“Purtroppo, egregio dottore, in Calabria la mafia non è solo quella che uccide, ma c’è anche quella dei “colletti bianchi” che, oltre a gestire i propri interessi economici insieme a quelli degli espedienti dei vari clan mafiosi, uccide moralmente i cittadini onesti”. A scrivere queste righe è Angela Napoli, vicepresidente della Commissione nazionale Antimafia, e le rivolge a Giacomino Pantano, direttore generale per gli Enti cooperativi del ministero delle Attività produttive. L’interesse della Napoli è “un provvedimento di giustizia”, così si augura in calce al documento indirizzato al dirigente del ministero. Provvedimento che non è mai avvenuto. La storia è complessa. Si trascina da almeno 14 anni. Ha come protagonisti due soggetti. Pietro Aiello, presidente della Cooperativa Elettra di Cosenza, da un lato, e, dall’altro, Livio Pietramale, impiegato di banca e beneficiario di un appartamento legalmente acquistato in quanto socio della Cooperativa, e successivamente sottrattogli in nomine legis. In sede di sfratto gli hanno anche somministrato dei farmaci per assicurarsi la sua accondiscendenza. Il suo grido, la sua voglia di giustizia, era troppo assordante anche per i ventuno carabinieri che il 16 aprile 2002 si presentarono a casa sua. La legge con i farmaci si osserva meglio soprattutto quando ad interpretarla sono persone che del suo spirito sono lontani anni luce.
Tutto ebbe inizio il 16 giugno 1995 quando i soci, che avevano già acquistato, secondo una scrittura privata fra le parti, un appartamento in via Cellini, località S. Agostino di Rende (CS) chiedono ed ottengono un incontro con il presidente. Motivo della discussione: la mancanza dell’acqua, o meglio l’approvvigionamento ridotto a sole due ore durante la notte. I neoproprietari non sapevano niente. Il dibattito è acceso. È presente anche Claudio Schiavone, commercialista del sodalizio, nonché nipote del presidente. Questi ad un tratto perde le staffe. E minaccia di “ammazzarli con la pistola” se non l’avessero finita. In risposta a un socio, Francesco Guerrini, che si era scaldato troppo. Si invitano tutti alla calma. Fra questi anche il Pietramale si da fare per tranquillizzare gli astanti. Dopo alcuni giorni l’impiegato di banca riceve la comunicazione per fare il rogito dell’appartamento. Quasi contestualmente si muove anche Iolanda Giordanelli, legale della Cooperativa, presidente del collegio sindacale, e componente dei collegi arbitrali. Tante cose insieme. Il braccio operativo dell’Aiello. Un avvocato in gamba, tanto che è patrocinante anche presso il Tribunale ecclesiastico. Da questa lettera iniziano i veri guai per Pietramale, una battaglia che vede lui, povero Davide, contro un Golia dalle molte teste. La legge qui la fa da padrona. Peccato che si fa sempre sfuggire da sotto il naso quel senso di “giustizia” che si augurava la Napoli. Colpo su colpo. È sempre stata una battaglia persa in partenza. Ma lui, Pietramale, non si è mai dato per vinto. E neanche la Napoli. Numerose le sue interrogazioni parlamentari. Moltissime le sue lettere ai vari dirigenti ministeriali.
Viene, in sostanza, informato della sua proposta di espulsione dalla cooperativa per i fatti del 16 giugno precedente. La decisione viene presa all’unanimità dal consiglio di amministrazione della Cooperativa. La firmano in otto, sette dei quali non erano presenti alla bagarre. Richiesta l’espulsione anche per altri due. Uno dei quali, proprio Guerrini che poi riesce comunque a rientrare nelle grazie dell’Aiello tanto che dichiara che a fare baldoria durante la discussione sull’acqua era stato proprio il Pietramale. (Testimonianza estorta dalla minaccia, un reato che gli varrà una condanna a dieci mesi e venti giorni di reclusione nel 2003). Inizia la controversia, dunque. Pietramale fa opposizione. Respinta. La decisione diventa definitiva. Non solo, ma il sodalizio intuisce che su questo caso ci può lucrare su. Anziché riprendersi la casa e restituire i soldi a Pietramale viene auspicato un lodo ai sensi dell’articolo 22 della scrittura privata. Ognuno nomina il suo. Pietramale, da un lato, la cooperativa dall’altro, e un altro che faccia da presidente bipartisan. Come presidente viene nominato Giuseppe Donnici, già legale di Aiello in qualità di presidente della Cooperativa. Il Pietramale lo viene a sapere e chiede la ricusazione presso il Tribunale di Cosenza per incompatibilità. Il presidente del Tribunale, Antonio Madeo, si riunisce nel suo gabinetto insieme alle parti in causa, Iolanda Giardinelli, legale della Cooperativa, Giuseppe Donnici, l’arbitro ricusato, senza però, Massimo De Luca, arbitro del Pietramale. Appresa una dichiarazione del Donnici dichiara “non ammissibile il ricorso perché è stato presentato oltre il termine perentorio di dieci giorni dalla comunicazione della nomina”. Peccato che la legge dice anche: “oppure entro i dieci giorni di quando se ne viene a conoscenza”. Una svista per il presidente del Tribunale. Costata cara a Pietarmale. Il lodo si fa, dunque, e dichiara “in nome del popolo italiano” contro il proprietario: “la risoluzione del contratto”; “il rilascio dell’appartamento in favore della Cooperativa Elettra”; “il pagamento della somma di lire 14.750 mila a titolo di indennità di occupazione dell’immobile dal giugno ’98 a tutt’oggi (aprile 2000 ndb)”; il pagamento dei due terzi delle spese della difesa; il pagamento dei due terzi delle spese del consulente tecnico; il pagamento dei due terzi delle spese di onorari e varie. Una vera pagina di ingiustizia sociale è stata scritta quel giorno “in nome del popolo italiano”.
La famiglia Pietramale, ormai, non sa più a cosa aggrapparsi. Continuano incessanti le denunce a tutti gli organi dello Stato, alla Presidenza del Consiglio dei ministri, al presidente della Repubblica, ai Ministeri competenti, agli organi giudiziari, alla Magistratura contabile, alla Commissione Antimafia. A Pietramale risponde, facendosi carico di tutta la storia, la sola Angela Napoli. Tutti gli altri si defilano, chi per incompetenza, presidente della Repubblica, chi per disinteresse. Una famiglia al lastrico. Lui, lei, Giovanna Bruno, e i figli. Alla ricerca della giustizia subentra la disperazione. La moglie, nel mese di novembre, s’incatena per sette gironi e sette notti davanti al cancello di via Cellini. Vengono raccolte centinaia di firme indirizzate al capo della Procura di Cosenza, Serafini. Silenzio anche da lui. Solo il sindaco di Rende si muove, Sandro Principe. Questi promette che la “casa non gliel’avrebbero tolta”. A fine gennaio dell’anno 2001 si convocano le parti. La Giardinelli propone al Pietramale di pagarsi nuovamente la casa. Costo dell’operazione: 100 milioni di lire. Lui rifiuta perché “la casa era sua in quanto già acquistata precedentemente”. Pietramale non ne può più. Stavolta s'incatena lui davanti alla Prefettura di Cosenza. È il 29 gennaio. Il 7 febbraio, dopo 10 giorni, viene ricoverato per assideramento. Il 9 febbraio si ripresenta agli uffici della procura. Ha una tanica di benzina. Minaccia di cospargere i fili della corrente. Arriva il capitano dei carabinieri. Poi il procuratore Claudio Curelli. Questi non sa niente delle sue denunce. Ritornano in Procura parlano con il pm Criscuolo Gaito, che sapeva tutto tanto che il 29 aveva anche chiesto l’archiviazione sul suo caso. Si riapre l’indagine. E Aiello viene rinviato a giudizio per estorsione nei confronti del Guerrini. Diviene esecutivo lo sfratto. Viene prorogato. È difficile stare a bada di uno che si sente perseguitato dalla giustizia. Si rimanda. Il giorno non più indifferibile viene fissato. È il 16 aprile 2002. Ventuno carabinieri e due ufficiali giudiziari. Vogliono fare le cose per bene. Ma anche lui. Presenta un certificato rilasciato dal Cim in cui manifesta la volontà di porre fine alla sua vita. Le forze dell’ordine non si fanno intimidire. Chiamano il medico legale Zuccarello. Questi consiglia il ricovero in una struttura adeguata. Si preparano per la cattura del Pietramale. Questi sguaina un coltello e minaccia i carabinieri di non avvicinarsi. E anziché arrestarlo per violenza, eventualità che probabilmente avrebbe fatto riaprire il caso, lo circondano e gli iniettano dei medicinali. Funzionano meglio delle manette. Ricovero in una struttura ospedaliera, aveva consigliato il medico, lo lasciano, invece, in completo stato di apatia in macchina pur di buttarlo fuori di casa.
Ancora sul caso Pietramale la parola giustizia non è stata detta. L’unica soddisfazione che si è presa è che due degli ispettori che aveva mandato il ministero del Lavoro, Emilio Spataro e Antonio D’Alfonso, in seguito alle incessanti interrogazioni parlamentari di Angela Napoli, vengono arrestati nel luglio 2005 per truffa e falso ideologico su richiesta del pm di Crotone, Federico Somma. Ma non per la sua vicenda personale, per un altro fatto. Gli stessi, infatti, tempo addietro, chiusero l’indagine su Elettra evidenziando una “corretta gestione amministrativa”. Esito ripreso e archiviato dalla Guardia di Finanza a cui si era anche rivolto il Pietramale. Il suo lodo può attendere.
Livio Pietramale
4 commenti:
Qui clam delinquunt magis delinquunt quam qui palam........................................
Salvatore.
vorrei iniziare questo commento esprimendo il mio rammarico e disgusto per quello che è stato fatto al signor livio pietramale e alla sua famiglia..la cosa più vergognosa il comportamento
dei carabinieri e delle nostre istituzioni..così accanimento su una famiglia inerte...certamente la solita bilancia pende sempre dal lato dei lestofanti e truffatori..ringrazio il sindaco di rende..il magistrato angela napoli...bravo emilio.
sconvolgente
allucinante
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