28 luglio 2009

Parole erranti 2009. Il giornalismo fra censure e veline, dalla guerra di Crimea ai giorni nostri


L'opera del pittore Domenico Iervasi sul Festival della letteratura, giunto alla VI edizione, organizzato da "La Masnada" di Cropani

“In tempo di guerra la verità è così atroce che bisogna coprirla con una cortina di bugie”. Giornalisti rinchiusi per non vedere e non scrivere, giornalisti in gattabuia, giornalisti uccisi per non poter più nuocere. E ancora giornalisti di regime e, infine, militari che si sostituiscono ai giornalisti per far vedere all’opinione pubblica solo quello che vogliono far vedere.
14 novembre 1854 – 23 aprile 1999, quasi 150 anni di giornalismo di guerra. Andrea Giannasi, direttore di Prospettiveditrice, durante la sesta edizione del Festival della Letteratura (Parole erranti 2009) organizzato dall’associazione “La Masnada” di Cropani, li scorre come un calendario passando per tutte le guerre che si sono fatte e che hanno avuto nella figura del corrispondente di giornale un momento indispensabile di quella propaganda dei governi che avevano bisogno che “le mamme non sapessero come i loro figli andavano a morire” per continuare a combattere la loro di guerra.
Il tutto ha avuto inizio quando William Hovard Russell, del Times di Londra, nel 1984 andò in Crimea e cominciò a scrivere come morivano i figli degli inglesi. Il governo non approva, e urla: “Censura!”. La verità stava serpeggiando come un virus nel consenso popolare e allora il governo manda il suo fotografo più bravo per raccontare la loro di “verità”. Soldati che prendono il thè, soldati sdraiati comodamente sui prati. “La guerra diventa un picnic”, annota Giannasi. Il popolo inglese è colto da un dubbio amletico: a chi doveva credere, alle scatti fotografici o agli scritti di Russell? Alla fine darà ragione ai volti immortalati dei loro figli più che all’atroce verità del giornalista. La censura, allora, diventa una norma degli Stati nel loro rapporto con la libertà di stampa. Durante la Prima guerra mondiale anche le lettere dei soldati vengono approvate con il “visto” della censura. La Grande guerra è anche quella del primo scoop falso. Un corrispondente mette insieme due foto, una di militari inglesi morti e un’altra che riprende una fabbrica di sapone. I tedeschi erano così macabri che con il corpo dei caduti ci facevano il sapone. Lo scoop riesce, il messaggio che si voleva far passare passa, ma è una bugia grande quanto una casa. In Italia arrivano le “veline” del ministero fascista. Guerra d’Etiopia, i giornalisti sono troppo lontani dai luoghi di combattimento, e scrivono storie quasi inventate, non sono sul campo. 1943, un corrispondente americano scrive che gli americani fucilano una sessantina di italiani che si erano arresi. La notizia non passa inosservata. Fa male agli americani sapere la verità. Guerra di Vietnam, forse la prima guerra potuta raccontare per filo e per segno dai giornalisti fino a quando non vengono allontanati. 1979, l’Unione sovietica invade l’Afganistan. Nessuno saprà mai cosa sia successo veramente a parte un articolo che descriveva la morte atroce dei figli della Madre Russia lasciati morire con la pelle sguainata. Le mamme non vogliono che i loro figli muoiano così. Guerra del Golfo, 17 gennaio 1991, le immagini del bombardamento di Kuwait sono riprese dai militari. I 150 anni finiscono quando durante la guerra del Kosovo viene bombardata la sede della televisione dei ribelli contro il regime nel 1999. Finisce l’era eroica dei giornalisti di guerra.
L’epoca contemporanea la racconta Franco Dionesalvi, giornalista e scrittore. Nel maggio scorso il Tg1 fa scorrere una notizia: “Pattuglia italiana ha aperto il fuoco in un posto di blocco. Nell’auto un bambino morto”. “La costruzione del pezzo è monco del nesso causale: non si dice apertamente che sono stati gli italiani a uccidere una famiglia civile afgana”. Agli occhi e alle orecchie degli italiani che ascoltano questo fatto viene “sublimemente eluso”. Nel mese scorso sempre il Tg1 informa di una macchina andata a fuoco, per un incendio doloso, di proprietà di una di quelle ragazze immagine ricevute a Palazzo Grazioli durante i festini del premier Berlusconi. Il giornalista, in questo caso, si prende la liceità di scongiurare il fatto che l’incidente, accorso alla veemente signora, possa essere legato alle ore piccole del Cavaliere, ma “al suo passato tumultuoso”. Non è la voce della Procura che ha indagato, eppure il giornalista si prende la briga di sottolinearlo per depistare l’opinione pubblica dal dubbio. “Invece, un’informazione onesta è quella che riesce a essere problematica, che riesce a dare ai suoi lettori l’opportunità di porsi delle domande”, spiega Dionesalvi. “Un’informazione onesta è quella che ci dice di quanti italiani sono stati feriti in Afganistan, ma anche di quanti afgani sono stati ammazzati”, continua. “Viviamo un’epoca dai mille canali, ma dal pensiero unico”, incalza. Esemplare, in questo senso, è la voce stereotipata e meccanica delle stazioni ferroviarie che fino a quasi dieci anni fa annunciava il ritardo dei treni così: “Gentili signori viaggiatori”, oggi, invece, si limita a dire: “Gentili clienti”. “Siamo diventati solo dei clienti, non solo per Trenitalia. Pier Paolo Pasolini aveva ragione quando parlava di edonismo consumistico”. Tutto è giustificato dalle logiche del consumismo. “I giornali ci sbattono in prima pagina l’opinione dei calciatori sui problemi attuali della società perché fanno vendere più copie, mentre vengono emarginate quelle dei poeti e degli scrittori”, dice. Ma non tutto è perduto, oggi grazie a internet tutti possono ritagliarsi il proprio spazio, tutti hanno l’opportunità di esprimere liberamente la popria opinione”. L’incontro è stato moderato da Gianluca Pitari, masnadiero della prima ora.


Da sinistra, Andrea Giannasi, Gianluca Pitari e Franco Dionesalvi

2 commenti:

domenico dragone ha detto...

ciao emilio,sono domenico..il mio ex suocero era di zagarie ( pudia giuseppe )croce al merito di guerra..non hà mai avuto la pensione di guerra..mi raccontava la sua prigionia, guerra in etiopiao..i soldati italiani venivano impalati
non c'è bisogno di dirti come...io sono andato da un distretto militare all'all'altro per poter fare avere la pensione che gli spettava di diritto.....avevo scritto a molti giornalisti, anche a indro montanelli...l'unico che mi hà risposto e hà pubblicato il dramma di una persona
distrutta sia nel morale che quello umano è stato il signor maurizio costanzo...allora dirigeva un giornale ( l'occhio ) ecco perchè mi permetto di dirti...vai avanti per la tua strada
per me sarai un bravo giornalista...che dire di un ritornello..vecchio scarpone quanto tempo è passato...o un altro che mi viene in mente che faceva più o meno cosi...o biondina capricciosa garibaldina..tu sei la stella di noi soldati...grazia emilio.mio suocero è morto non hà mai ricevuto la pensione di guerra

Anonimo ha detto...

è la realtà che mi circonda a farmi dire che anche in tempo di pace la realtà è così atroce che bisogna coprirla con una cortina di bugie(ahimè,lo dico con tanta amarezza)bellissimo questo articolo,commenterò dopo con più calma,in quanto affronta un tema a me molto caro,ciaoo a tutti,e ciao anche a te EMILIO.FRANCESCA!!