano oggi a ritenere che la pista delle corruzioni sia stata una manovra ordita dal Brasile.
Invece, a oggi, le accuse di Bernardini sono entrate a processo. E nemmeno si capisce quali siano gli elementi nuovi che portano a ipotizzare che la pista delle corruzioni sia una manovra ordita dal Brasile. Ma si va oltre:
Sulla base delle dichiarazioni del pentito Marco Bernardini, che con le sue confessioni «fiume» ha evitato l’arresto (in cambio di una possibile pena più blanda, è entrato a far parte del programma di confessione premiata del Tribunale di Milano), si era infatti ipotizzato che Jannone avrebbe in Brasile fatto ricorso a corruzioni per conto di Telecomitalia, per risolvere i problemi che vedevano l’azienda italiana vittima di attacchi spionistici. […] Jannone ha sempre contestato tutte le accuse mossegli anche quelle di essere mandante di intrusioni informatiche, accusa che si fonda soprattutto sulle dichiarazioni di Ghioni Fabio – denunciato per calunnia.
E dal suo, di blog, Jannone, ancora, rincara la dose di vittimismo raccontando il proprio anno devastante il 13 agosto 2008, poco dopo la chiusura delle indagini: a suo dire basate su molte «calunnie e illazioni». A suo dire. Perché, in realtà, quanto scrive lui sul blog e quanto riporta Wikipedia non è affatto vero. E infatti, se non si sa chi abbia scritto quella pagina sull’enciclopedia libera, si può osservare come le fonti che dipingono Jannone come vittima di un complotto sono il blog degli amici di Jannone, le interviste a Jannone e angelojannone.googlepages.com. Nientemeno. I fatti sono assai diversi. E se c’è qualcuno che ha evitato la galera proprio per aver confessato le proprie responsabilità, quel qualcuno è Jannone. Dieci mesi prima del post sul suo blog, il gip di Milano Giuseppe Gennari che il 25 ottobre 2007 lo spediva ai domiciliari, lo metteva infatti nero su bianco: non lo mandava in prigione per la sua collaborazione, nonostante avesse cambiato radicalmente versione solo dopo che le indagini avevano scoperto come erano andate probabilmente le cose. Tanto che alla fine, pur tentando di resistere, Jannone aveva detto ai magistrati:
Ho ceduto invece alla proposta di attacchi informatici perché pensavo di rendermi in qualche modo utile, vista la mia situazione. Mi rivolsi a GHIONI chiedendogli se poteva mettermi in contatto con qualche hacker per fare un lavoro di questo genere.
E cioè esattamente il contrario di quanto riporta Wikipedia a proposito dell’innocenza sempre proclamata da Jannone e delle calunnie di Ghioni. E c’è di più. Scrive Gennari:
JANNONE, per sua stessa ammissione, ha la consapevole disponibilità di materiale frutto di condotte delittuose, tanto da concordare e coordinare un’artefatta denuncia ai danni di Kroll, preparata con documenti sottratti illecitamente a Kroll medesima, i quali erano successivamente «lavorati» ad hoc in Italia da GHIONI e dai ragazzi del Tiger Team e simulatamente fatti apparire come inviati in forma anonima dal Brasile. Per di più non si può fare a meno di notare come, pur seguendo la incredibile versione di JANNONE, egli sarebbe comunque responsabile e reo confesso di gravissimi episodi dì ricettazione di cose di origine delittuosa.
E non è che il gip poi si fidasse poi molto. Anzi:
La misura che viene oggi richiesta appare ampiamente proporzionata alla gravità dei fatti, nonché cautela minima da adottare nei confronti dell’indagato. In verità il reale contributo di JANNONE alle indagini è stato minimo e sostanzialmente menzognero. JANNONE ha cominciato con una serie di dichiarazioni e memoriali palesemente inesatti, in cui egli negava anche circostanze poi divenute assolutamente evidenti. Solo con la progressione delle indagini – di cui vi era ampia notizia anche sulla stampa nazionale – Jannone ha ritenuto di doversi spontanemanete presentare per accomodare il tiro correggere le parti ormai definitivamente smentite della ricostruzione. Intanto, come si è visto, egli cercava di aggiornarsi con le persone già indagate, per capire dove avrebbe potuto arrivare la Procura della Repubblica. Quindi, se si vuole attribuire alla «collaborazione» di JANNONE un valore positivo, questo è decisamente ridotto e non tale da evitare la necessità di una misura comunque custodiale.
Un quadro inquietante su cui qualcuno ha tentato pubblicamente, in rete, di mischiare le carte. Dettagli di un mosaico che è lo stesso Jannone però a ricostruire scendendo sempre più in descrizioni sinistre. Sempre sul suo blog infatti, nello stesso post dove attacca alcuni coimputati accusandoli di «calunnie e illazioni», sul proprio conto dice:
Pregiudizi interni mi davano come «infiltrato» del generale Ganzer in Telecom Italia. Io sorridevo ma non mi rendevo conto della gravità di questo stupido superficiale pregiudizio.
Frasi che, naturalmente, visti i precedenti, consigliano di andare a vedere bene tra gli atti giudiziari cosa intenda dire. E in effetti, negli atti qualcosa c’è. Visto che anche «gli stupidi e superficiali pregiudizi» su Jannone riguardo Ganzer sono arrivati in Tribunale, ma non nel processo per associazione a delinquere, con l’aggravante della disponibilità di armi che vede imputato proprio il capo del Ros di Roma, lo stesso Ros di Roma che, meno di una settimana dopo l’ordinanza del gip Gennari su Jannone, prenderà in mano il lavoro di Genchi accusandolo delle peggiori cose. No, si tratta di dichiarazioni ai giudici, che presto o tardi qualcuno vaglierà, rilasciate sempre da Marco Bernardini, l’ex collaboratore del Sisde coinvolto negli spionaggi Telecom e che secondo i magistrati milanesi, ben al di là delle calunnie di cui parla l’ex Ros, era legato a doppio filo proprio a Jannone:
Mi risulta che JANNONE era stato avvisato dell’indagine giudiziaria e questo posso dirlo perché dopo la perquisizione a TAVAROLI lo stesso JANNONE mi disse che il generale GANZER nel dicembre del 2004 gli aveva preannunciato che sarebbe caduto su TAVAROLI un uragano. JANNONE peraltro mi precisò di non aver avvertito io stesso TAVAROLI.
E in questa triangolazione di ex Ros e attuale capo del Ros di Roma, tutti sotto processo per una lunga serie di gravissimi reati, mentre i carabinieri comandati da Ganzer vanno a perquisire l’ufficio di Genchi, Jannone chiarisce meglio sul suo fornitissimo blog, il 26 gennaio 2009, quale sia stato il ruolo che ha ricoperto, quando ancora era in servizio, proprio in Calabria. Un ruolo davvero sorprendente.
Quando nel 1993 comandavo la compagnia di Roccella Jonica in Calabria e il procuratore Cordova mi affidò il delicato compito di perquisire nuovamente l’abitazione del segretario generale del Grande Oriente d’Italia, mi ordinò espressamente di avvalermi solo del Ros di Centrale di cui si fidava.
Furono lui, e il Ros, dunque, a raccogliere le «notizie e non notizie di reato», così come le bollò il gip Augusta Iannini, nella maxi-inchiesta diCordova sulla massoneria calabrese del 1992, archiviata sulla stessa richiesta dei pm romani a cui era passata di mano, Nello Rossi e Lina Cusano. E fu sempre lui, quindi, a coordinare il Ros di cui Cordova espressamente «si fidava» nella fase delicata dell’inchiesta per la sua zona. E a guidare i carabinieri a Roccella Jonica, dove viveva il senatore Sisinio Zito, il senatore coinvolto nell’inchiesta di Cordova. Quello che nel lontano ’92 chiamò a casa di Carnevale e di Pintus. E che scrisse un dossier di ventiquattro pagine a Scalfaro sostenendo di essere stato inutilmente filmato dal Ros dei carabinieri mentre si tratteneva davanti a una banca. Dalle notizie dell’epoca non emerge chi li guidasse nell’occasione, ma di certo scatenarono con un simile incidente un pandemonio di polemiche verso Mani segrete, che presto sarebbe stata così affossata. E tutto pare stringersi in una cerniera tra passato, presente e futuro. Perché queste curiose informazioni di Jannone sul suo ruolo in Calabria arrivano peraltro in un post violentissimo, scritto proprio contro Genchi:
Lo scopo di Genchi in questo suo sfogo patetico, è quello di accerchiarsi della protezione di tutti quegli amanti della dietrologia che credono alla teoria del complotto, dell’isolamento dell’eroe. «Povero Genchi, vessato dai poteri forti per aver toccato ciò che non doveva toccare», piuttosto che un soggetto che andava a ruota libera passando morbosamente (lui sì) da un tabulato all’altro. Una morbosità che mi ricorda tanto quella di Ghioni Fabio, che quando era consulente delle Procure si faceva rilasciare decreti in bianco, approfittando della fiducia abilmente acquisita presso alcuni pubblici ministeri, per passare da un indirizzo ip all’altro, per curiosare in archivi pubblici (questo ciò che si racconta e di cui lui si vantava), e accumulare dati che oggi sono custoditi chissà dove.
E, ancora, tutto questo, il giorno dopo averne scritto un altro, di post, dove, per quanto il suo blog pomposamente s’intitoli Il valore della verità,uno spazio di discussione senza dietrologie, senza ideologie, spiega:
un personaggio tutto da definire come Gioacchino Genchi che, da un lato collaborava con la magistratura, dall’altro, approcciava, forse sperando in qualche consulenza, personaggi come Tavaroli, da quanto mi dicono. «Da quanto mi dicono».
Recita proprio così. E questo ne definisce perfettamente l’originale modo di intendere la professione di ufficiale dei carabinieri: accusare e nascondersi. Lanciare accuse taglienti senza dar conto. Indizi almeno. No. Infangare, ma di passaggio. Giusto per lasciare un segno, una tacca, un sospetto. Ma lo fa «senza dietrologie», dice lui. Senza. Perché lui, un ex tenente colonnello del Ros, conosce Il valore della verità. E ciò che più inquieta, nella retorica di Jannone, che ancora, stando al sito degli «Amici di Angelo Jannone», si occupa di security per la J-consulting, e che insegnerebbe pure in alcuni corsi della Sapienza – pur non essendoci sul sito dell’università alcun documento che lo riguardi – è che l’attacco violentissimo a Gioacchino Genchi, sembra senza motivo. Sembra. Ma a oggi, in attesa di capire se sia innocente o colpevole, il gip Gennari, con quanto scrive nell’ordinanza, non è che faccia stare tutti molto sereni:
Nel caso di specie siamo di fronte a condotte di inaudita gravità in cui JANNONE, evidentemente immemore di avere lui stesso rappresentato lo Stato come membro dell’Arma dei carabinieri, si presta a ogni nefandezza nell’interesse della azienda per la quale presta lavoro e della sua personale carriera.
E quando si scaglia su Genchi senza alcun motivo apparente viene da chiedersi se Jannone sia a conoscenza di un fatto alquanto rilevante che lo riguarda. O se anche solo lo immagini. Perché i tempi tendono dannatamente a coincidere. E mentre a Milano il gip Gennari scrive l’ordinanza, il 25 ottobre 2007 appunto, a Catanzaro, il fascicolo Why Not di de Magistris che è arrivato fino a Jannone, è saltato. E soprattutto, cinque giorni più tardi, il 30 ottobre 2007, salterà anche Genchi che ha richiesto i tabulati di Jannone insieme al personaggio molto importante di Why Not con cui l’ex tenente colonnello è in contatto. Ed è quindi naturale chiedersi se l’ex Ros, visto l’allarme che suscitano le parole del gip Gennari e la singolare coincidenza di tempi e gli attacchi di Jannone a Genchi, sappia che l’uomo dei telefoni ha individuato un’altra sua utenza. Un’utenza importantissima.
Si trattava di un numero sfuggito ai pubblici ministeri di Milano, numero con il quale l’ex colonnello si sentiva spessissimo con Tavaroli e Ghioni. Un numero intestato alla Telecom, l’azienda per cui Jannone lavorava alla security. Un numero che ritengo fosse importante da analizzare nel ricostruire quanto accaduto nell’estate del 2006, nell’ultimo mese di vita del capo della security governance di Tim, Bove.
L’ex funzionario di polizia della Dia Adamo Bove. Gettatosi da un cavalcavia di Napoli il 21 luglio 2006.