“Blocchiamo i conferimenti, però non possiamo
dire che sta uscendo, Antò non possiamo dire che sta uscendo”; quindi
aggiungeva: “l’unica possibilità è quella
di fare un’operazione stasera, Antonio, non vedo altre soluzioni”. “Lo so, ma il problema è … è troppo
rischioso, troppo, troppo”. È il 16 aprile 2011, gli interlocutori sono Loris Zerbin e Antonio Garruba, rispettivamente direttore tecnico e dipendente specializzato dell’Enertech srl, la società che gestisce la discarica di Alli. Poi decidono di bloccare
i conferimenti al fine di agire “in modo indisturbato”. Il rischio è il
percolato, la fuoriuscita del pericoloso liquame dalla discarica. Poi uscirà lo
stesso, il rifiuto “che andava trattato diversamente”. E così per giorni e
giorni. Almeno per “cinque giorni a settimana”, riferisce Giuseppe Borrelli, viceprocuratore di Catanzaro nel corso della
conferenza stampa, indetta questa mattina, presso il Comando provinciale dei
carabinieri, con all’ordine del giorno il sequestro dell’impianto, l’atto
secondo dell’inchiesta denominata: “Pecunia non olet” (il denaro non ha odore,
ndb).
Mentre scorrono
le immagini dell’operazione dei carabinieri di poche ore prima i procuratori
scherzano tra di loro. Sorridono, di un sorriso amaro. Borrelli chiede: “E’
spazzatura?” I giornalisti presenti annuiscono. E poi il procuratore capo, Antonio Vincenzo Lombardo, sibila: “Ma
è anche denaro”. Un’inchiesta che va avanti da anni. Avviata grazie alle
segnalazioni dei cittadini. Che annovera
un primo sequestro di un tubo da cui fuoriusciva percolato, che andava a finire
nel fiume Alli, operato in data 8 agosto 2010, a seguito dell’intervento dei carabinieri
di Simeri Crichi un mese prima. Un tubo sigillato. Ma il percolato trovava
sempre il modo per arrivare nel fiume, anche dal canale di guardia, quello
principale. E da qui al mare, distante un chilometro. “Un danno ambientale e
alla salute pubblica irreversibile e di entità eccezionale”, annota il gip (giudice
per le indagini preliminari) Abigail
Mellace, che ha accolto la richiesta del sostituto procuratore, Carlo Villani.
“Il grave
fenomeno dell’inquinamento dell’area, effettuata attraverso il versamento del
percolato all’interno del fiume, non costituisce un evento accidentale, ma
rientra nell’ambito di un preciso disegno criminoso, attuato consapevolmente
dai responsabili della società di gestione dell’impianto e posto in essere per
minimizzare i costi relativi alle operazioni di smaltimento e massimizzare i
profitti derivanti dai pagamenti posti in essere dall’Ufficio del Commissario
delegato, sui quali non viene pagato neanche un centesimo di tassa”, accusa il
pm. La battuta scappa al capo della Procura: “Non pagano le tasse, non la
gestiscono bene, ma si comprano le ville”. Il sequestro della discarica è l’atto
secondo. Il primo, come si ricorderà, riguarda il sequestro dei beni, motivato
dal novero di società messe in piedi per allontanare quella che doveva pagare e
volturare alla nuova solo la gestione e i
finanziamenti. Il gioco della Slia Spa,
di Enerambiente Spa e di Enertech
srl. Tutte facenti capo a Stefano Gavioli,
amministratore delegato, e Giovanni
Faggiano, amministratore unico. Adeguata la pungente ironia.
Una gestione
decisamente fuori le righe. Già in data 1 aprile 2008, il Noe, il nucleo operativo ecologico dei carabinieri, eseguiva un
sopralluogo “all’esito del quale evidenziavano molteplici irregolarità e “criticità”
nella gestione del servizio appaltato, all’epoca, alla società Enerambiente Spa”.
Un elenco che fa male. Il predicato nominale è sempre in negativo: non attivo. “La linea di trattamento /
recupero della cosiddetta “frazione verde””. “La linea di trattamento dei
rifiuti provenienti da raccolta differenziata”. “La linea di trattamento RSU ed
assimilabili indifferenziati, sebbene fosse, stata attiva, presentava
gravissime carenze”. “L’impianto per il trattamento del percolato”. “La discarica
veniva inficiata nella sua volumetria per eccessivo conferimento di rifiuto “tal
quale””. I camion arrivavano e andavano a scaricare senza nessun trattamento nella
buca. La buca della vergogna. Nel bel mezzo della località Cucullera fu Nobile di Catanzaro, al confine con
il territorio di Simeri Crichi. Il percolato viene appurato dall’Arpacal, Agenzia
di protezione ambientale della Calabria e i carabinieri, ad un certo punto, ci
hanno piazzato le telecamere per documentare lo scempio. Emblematica, anzi irridente, a quest’andazzo, che perdura da anni, la risposta di Antonio
Garruba alle perplessità dei militari lo scorso 18 aprile: “Non è il
percolato della discarica ma proviene dai compattatori in sosta da ore sul
ponte”. Della serie: non c’è più cieco di chi non vuole vedere. Non vuole. Cioè:
decide di non volere perché sa.
Antonio Garruba, Loris Zerbin e Stefano Gavioli, amministratore delegato dell’Enertech srl, sono indagati per “immissione dolosa nelle acque superficiali o sotterranee del fiume Alli di
rifiuti liquidi costituiti da percolato di discarica” Il gip ha nominato quali
custodi giudiziari Roberto Arcadia e Patrizia Cudoni, e non è escluso il
supporto, in fase esecutiva, anche di un altro tecnico specialista in
ingegneria ambientale.
Alli, non più nobile. Peggio, Allipercolato.
18 aprile 2011
25 giugno 2010
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