Dimitrov Baltov Zdravko
Quattro
anni di indagini non sono bastati alla Procura di Catanzaro per sapere “chi
abbia redatto le due consulenze pediatriche” e “chi abbia prescritto la terapia
farmacologica al paziente”. È il resoconto, sconcertante, stilato dal gip
(giudice per le indagini preliminari) Pietro
Scuteri che nei giorni scorsi si è espresso in merito all’opposizione - presentata
dall’avvocato Pierfrancesco Granata,
legale della famiglia di Dimitrov Baltov
Zdravko, di soli 13 anni - alla richiesta di archiviazione proposta dal
pubblico ministero per i 25 sanitari indagati per la morte del piccolo deceduto
all’ospedale di Catanzaro il 16 ottobre 2010.
E rimanda gli atti alla Procura per approfondire. Nel contempo dispone l’archiviazione
di 23, tra medici, e infermieri, lasciando in piedi le posizioni d’accusa nei
confronti di Stellario Capillo ed Aurelio Mazzei, verosimilmente
chirurghi pediatri del nosocomio calabrese.
Il ragazzino, di origini bulgare, venne trasportato d’urgenza in ospedale dalla scuola di Sellia Marina a causa di un fortissimo dolore addominale. Visite, radiografie, ed analisi non riuscirono a stabilire che stava subendo un’occlusione intestinale di vitale importanza. Fu dimesso, invece, con l’accorato consiglio del personale sanitario ai familiari di alimentarlo con “frutta e verdura” perché sospettavano “un’indigestione” e con la prescrizione dell’Onligol, uno dei lassativi maggiormente diffusi sul mercato. La notte in bianco e torturata da spasimi lancinanti costrinsero i familiari a ritornare a Catanzaro dopo meno di 24 ore. Questa volta i medici non ebbero dubbi a riconoscerlo come “codice rosso”, a differenza del primo ricovero quando si limitarono ad uno sbiadito “giallo”, in riferimento al rischio di perdere la vita. E uno, forse due, interventi chirurgici non furono sufficienti a salvarlo. Morì la mattina del giorno seguente, il 16 ottobre.
Il ragazzino, di origini bulgare, venne trasportato d’urgenza in ospedale dalla scuola di Sellia Marina a causa di un fortissimo dolore addominale. Visite, radiografie, ed analisi non riuscirono a stabilire che stava subendo un’occlusione intestinale di vitale importanza. Fu dimesso, invece, con l’accorato consiglio del personale sanitario ai familiari di alimentarlo con “frutta e verdura” perché sospettavano “un’indigestione” e con la prescrizione dell’Onligol, uno dei lassativi maggiormente diffusi sul mercato. La notte in bianco e torturata da spasimi lancinanti costrinsero i familiari a ritornare a Catanzaro dopo meno di 24 ore. Questa volta i medici non ebbero dubbi a riconoscerlo come “codice rosso”, a differenza del primo ricovero quando si limitarono ad uno sbiadito “giallo”, in riferimento al rischio di perdere la vita. E uno, forse due, interventi chirurgici non furono sufficienti a salvarlo. Morì la mattina del giorno seguente, il 16 ottobre.
Probabilmente
fu proprio l’Onligol il bandolo della matassa in capo alla responsabilità
medica dei sanitari, il lassativo e tutto ciò che esso comportò: la mancata
individuazione dell’esatta diagnosi di
occlusione intestinale da parte dei medici e la probabile complicazione delle
condizioni del piccolo. Al momento non è dato sapere chi lo abbia prescritto e
come mai. Il gip, proprio perché vuole fare piena luce sul caso, ha richiesto “un
approfondimento investigativo anche attraverso la richiesta di chiarimenti al
consulente tecnico del Pm”, Giulio di
Mizio. Lo stesso che giudicò il comportamento del personale sanitario come “corretto
ed adeguato”. Dunque…
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