1 ottobre 2011

Il golpe bianco di facebook


Che Facebook sia ormai la Piazza di paese del terzo millennio, dove ci si conosce e ci si allontana, ci si sposa e ci si divorzia, dove si caricano le foto e si sputtanano le persone, dove si scambiano le proprie opinioni e denunciano le beghe di quartiere, lo sapevamo. Ma scordatevi che possa diventare un focolaio ideologico o rivoluzionario, e nemmeno una tavola rotonda dove confrontarsi sulla libera informazione e sui diritti. Questo era possibile nelle piazze tradizionali. Barretto all’aperto, barbiere con vista all’esterno, qualche albero, e soprattutto delle panchine. Su quella virtuale hanno messo degli steccati. Non si vedono, ma ci sono.
Le ultime modifiche ad uno dei social network più cliccati al mondo sono un golpe bianco. Non è morto nessuno. E non morirà nessuno, per carità. Ma non si sentirà, per esempio, più nessuno urlare la propria rabbia contro il potente di turno. O meglio, lo potrà fare, ma lo potranno sentire solo i suoi amici “più stretti”, i suoi “conoscenti” o quelli dell’area inerente al proprio lavoro o città natale o di residenza. Gli altri, quelli per i quali uno va in piazza ad urlare, non sono più visibili. C’è un muro. Se prima una notizia, una notizia cliccata sul social network, in luogo dell’assenza sui canali tradizionali, si faceva strada grazie al numero di apprezzamenti o di commenti, ora non è più possibile: ribatte contro il muro di gomma di quelli più stretti e ritorna in indietro nel proprio recinto. Si cucina nel suo brodo. Una rivoluzione bianca. Alla griglia “verticale”, di visibilità dei link e delle notizie, secondo un ordine rigorosamente cronologico, i gestori di Facebook hanno sostituito quella “orizzontale”, che lascia il tempo che trova. Un taglio senza spargimento di sangue. Sottile e profondo, sicuramente studiato a tavolino. Che taglia le cime più alte. Orizzontale.
Prima delle recenti modifiche un account condivideva un link o scriveva un post, che poteva concernere il discorso sui massimi sistemi o l’ultima ricetta di cucina indiana. Apprezzamenti e commenti  lo facevano viaggiare sul web. Da un lato all’altro del pianeta, proporzionalmente alla cerchia degli amici, certo. Di tutti, però. Indistintamente. Un viaggio guidato da una catena che tirava, da amico ad amico. Lungo le Alpi, i Pirenei e gli Urali. Una voce che girava. Grazie alla verticalizzazione dei filtri facebookiani che poggiavano sul popolo. Su una concezione populistica e meritocratica delle notizie, efficacemente parallela a quella dei canali salottieri delle buone famiglie. Ora, invece, non è più così. Ora ci sono solo quelli “più stretti” e “i conoscenti”. Anche adesso si possono commentare e apprezzare, per onor di cronaca, ma sono condannati a rimbalzare sul muro di gomma dello steccato nel bel mezzo della piazza. Ciascuno con i propri recinti familiari. E a tornare indietro. Una rivoluzione bianca.
Un’immagine ci può aiutare a capire meglio la trasformazione operata sulla piazza più grande del mondo. Avete presente una gara di Formula Uno? Bene. È come partecipare con il motore che si ferma a 100 chilometri all’ora. Che, anche volendo, viene bloccato prima a non andare oltre. Chi vincerà mai? Nessuno. Risposta giusta. Non si potranno sentire più le urla su facebook. Non si potrà più urlare il proprio disappunto. Non si potrà più denunciare chicchessia. Né lobby e né presunte tali. È come lanciare un boomerang.
E i gruppi? Lasciamo stare. Con il bombardamento delle notifiche tutto è piatto. La gente si stanca e si rimuove. E’ uniforme.
Facebook abbassa il volume a chi fa la voce più grossa e lo alza ai chi ce l’ha rauca. Senza distinzione. Tutto è già conosciuto. E’ relativo. Non c’è nulla di nuovo sotto il sole. Neanche la rivoluzione. Se qualcuno la richiamerà per le ingiustizie sociali, certamente i suoi amici, più stretti, la confonderanno con il cruccio della massaia per la pioggia improvvisa che anziché asciugare i panni appena stesi li ribagna. Il Grande Fratello è in agguato.

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