Da story Vi racconto una storia. Non dategli molto peso. Nemmeno io gliene do. Il tizio che me l’ha detta era un po’ brillo quella sera e, a giudicare dalle cose che mi ha riferito, bisogna essere degli ingenui a dargli credito totalmente. Ad ogni modo qualche briciolo di verità ci sarà pure. Forse amplificato dal timore che si ha verso le persone coinvolte. Forse. Per non mettere in difficoltà chicchessia non farò né i nomi di questi personaggi e né dei posti da loro frequentati. Mi limiterò ad attribuire solo il ruolo che occupavano nella società. Occupavano, perché oggi non saprei davvero se svolgono le stesse mansioni. Totò Riina, vestito da prete, fu accompagnato negli anni ’90 a casa degli Arena in macchina da un potente avvocato penalista e da un procuratore della Repubblica. Conciato così nessuno lo avrebbe riconosciuto e con l’autorevole compagnia affianco sarebbe riuscito a sfuggire facilmente i controlli. L’avvocato e il procuratore erano amici già da allora. E con il passare del tempo la loro amicizia s’intensificò. Fecero anche affari insieme. Tanto che il procuratore divenne il cavallo di Troia della ‘ndrangheta nella Giustizia, quella che decide chi deve stare dentro e chi deve uscire. Tanto, ancora, che l’avvocato fece molta strada nella piramide della Provincia, come viene chiamata in certi ambienti la malavita calabrese. Non si direbbe, ma sembra sia inserito organicamente in una cosca vera e propria, presente sia nel vecchio mondo che nel nuovo. Perdonate il linguaggio arcaico. Quelli ancora parlano così. Il nuovo è la Colombia. Non tanto gli Usa. La Colombia della droga bianca. L’avvocato negli anni a seguire spalmò il suo potere su ogni livello. Anche dei Servizi segreti. In un blitz della polizia a una riunione di ‘ndrangheta fu avvertito un attimo prima. E per salvarsi le chiappe non disse niente a nessuno, si alzò e se ne andò. Gli altri, invece, furono tutti identificati. Dalla sua scuola uscì un bravissimo procuratore. Un genio, a detta dei suoi colleghi. Ma, come accade, anche i talenti possono bruciarsi. Furono le sue debolezze a buttarlo giù. La coca e le belle donne. Che sapeva come procurarsi. Anche nel Palazzo. Aveva fatto amicizia con un altro avvocato che aveva capito subito come dimostrargliela. E le indagini della magistratura obbedivano alla volontà degli uomini valorosi. Fra loro si era stabilita una certa affinità. Uno dava all’altro e l’altro ricambiava come poteva. Senza scambio di denari. Solo di favori. Nessuno avrebbe avuto niente da ridire. Tutto filava liscio. Ad un certo punto il procuratore si scottò di brutto. E compromise per sempre la sua fisionomia. Alla lobby dell’avvocato si accodarono anche altri, colleghi e procuratori. Una risma di tutto rispetto. Con villa al mare d’ordinanza. Uno non è l’uomo che dice di essere se non ha una villa al mare. Tutti quelli che contano ce l’hanno. Una villa e qualche valigetta per le emergenze. Destinazione: Svizzera o Lussemburgo. I paesi pieni zeppi di soldi sporchi della punta dello Stivale italiano. Vi risparmio gli altri particolari. Ricordate solo che si tratta di un racconto. Che trae ispirazione dalle reminiscenze di un signore di una certa età forse dedito all’alcol. Forse. |
11 agosto 2010
Da quella volta in macchina con Totò Riina...
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2 commenti:
fin dai tempi dei romani fra un banchetto e altro si continuava a bere....il Dio Bacco faceva il resto.
Perchè fra un bicchiere e l'altro s'inizia a parlare o straparlare,e la vertità viene a galla....perchè non credere a questo"brillo"?.
c'è chi beve e chi tira di coca.....mi viene in mente un servizio delle iene e la coca che circola nel palazzo.....anche se non fosse vero è sempre un bel racconto.
sarà dedito all'alcol, ma la mente non è ancora annebbiata...........
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