Il feretro di Vittorio de Seta nella Chiesa del SS Rosario di Sellia Marina
Quando Michele viene accusato di abigeato, di associazione a
delinquere e di aver ucciso un carabiniere, non ha dubbi su cosa fare. Non abbandonare
il suo gregge anche se questo gli costa la latitanza . E onorare il debito dell’ingaggio.
Per lui era come riscattare la condizione del padre, che non aveva mai avuto la
fortuna di avere un gregge tutto suo e che aveva perso la vita tra le montagne mentre
era alla ricerca di una pecora che si era smarrita. Cade da un precipizio e muore.
Il figlio, ancora bambino, se ne accorge quando ormai era troppo tardi. Da grande
non ha dubbi, Michele. Difendere, a costo della sua stessa libertà, ciò che è suo.
Riscatto e amore. Dono e vita.
Così Vittorio de Seta, non ha mai abbandonato i suoi
gioielli, i figli e i suoi lavori. Rinunciando anche alla sua vita. Le pecorelle
smarrite le ha sempre difese dinnanzi a tutti. Con un filo di religiosa
rassegnazione. Con un velo di profonda tristezza. E con un atto di luminosa
speranza le ha tenute per mano. Educate e coccolate. Con gli orbi non ha mai
reagito con la forza. Non perché non ne avesse, ma perché aveva timore che si
facessero male le sue creature. Vittorio de Seta è morto. Non è diventato
bandito come Michele. È morto come una delle pecorelle del film da lui diretto:
Banditi ad Orgosolo.
È morto di notte. Su una roccia arida e gelida. Da solo. Vittima
e carnefice di se stesso. Vittima, come nel documentario, perché alla ricerca
forsennata della via di fuga dagli inseguitori e spinto dalla volontà di trovare la
pace nella normalità della vita che solo la conquista della libertà poteva
garantirgli. Figlio illegittimo del padre, ha sempre inseguito quel tepore
familiare che fin dalla nascita non lo ha mai riscaldato abbastanza. Carnefice perché
non ha dosato le energie. Il suo mentore, nonché pastore, credeva che ce l’avrebbe
fatta. Gli mancava tanto così per raggiungere la pianura della terra promessa. Le
sue gambe hanno ceduto. È caduto in piedi. Salvaguardando i suoi gioielli fino all’ultimo respiro. La pianura è ancora a valle.
Da solo è morto, Vittorio de Seta. Da solo ha combattuto
contro avvocati senza scrupoli e usurai di professione. Quando uscì il suo
ultimo film: Lettere dal Sahara nel 2005, davanti al giudice dei pignoramenti avverso
i suoi beni, rovesciò sul tavolo i compensi dell’opera. Lui, ricco e di
famiglia nobile, era sul lastrico. Per il suo gregge non ha badato a spese. Tutto
ha consumato. Tutto il suo avere e il suo essere. Non ha mai denunciato nessuno.
Non voleva che lo Stato si occupasse di lui. Era romanticamente convinto che solo
lui dovesse raddrizzare la sua esistenza. La sua libertà dagli altri e per se stesso. Lo Stato gli sembrava
freddo e calato dall’alto. E soprattutto non collimante con la realtà. Si sentiva già in
debito con essa. Un uomo a metà. Un estraneo nella sua famiglia. Un uomo a metà
è anche il titolo di un altro suo film. Tutte le sue opere danno voce a questa sofferenza
ancestrale. Il prezzo che ha dovuto pagare per l’arte. Perché l’arte riflettesse
e generasse sublimazione. Un’interpretazione che la ribalta e la riscatta.
C’è riuscito con Banditi ad Orgosolo, suscitando l’interesse
nazionale e internazionale intorno a questo paesino dell’arida Sardegna, ma non
nella sua casa di Sellia Marina. Una spina nel fianco che lo ha consumato nell’interiorità.
Ma che è stata anche genitrice di una sensibilità senza eguali. Verso gli ultimi.
I contadini. I pastori. I briganti. I banditi. Verso l’io.
Non ha mai pensato che la violenza potesse generare qualcosa
di simile all'uomo e alla sua libertà. L’ha sempre respinta. Ha, al contrario, assunto le sembianze degli
altri. Soffrendo in loro luogo la disperazione dell’esistenza per riscattarli
con l’arte.
E’ morto come le sue pecore che voleva portare alla
salvezza. “Era destino” dice Michele al fratello Giuseppe dinnanzi allo sterminio.
E se ne va.
Ma a ben vedere non è morto del tutto. Il pastore regista
che è lui continua la religiosa conquista della verità dell'esistenza grazie ai suoi veri
gioielli che risplendono sempre di luce nuova. Come l'arte che esula dai limiti temporali. I suoi film.
Al funerale di oggi c’erano il sindaco e qualche altro
esponente dell’Amministrazione comunale. Comunque scarsa la partecipazione delle poltrone istituzionali per la perdita dell'ultimo gigante del cinema italiano. Su questo, forse, Vittorio non avrebbe avuto da ridire.
D’altronde, la solitudine è sempre stata la sua croce e la sua delizia. Mancava,
però, la comunità. Quella sì. È mancata. Quella selliese. Quella calabrese e
italiana. Quella che ha raccontato.
Non abbiamo da disperare. La pianura è a valle. Sarà sempre
lui a guidarci, se lo vorremo.
12 commenti:
emilio...pura poesia; sei riuscito a rendere bene la solitudine di un artista troppo avanti rispetto al suo tempo. L'unica speranza è che morti i poeti rimangono le loro poesie come dono per l'umanità.
grazie, mi ha emozionato
Sono un alessandrino, un "compaesano" del Maestro, ho saputo troppo tardi della sua scomparsa. Grazie per questo bell'articolo
è morto un vero" MAESTRO" mi ricordo quando mi parlavi di questa persona , dei tuoi incontri con lui non da giornalista ma da persona amica , grazie a te anche Giulia lo ha conosciuto, è vero è venuto a mancare un Grande.
grazie Emilio
Bello Emilio. Capisco che avevi con lui un rapporto personale. Merita molto questo tuo scritto
Caro Emilio, qualche anno fa mi trovai a Noto, in Sicilia, per lavoro (e per piacere). La sera uscimmo per le strade (bellissime) di quel paese. Mi sono imbattuto in una importante mostra_evento su Vittorio De Seta con proiezioni,ospiti illustri e un folto pubblico "di livello". Passai la serata apprendendo tanto sull'opera del maestro, vergognandomi un pò di non conoscere abbastanza un Gigante che viveva a due passi da casa mia. Adesso ho letto le tue belle parole e ho di nuovo la stessa sensazione di vergogna di quella occasione...però ti ringrazio lo stesso.
Che Dio lo abbia in Gloria.
[Carlo B.__Sersale]
Sono uno di quei pochi presente al funerale del Sig. De Seta. Anche io da non "Selliese" ho notato la poca partecipazione della comunità. Non capisco questa assenza, ma forse LUI era contento così, in un giorno così importante per LUI, avere un codazzo di PECORONI, credo non sarebbe stato contento. Meglio pochi. In un altro contesto e per un altro articolo di Emilio, io , ebbi a dire PIU' CONOSCO I SELLIESI MENO SONO CONTENTO DI CONOSCERLI. ciao vITTORIO
....sono tempi selvaggi...adatti a individui brutali, presuntuosi.....non era più il suo tempo....
carissimo emilio,
manca solo una cosa nel tuo bellissimo articolo:
il link per leggere l'intervista che gli facesti qualche anno fa.
Tu sei stato l'ultimo (se non sbaglio) al quale ha concesso un'intervista!
sono riuscito a trovare il link:
http://emiliogrimaldi.blogspot.com/2009/12/la-maieutica-del-cinema-secondo.html
gentile anonimo,
non sono stato l'ultimo a cui ha concesso un'intervista. L'ultima, credo, ad alcuni colleghi di Bologna lo scorso 10 maggio sul mondo dell'inconscio di Federico Fellini.
Approfitto per dire che questo pezzo mi è costato molto più degli altri. L'ho scritto aggiungendo un po' di rosso al blu dell'inchiostro.
Cordialità
no, ha consesso altre interviste anche durante questa estate..
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