4 giugno 2009

Il sacrificio dei minatori della Montecatini a Gimigliano


Alcuni minatori di Gimigliano


Vi hanno lavorato per circa nove anni. Hanno prima permesso alle proprie famiglie di crescere con una certa agiatezza, in tempi di guerra e di carestia, e poi sono tutti morti negli anni successivi per silicosi, la malattia tipica delle persone che si espongono per tanto tempo all’inalazione del biossido di silicio. Sono i minatori del giacimento di pirite di Gimigliano, gestito dalla società Montecatini dal 1939 al 1948, quando poi chiuse per motivi legati alla produzione. Non perché non ci fosse, la pirite. Anzi, questo materiale, da cui viene estratto il ferro, si nascondeva in modo abbondante nelle viscere della montagna “Marra”, di là dal Corace, ma per alcune non precisate “cause connesse ai finanziamenti statali”, così ricordano i discendenti dei minatori. Di Gimigliano Inferiore erano in tutto una quarantina. Gli altri, quasi tutti gli altri, circa settanta quando la miniera era a pieno regime, provenivano da Tiriolo, il paese limitrofo. Ancora gli abitanti ricordano la famiglia dei cosiddetti “Minni”, il soprannome con cui veniva riconosciuta, cioè i Rotella, Beniamino, Benedetto e Luigi. Tra gli altri anche Antonio Verri, Gennaro Godio, Luigi Cantafio, Luigi Paonessa, Giuseppe Trapasso e Giuseppe Paonessa. Tutti deceduti per insufficienza respiratoria a cavallo degli anni ’50 e ’60, con un’età media che va dai 55 ai 65 anni. Va da sé che evitando la “chiamata alle armi” della seconda guerra mondiale non hanno potuto sfuggire la contaminazione dell’arsenico all’interno delle cunicoli del ferro, se pur con la certezza di un lavoro e di uno stipendio sostanzioso a quei tempi.
La montagna, dirimpetto al quartiere inferiore del paese, era traforata dalle gallerie. Uno spettacolo per tutti i familiari che di giorno rimanevano nelle loro case. Con la pirite che veniva poi trasportata sui binari fino alla punta del crinale per poi essere accumulata in dei grossi bidoni, e infine prendere le vie delle grandi fonderie del nord d’Italia. Il 1948, stando alla testimonianza dei figli dei minatori, la Montecatini inaspettatamente ha alzato le tende, e ha tolto il disturbo in Calabria, salvo poi reinvestire a Crotone con una nuova industria che produceva concimi e fertilizzanti per l’agricoltura. La Società generale per l’industria mineraria e chimica, dunque, ha lasciato le cose come stavano a Gimigliano. Comprese le molte discariche, di grandi dimensioni poste nelle vicinanze delle bocche della miniera senza bonificarle. Oggi sono chiuse. Smottamenti e frane negli anni a seguire le hanno serrate. Tutta la montagna è di nuovo ricoperta da un manto erboso. Solo le macchie giallo e marrone degli scarichi di pirite ancora resistono e rivelano un passato non troppo lontano e quasi dimenticato. E il fiume di acqua quasi bianca del “Fosso Patia” che dal ventre della miniera scende fino alla valle del Corace. Comunemente chiamata dagli abitanti come “l’acqua della pirite” per distinguerla dalle altre, più pure e, soprattutto, potabili.

Pubblicato anche su il Quotidiano della Calabria

3 commenti:

Anonimo ha detto...

l'associazione "pina simone" ringrazia il dottore Pasuqale Montilla per essere riuscito con la sua professionalità a praticare la difficile arte dell'oncologia non nei saloni ovattati e nei corridoi della speranza ma sul territorio, come si conviene ad un Medico senza frontiere che non teme"ostacoli",scoprendo le cause di tanto dolore in un paese che come Gimigliano ha pagato e paga , in silenzio,con un alto contributo in vite umane. L'associazione si chiede a chi attribuire la responsabilità di questo scempio?
Francesca Angelucci

Anonimo ha detto...

carissimo emilio come ben sai questo è un tema a me molto caro e sai benissimo quante ricerche io stia facendo x rendere credibile la mia piccola "creatura".Ricordi il link bellissimo che ti mandai a proposito dei minatori che lavoravano nelle zolfare siciliane??Ebbene ho sempre pensato che la dignità dell'uomo passa anche attraverso il lavoro,e tale dignità tante,troppe volte viene calpestata,ma c'è un altro diritto del quale l'essere umano nn potrà mai fare a meno,diritto anch'esso molte volte bistrattato, ed è la Libertà. nn vi può essere Libertà x l'uomo se nn c'è l'affrancamento dal bisogno,x per questo noi meridionali, noi calabresi siamo così, rassegnati, inclini al soddisfacimento dei desiderata dei "poteri". perchè non abbiamo lavoro e non possiamo permetterci il lusso della libertà,e quando il lavoro quelle poche volte riusciamo a conquistarlo dopo tante fatiche, è un lavoro sottopagato,poco sicuro,x niente gratificante,anzi ti mortifica pure,mentre il lavoro dovrebbe nobilitare l'uomo,speriamo cmq in tempi migliori,ciaoooo emilièèèèèè e complimenti,6 bravissimo!!!!!!!!!Francesca

Anonimo ha detto...

gentile signor emilio, le preciso che la foto riportata nell'articolo, non è dei minatori, ma degli operai che lavoravano la costruzione del Ponte Patia, sul fiume Corace. Lo stesso Ponte interessato questo inverno dai danni del maltempo.
Saluti Damiano