8 dicembre 2013

Il "gioco" di don Roberto. Intervista esclusiva a Giovanni Lopez, perito del Tribunale

Belcastro, la Chiesa della Madonna della Pietà. A lato la canonica

“Se c’è una risposta della giustizia, veloce, congrua e che non espone i ragazzi allo stress dell’iter giudiziari; se la comunità stigmatizza questi episodi; se i media non li divulgano in maniera sensazionalistica e scandalistica; allora, si creano una serie di fattori di protezione esterna che aiuta molto i ragazzi a superare l’impatto con questo tipo di eventi.” A parlare è Giovanni Lopez, il perito incaricato dal Tribunale di condurre le interviste dei 17 ragazzini, presunte vittime di abusi sessuali da parte di don Roberto Mastro, ex parroco di Belcastro, in provincia di Catanzaro. Che annota: “L’aspetto che colpiva di più era costatare che non ci si trovava davanti ad un caso di vittimizzazione coercitiva, dove un adulto aveva in qualche modo costretto dei minori a subire con violenza e contro la loro volontà degli atti sessuali, ma era una situazione in cui la tipica curiosità ed ingenuità  preadolescenziale, il desiderio di gioco, la possibilità di trarre dei vantaggi secondari nel rapporto con l’abusante, spingeva i ragazzi stessi ad avvicinarsi alla situazione di abuso.” Un incidente probatorio con pochi precedenti nella storia giudiziaria italiana, che ha costretto gli organi inquirenti a prendere molte precauzioni per garantire la correttezza della loro testimonianza.


Dottor Lopez, lei è il responsabile dell’equipe medica nominata dal Tribunale che ha valutato l’attendibilità dei ragazzini presunte vittime di abusi sessuali da parte dell’ex parroco di  Belcastro, don Roberto Mastro.
Per l’esattezza sono psicologo-psicoterapeuta ed opero come psicologo clinico e forense presso “La Casa di Nilla”, il Centro specialistico della Regione Calabria per la cura e la protezione di bambini ed adolescenti. Il Centro viene sovente utilizzato dall’Autorità Giudiziaria per l’ascolto testimoniale di minori presunte vittime di abusi sessuali o maltrattamenti. Nel caso in questione sono stato incaricato di condurre le interviste testimoniali dei ragazzini in qualità di esperto in psicologia della testimonianza infantile. L’ascolto non era quindi finalizzato alla valutazione dell’attendibilità testimoniale dei ragazzi, valutazione che pertiene esclusivamente all’Autorità giudiziaria, ma al loro ascolto in forma protetta trattandosi di minori.

Una precisazione doverosa, la sua. Quale metodo o strategia è stato usato per valutare la correttezza dell’ascolto?
Abbiamo raccolto le testimonianze di questi ragazzi in sede di incidente probatorio nella forma dell’audizione protetta. L’audizione protetta consente di acquisire in contraddittorio la testimonianza del minore senza esporlo all’impatto diretto con la macchina giudiziaria e dunque alla cosiddetta “vittimizzazione secondaria”, ovvero quella quota di stress emotivo insita nella partecipazione all’attività testimoniale, che inevitabilmente comporterebbe il trovarsi in una sede giudiziaria al cospetto di un giudice e di avvocati che interrogano e controinterrogano, in un ambiente che non è strutturato sulle esigenze emotive del minore ma pensato per le esigenze giudiziarie. Infatti il luogo dell’ascolto è un cosiddetto “spazio-neutro” di cui La Casa di Nilla è dotata. Si tratta di una stanza appositamente attrezzata per essere messa in contatto audio-video unidirezionale con un’altra da dove l’Autorità giudiziaria e le parti seguono l’incidente probatorio. Inoltre, l’intervista testimoniale è condotta da un esperto in psicologia che rimane da solo con il minore, al fine di supportarlo emotivamente durante l’attività ed al contempo favorirne la testimonianza con modalità non induttive o suggestive, ovvero senza condizionamenti di sorta.  È quindi lo stesso esperto che, dopo aver condotto un ascolto libero del minore attraverso un apposito protocollo di intervista testimoniale, media le domande dell’AG e delle parti. Questo esperto, inoltre, non è a conoscenza degli atti di modo da non avere nozioni dei fatti o ipotesi precostituite che rischierebbero di indirizzare in un senso o in un altro l’oggetto dell’ascolto. Tutto ciò è in linea con gli accordi internazionali stipulati nella Convenzione di Lanzarote e con le più aggiornate linee guida in materia di ascolto testimoniale di minori.
In questo caso l’audizione ha dovuto tenere conto di un secondo fattore, ovvero che le presunte vittime, e dunque testimoni, erano una moltitudine di minori. Ciò, se non opportunamente gestito in fase testimoniale, comporta un rischio noto in letteratura come “contaminazioni a reticolo”, ovvero la possibilità che i testimoni, se si trovano tutti nello stesso luogo e hanno la possibilità di parlare tra di loro, finiscono per influenzarsi reciprocamente scambiandosi ricordi, esperienze e valutazioni di queste esperienze, finendo per contaminare impropriamente la propria testimonianza.  Per cui si rischia che qualcuno non testimoni più la propria esperienza ma riporti una sorta di mix dei ricordi e delle esperienze di gruppo facendole proprie. Per evitare questo sono state prese delle precauzioni. Una è stata lo scaglionamento dei testimoni in orari differenziati ed attigui. Dunque, non si è proceduto come di solito avviene in Tribunale dove tutti vengono convocati nello stesso luogo e alla stessa ora con la possibilità di influenzarsi reciprocamente. Ogni ragazzo è arrivato da solo ed è stato ascoltato senza avere la possibilità di contatti con gli altri.
Procedere con una metodologia accurata in casi così complessi è quindi un elemento di garanzia sia per la tutela emotiva del minore sia per l’acquisizione di una buona testimonianza.

Che cosa l’ha colpita di più dell’ascolto di questi ragazzi?
L’aspetto che colpiva di più era costatare che non ci si trovava davanti ad un caso di vittimizzazione coercitiva, dove un adulto aveva in qualche modo costretto dei minori a subire con violenza e contro la loro volontà degli atti sessuali, ma era una situazione in cui la tipica curiosità ed ingenuità  preadolescenziale, il desiderio di gioco, la possibilità di trarre dei vantaggi secondari nel rapporto con l’abusante, spingeva i ragazzi stessi ad avvicinarsi alla situazione di abuso. Il tutto veniva vissuto come una sorta di gioco di gruppo in cui si vive la condivisione e dunque l’attenuazione del senso di responsabilità, sebbene il tutto avvenisse in un contesto fortemente anomalo, che poi causava anche vissuti di fastidio e di disturbo nei ragazzi. A tal proposito non è da trascurare che oltre alla dimensione sessuale erano presenti alcuni elementi di violenza fisica.

Quali le conseguenze dal punto di vista emotivo e in generale della crescita di questi ragazzi? Quali le risposte che la psicologia infantile può dare loro?
Le risposte a questo genere di eventi sono molto soggettive nei ragazzi. Non esiste una reazione tipica, uguale per tutte le vittime minori di molestie sessuali. I fattori che influenzano le risposte a questo dipendono sia da qualità interne al ragazzo sia da elementi esterni. Per esempio: se il ragazzo quando racconta si sente ascoltato e creduto e se dopo essere stato creduto gli adulti di riferimento fanno degli interventi per far cessare le molestie; se c’è una risposta della giustizia, veloce, congrua e che non espone i ragazzi allo stress dell’iter giudiziario attraverso ascolti ripetuti e non opportunamente condotti; se la comunità stigmatizza questi episodi; se i media non li divulgano in maniera sensazionalistica e scandalistica; allora si creano una serie di fattori di protezione esterna che aiuta molto i ragazzi a superare l’impatto con questo tipo di eventi. Poi, come dicevo, ci sono anche dei fattori interni: la forza emotiva del ragazzo, la sua capacità di chiedere e accogliere aiuto, il non attribuirsi colpe dell’accaduto, l’avere interessi e relazioni che lo valorizzino. Tutti questi fattori favoriscono la capacità di resilienza del ragazzo, ovvero la sua capacità di affrontare gli eventi negativi della vita senza riportane traumatizzazioni di lungo termine.  Poi, è chiaro che c’è da spettarsi che in un numero così cospicuo di presunte vittime qualcuno possa aver avuto dei risentimenti emotivi, cioè possa aver sviluppato sintomi reattivi, di solito a carattere ansioso, che si possono manifestare come disturbi del sonno, per esempio incubi; ritiro sociale; sviluppo di idee distorte sulla propria sessualità ed identità sessuale; aggressività; sintomi depressivi, ecc.. A questo punto, quando i genitori o altri adulti di riferimento, osservano risposte in senso psicopatologico del figlio è bene ricorrere ad un aiuto specialistico che possa supportare il ragazzo nell’elaborazione e nel superamento di questi vissuti. Anche i genitori possono essere supportati, attraverso tecniche psicoeducazionali, ad aiutare il figlio a non sentirsi colpevolizzato, a sentirsi ascoltato e compreso ed a sviluppare la propria sessualità in senso adattivo, superando l’esperienza negativa.

Come ha trovato le famiglie di queste ragazzi: disponibili a collaborare con la giustizia oppure bloccate da resistenze di ordine sociale o culturale?
Onestamente non ho cognizione di questo. Ciò che senz’altro si è potuto constatare è che le famiglie coinvolte hanno supportato i figli nel partecipare all’attività giudiziaria, il che significa che hanno creduto ai figli quando hanno raccontato l’accaduto, si sono preoccupati per loro e hanno messo in atto delle strategie di prevenzione secondaria del fenomeno. Cioè: hanno evitato che si continuasse a perpetrare la situazione di molestia sessuale a danno dei figli di cui erano venuti a conoscenza.

Cosa pensa di don Roberto?
Non posso pensare nulla di lui perché non lo conosco. Ciò che posso dire è quello che penso del fenomeno delle molestie sessuali che gli adulti compiono nei confronti di ragazzini. A tal proposito bisogna considerare che nella sfera dei comportamenti umani possono rientrare delle patologie e tra queste ci sono dei disturbi della sfera della sessualità che purtroppo si possono manifestare in maniera impropria nei confronti di minorenni. Il minorenne spesso non ha quell’esperienza e quella capacità di codifica del comportamento dell’adulto tale da discernere se questo comportamento è appropriato o inappropriato. Spesso quando ad agire delle molestie sessuali è un adulto investito di autorevolezza ed autorità, quale può essere un insegnante, un parroco, un genitore, o altra figura autorevole e significativa nella vita familiare o sociale del ragazzo, questi non si aspetta che quei comportamenti possano essere illeciti o inappropriati, ma in quel momento li può considerare comportamenti adulti e dunque “utili”. Questo è un fattore che favorisce la vittimizzazione senza che il bambino o il ragazzo si renda conto di essere incappato in una situazione di molestie. Tuttavia, quando i bambini imbattono con fenomeni del genere ne possono poi manifestare dei segnali. Possono cominciare, per esempio, a parlare di argomenti a sfondo sessuale di cui prima non parlavano, possono fare dei commenti su questi temi che prima non facevano, possono iniziare a mostrare curiosità sessuali anomale. Ecco, qui è importante che il genitore sappia tenere, per così dire, le orecchie tese e aprire il canale dell’ascolto al figlio per farsene raccontare le esperienze e cercare di capire se questi cambiamenti o modi di comportarsi nascono da situazioni normali oppure se sono frutto di esperienze disfunzionali. Il genitore, inoltre, non deve mai lasciarsi solo, ma nei casi di dubbio ricorrere al parere di esperti e se il caso all’Autorità giudiziaria.

Grazie.
A lei.

1 commento:

Anonimo ha detto...

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