10 novembre 2011

La speranza di Emma Leone

Il quadro di Maurizio Carnevali

A vederla, così minuta e costretta sulla sedia a rotelle, non ti aspetti quanto sia rivoluzionaria. A modo suo. Chiunque, se lo è, lo è a modo suo. Ma il suo modo è “differente”. Un concetto che le piace molto. Dà poco credito, invece, ad altre parole, come handicappato, diversamente abile, disabile. “Bisogna andare al di là di esse, al loro significato”, dice. Differente, come ognuno lo è nei confronti degli altri. È questa la ricchezza. Ogni persona è unica e irripetibile. Basta riconoscerlo e riconoscersi, “per non avere paura dell’altro. L’altro, oggi – spiega – viene valutato come un invasore, che si appropria di qualcosa che ci appartiene, come un oggetto da conquistare”. Accanto all’altro lei cita la speranza. Sono queste le parole che le stanno più a cuore. La speranza di vivere la propria vita nel rispetto del dono ricevuto. Emma Leone, 56 anni, orgogliosa cofondatrice del Progetto Sud. Un’associazione di disabili che vive in una comunità, in Calabria, a Lamezia Terme. Sud per “non essere deportati in Istituti del Nord”.
È da più di 35 anni che lotta con e per la sua malattia. La prima riflessione che qualcosa non va nella considerazione che si aveva del mondo dei disabili la fa a 17 anni. Si trova a Pisa per una visita accurata sulla patologia che aveva colpito lei e i suoi fratelli. Arriva un giornalista. Non sapeva. Non pensava quanto potesse interessare all’opinione pubblica. Il cronista li fotografa. Una settimana più tardi il padre va a comprare del pesce. Il commerciante lo avvolge in una pagina di giornale. Ritorna a casa. C’erano le loro foto. Un colpo al cuore. “Non mi piace quando si vuole sbattere il mostro in prima pagina”. Questo episodio le fa capire “che le battaglie non si fanno in questo modo”. C’era qualcosa di fondo che non andava nell’immaginario collettivo. Anzi, non c’era. L’handicappato vuole dare e non solo ricevere. Sentirsi utile. Conosce don Giacomo Panizza e altri. Il 20 ottobre 1976 fondano Progetto Sud. Venti persone che decidono di rimboccarsi le maniche per i loro diritti. La terapia riabilitativa non faceva parte integrante del Welfare State di allora. Se la dovevano pagare da soli. “Ma è un diritto”, urlano. Occupano la sede dell’Asl di Lamezia Terme. I dipendenti chiamano la polizia. Sono momenti concitati e difficili. Davvero sono considerati dei “rivoluzionari”. Eppure, a loro modo, lo sono. Pionieri dei diritti dei disabili. Il loro ultimo progetto si chiama “R-Evolution legalità”. Ecco, allora, il vero significato. Un’evoluzione al sistema di pensare di un mondo sordo e ceco. La vera rivoluzione. Interviene il prefetto di Catanzaro. L’organo di governo territoriale capisce che hanno ragione. E blocca le forze dell’Ordine. Dal Progetto Sud vantano anche la prima legge a livello regionale del riconoscimento dei diritti dei disabili. È il 1983. Battaglie e conquiste. Oggi la nozione delle strutture senza barriere architettoniche è di dominio pubblico, oltre che un obbligo per gli uffici statali. È un’idea, un concetto. Una conquista, figlia della rivoluzione di chi ci ha creduto.
Vanno in giro per l’Italia. Hanno bisogno di soldi per pagarsi la terapia e per ristrutturare l’asilo abbandonato in via Conforti a Lamezia, dove risiedono. Vendono le loro opere. Quadri, bomboniere, rivestimenti in rame per caminetti e altari. Lavori che potevano essere realizzati comodamente da seduti. E loro lo sono. La maggior parte. Di necessità virtù. La virtù li premia. A loro fianco c’è Maurizio Carnevali, pittore e scultore lametino di respiro internazionale. Lui disegna e loro trasportano sul rame i suoi capolavori. Vanno avanti. È già un successo.
Lei, poi, in fatto di battaglie civili, non si tira indietro nemmeno contro la base degli F16, i cacciabombardieri americani che la Nato voleva costruire a Crotone. “Allora ero più agile nei movimenti”, ripercorre.
R-Evolutione e legalità. Contro la ‘ndrangheta. L’Amministrazione comunale, di concerto con gli organi di governo, assegna alla comunità un bene confiscato alla mafia. A qualcuno non va giù. Nella piovosa notte tra il 3 il 4 novembre 2009 vengono manomessi i freni di alcune auto che utilizzano quotidianamente. Gli bucano anche l’airbag. Per essere sicuri di far male. Con un significato recondito. Si sono spinti troppo in avanti. E dovevano fermarsi. La mattina un ragazzo mette in moto ma riesce miracolosamente ad evitare la tragedia. Emma non ne vuole fare una battaglia ideologica. Vuole parlarne. Confrontarsi. Organizza un convegno “propositivo”. Invita le autorità civili e religiose. E una mamma coraggio, Angela Donato, che ha perso un figlio vittima della lupara bianca. E' presente anche l’artista e gli dice di fare un disegno facendosi ispirare dalla manifestazione. Carnevali sta lì che ascolta. E quando parla la signora Donato s’illumina. Ne nasce una gerbera gialla che un adolescente, dalle fattezze di un angelo, porge solennemente ad una mamma in dolce attesa e con un bambino in grembo. Sullo sfondo, in alto, la comunità che assiste alla scena. È la risposta del Progetto Sud alla violenza. Sonoro come uno schiaffo. Una R-Evoluzione dal basso. Dall’io verso l’altro. 

2 commenti:

claudio ha detto...

ogni tanto una goccia di speranza

Anonimo ha detto...

una goccia in mezzo al mare cosa può cambiare?

mi viene in mente lo squalo, che in tale quadro rappresenta il cattivo, e la misera goccia la loro loro lotta, Una goccia di sangue, che lo squalo fiuta a km di distanza e poi arriva a controllare la preda. Se ne vale la pena la mangia e addio.
IN poche parole fino a quando non romperanno le scatole più di tanto li lasceranno lottare, poi se esagereranno addio